Con il quinto piano anticrisi in sette anni, Deutsche Bank sacrifica la divisione banca di investimento, che ha una struttura di costi ormai insostenibile. Ma ora da dove arriveranno i ricavi? Perché la concorrenza di vecchi e nuovi attori è agguerrita.
Un’altra Lehman?
C’è un sapore di déja vu nelle immagini dei dipendenti di Deutsche Bank che abbandonano la sede di Londra, invitati a rimuovere i propri effetti personali senza nemmeno un giorno di preavviso. Il pensiero corre agli scatoloni di Lehman Brothers e l’entità dei tagli (intorno alle 18 mila unità, ancorché articolati su tre anni) non è poi così diversa.
Vittima sacrificale di questo estremo tentativo di rilancio (che persino i sindacati giudicano necessario per fermare la cancrena e salvare il paziente) è la divisione di investment banking, il “mondo nuovo” che avrebbe dovuto portare Deutsche Bank a far concorrenza alle grandi banche globali. All’acquisizione di Bankers Trust nel 1999 seguì un decennio in cui la ricerca della crescita (che caricò la banca di costi e la espose a politiche commerciali aggressive, non sempre attente all’interesse del cliente) parve coronata da risultati brillanti. Ma il treno prendeva velocità solo per schiantarsi più dolorosamente sulla crisi finanziaria del 2007-2009 e poi impantanarsi irrimediabilmente nella palude regolamentare (Dodd-Frank Act, Volcker Rule, Basilea 3, scegliete voi) concepita per sedare il testosterone di un’industria divenuta troppo “creativa” e convincere gli elettori che mai più si sarebbe preso d’assalto il portafogli del contribuente.
Secondo i numeri diffusi dalla stessa Deutsche, la divisione banca d’investimento rende oggi all’incirca il 2 per cento: un dato che, corretto per il rischio, equivale a una distruzione netta di valore. L’enfant prodige è incanutito e nei piani di sviluppo futuri fa la figura di certi vecchi zii, invitati al cenone di Natale purché non pretendano di ripresentarsi a Capodanno. La scure colpisce in particolare l’attività di Sales & Trading (con la chiusura del settore equity e il quasi-dimezzamento del fixed-income) che oggi porta al gruppo miliardi di ricavi, ma anche una struttura di costi non più sostenibile, su cui pesano anche multe e risarcimenti collegati a numerosi casi di comportamento scorretto.
Dove troveranno i soldi?
Non c’erano probabilmente alternative, dopo che la scorsa primavera la mossa d’azzardo della fusione con Commerzbank (un classico “salvataggio del salvatore”, con Deutsche Bank nella parte del cavaliere bianco e i soldi pubblici in quella del cavallo) si era arenata di fronte alle perplessità degli analisti e delle autorità.
Ma una volta tappato il buco delle attività a basso valore aggiunto, da quali rubinetti dovrebbero uscire i proventi? È la porzione meno convincente del piano che, dopo aver impacchettato le attività non strategiche in un’apposita discarica (pudicamente chiamata capital release bank), punta a incrementare i ritorni dell’intermediazione tradizionale, a partire da una divisione di banca al dettaglio che l’anno scorso ha reso il 5 per cento e nel 2022 dovrebbe fruttare il 12 per cento (auguri).
Non c’è nulla di insensato nell’idea di sfruttare brand e rete ampliando il catalogo di prodotti e riducendo i costi (anche grazie a 13 miliardi di investimenti totali in tecnologia). Sarà tuttavia necessario misurarsi con la particolare struttura del settore bancario tedesco, dove i mercati locali sono saldamente presidiati da un fitto tessuto di soggetti a matrice pubblica o cooperativa (Sparkassen, Volksbanken, Raiffeisenbanken) libere dall’assillo di generare profitti nel breve termine. E con un fenomeno planetario chiamato fintech (financial technology), che ha portato alcune grandi imprese non bancarie (come motori di ricerca, social o telefonia) a pochi millimetri dal portafoglio dei clienti.
Non resta che sperare che questo piano strategico (il quinto in sette anni) sia quello buono, perché l’Europa ha bisogno di un sistema bancario forte e la Schadenfreude è un sentimento tanto primitivo quanto ingiusto.
La dolorosa svolta di Deutsche Bank dimostra, tra l’altro, che la vigilanza sulle banche dell’Eurozona, come la varicella, prima o poi arriva a tutti. Chi in passato ha accusato il suo presidente di essere un anti-italiano succube dei poteri nordici si faccia per piacere un nodo al fazzoletto.
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