L’evasione fiscale e contributiva vale mediamente poco meno di 110 miliardi annui. La buona notizia è che la Nadef prevede un uso più proattivo della mole di dati garantiti da fatturazione elettronica e, dal 2020, trasmissione telematica dei corrispettivi.
I numeri della Nadef
Secondo le stime del ministero dell’Economia e delle Finanze appena pubblicate in allegato alla Nadef (Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza), il divario tra imposta teorica e imposta versata, che è una buona approssimazione dell’evasione fiscale e contributiva, nel nostro paese vale mediamente poco meno di 110 miliardi annui. Circa 70 miliardi sono divisi quasi a metà tra gap dell’Iva (36 miliardi) e dell’Irpef dei lavoratori autonomi e degli imprenditori individuali (34); poco meno di 20 riguardano il gap dei contributi (11,1) e dell’Ires (8,6) e la parte restante è dovuta in parti quasi eguali al gap dell’Irpef dei lavoratori dipendenti, a quello dell’Irap e al gap dell’Imu e delle altre imposte immobiliari. Queste stime sono effettuate utilizzando metodologie consolidate a livello internazionale attraverso un confronto (definito tecnicamente top-down) di tipo statistico e macroeconomico tra le dichiarazioni fiscali e la contabilità nazionale (in primo luogo il Pil, che è calcolato tenendo conto anche dell’economia sommersa).
Tabella 1 – Gap delle entrate tributarie e contributive (milioni di euro)
Il 2015, anno di svolta
Se si guarda agli andamenti nel tempo, nel 2015 si verifica una riduzione del gap assoluto stimato per tutte le principali fonti di evasione tributaria, ovvero l’Iva, l’Irpef del lavoro dipendente, l’Ires e l’Irap (complessivamente il calo è di circa 6 miliardi, una cifra non lontana dai 7 miliardi oggi cercati dal governo). La tendenza è confermata quando si prendono in considerazione, anziché i valori assoluti dei divari, la cosiddetta propensione al gap, ovvero il rapporto tra i valori assoluti dei gap e il gettito teorico.
Tabella 2 – Propensione al gap
La riduzione osservata nel 2015 probabilmente non è casuale. È l’anno in cui la legge di bilancio contiene diverse norme di contrasto dell’evasione attraverso l’aumento dell’efficienza dell’amministrazione fiscale intesa in senso lato, ovvero come l’insieme delle politiche fiscali non direttamente legate al livello di aliquota. In quell’anno entrano in vigore una serie di provvedimenti (lo split payment, il reverse charge) che riducono le opportunità di evasione dell’Iva, spostandone l’obbligo del versamento sulla pubblica amministrazione o sul contraente che presenta, dati alla mano, caratteristiche di maggiore affidabilità. Inoltre, il 2015 è anche l’anno in cui si comincia a ragionare in termini più ampi, impegnando l’Agenzia delle entrate a organizzare un’attività di promozione dell’adempimento spontaneo, attraverso la rilevazione delle anomalie di comportamento che emergono dall’analisi dei dati e che, una volta portate alla conoscenza del contribuente (attraverso le cosiddette lettere per la compliance), lo invitano ad autocorreggere il proprio comportamento. Si trattava di un inizio di attività di gestione del rischio di non adempimento (compliance risk management) basata su un uso attivo dei dati che rappresenta, secondo l’Ocse, la frontiera più avanzata delle amministrazioni fiscali dei paesi sviluppati .
Per quanto riguarda il 2019, la Relazione fornisce una stima preliminare del gettito in più dovuto all’introduzione della fatturazione elettronica in un intervallo compreso tra 0,9 e 1,4 miliardi di euro, che corrispondono alla differenza tra il gettito Iva osservato e quello che ci si sarebbe potuti attendere sulla base della congiuntura economica (il cosiddetto “residuo non spiegato”) per il solo primo semestre. Se un simile andamento dovesse ripetersi nel secondo semestre il maggior gettito del 2019 dovrebbe collocarsi tra poco meno di 2 e poco meno di 3 miliardi di euro annui.
Nella relazione tecnica alla legge di bilancio per il 2018 con cui fu introdotta la fatturazione elettronica veniva stimato un maggior gettito Iva di 1,6 miliardi: se queste ipotesi si rivelassero corrette la fatturazione elettronica avrebbe garantito risorse tra 0,4 e 1,4 miliardi superiori a quanto stimato. Si tratta certamente di un buon risultato, specie se si considera che, per il momento, l’Agenzia delle entrate si è limitata ad accumulare i dati delle fatture ricevute e a comunicarli ai soggetti a cui si riferiscono. L’effetto di gettito potrebbe essere quindi di natura esclusivamente psicologica, dovuto a una percezione di maggiore controllabilità potenziale delle transazioni business-to-business. Tuttavia, è difficile che una mera percezione, non suffragata da elementi di fatto, possa continuare a generare incrementi nell’adempimento nel prossimo futuro.
È probabilmente per questa ragione che, nelle bozze del decreto fiscale del 2020 che circolano in queste ore, si prevede un più intenso utilizzo dei dati della fatturazione elettronica, sia ai fini del controllo sia ai fini della mappatura del rischio fiscale. In attesa del testo della norma (e della relativa relazione tecnica), è comunque una buona notizia che si preveda un uso più proattivo, da parte dell’amministrazione finanziaria, dell’enorme mole di dati che la fatturazione elettronica oggi (e la trasmissione telematica dei corrispettivi dal 2020) consente di avere.
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