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Chi vince e chi perde nel giro di poltrone dell’Europa

Con l’elezione del Parlamento europeo il rinnovo delle istituzioni è appena cominciato: entro l’autunno dovranno essere scelte quattro cariche determinati. In passato il gioco delle nomine ha favorito i paesi fondatori della Ue, in particolare Francia e Germania.

Le cariche in ballo

La partita per il rinnovo delle principali cariche dell’Unione Europea è entrata nel vivo al Consiglio europeo, l’organo che riunisce i capi di stato e di governo dei 28 paesi membri. La prima giornata ha confermato lo stallo nelle trattative e, dopo il vertice a oltranza nella notte, le decisioni sono state rinviate a una riunione straordinaria convocata per il 30 giugno. Le principali cariche in scadenza sono quattro: entro l’autunno saranno rinnovati il presidente della Commissione, del Consiglio europeo e della Banca centrale europea, mentre il presidente del nuovo Parlamento dovrà essere nominato nella plenaria del 2 luglio. Il Consiglio è formalmente coinvolto nella nomina di tutte le cariche Ue a eccezione di quella del presidente dell’Europarlamento. A condurre il risiko delle nomine è la maggioranza che governerà i lavori della prossima legislatura – Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi – ma in questo gioco di incastri pesano anche equilibri geopolitici e di genere. Vediamo chi ha dominato la partita delle nomine in passato.

La Commissione

Il presidente della Commissione europea è eletto dal Parlamento europeo a maggioranza assoluta, sulla base della proposta del Consiglio europeo avanzata a maggioranza qualificata rafforzata (almeno il 72 per cento dei membri del Consiglio che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione della Ue), tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le necessarie consultazioni. La natura politica del presidente della Commissione rispecchia un compromesso tra la composizione del Parlamento e quella dei governi degli stati membri.

Esaminando le commissioni passate, dal 1958 a oggi, si vede che il presidente (considerando il totale dei mandati) è stato per 7 volte un esponente dei Popolari, per 6 volte un Socialista, per 3 volte un Liberaldemocratico, oltre al Gollista (indipendente) François-Xavier Ortoli. I Socialisti complessivamente hanno guidato la commissione per la metà dei giorni dei Popolari, come rileva l’osservatorio OpenPolis. Rispetto alla nazionalità, soltanto 9 paesi membri hanno espresso presidenti della Commissione: Francia, Lussemburgo, Italia, Germania, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio e Regno Unito. Le tre commissioni di Delors (e quella di Ortoli negli anni Settanta) rendono la Francia il paese che ha guidato più a lungo l’istituzione (oltre 5.000 giorni totali). Segue il Lussemburgo, paese di origine dell’attuale presidente Jean-Claude Juncker, con oltre 4.500 giorni. Due sono gli italiani diventati presidenti della Commissione: Franco Malfatti, il cui mandato durò appena due anni (dal 1970 al 2972) per la sua decisione di partecipare alle elezioni politiche, e Romano Prodi, tra il 1999 e il 2004. La Germania, il paese più grande dell’Unione sia a livello demografico che economico, ha avuto il primo presidente per due mandati consecutivi (Walter Hallstein, tra il 1958 e il 1967), ma da allora non ha più espresso un suo cittadino ai vertici dell’esecutivo Ue.

L’Europarlamento

L’elezione del presidente del Parlamento europeo si svolge per i primi tre scrutini a maggioranza assoluta dei voti espressi, dopodiché si procede eventualmente al ballottaggio tra i due deputati più votati nel terzo scrutinio. Il suo mandato ha una durata di due anni e mezzo, per cui in ogni legislatura si alternano due presidenti.

Dagli anni Ottanta, le nomine dei due presidenti provengono quasi sempre da un accordo tra i due maggiori gruppi politici del Parlamento, Popolari e Socialisti, in base al quale in ogni legislatura ciascuno esprime uno dei due presidenti. Tale accordo fa sì che il presidente del Parlamento venga eletto con maggioranze molto ampie.

Al Parlamento è la Germania ad aver espresso il maggior numero di presidenti, ovvero 4, per un totale di 5 mandati, perché il presidente socialista Martin Schulz è stato eletto nel 2012 e poi rieletto nel 2014. Segue con 3 presidenti la Francia, che è anche il paese ad aver avuto gli unici due presidenti donna: la prima presidentessa del Parlamento europeo, Simone Veil, tra le fila dei Liberali, e la popolare Nicole Fontaine. Anche la Spagna ha espresso 3 presidenti, mentre l’attuale presidente in carica Antonio Tajani è stato l’unico italiano alla guida dell’Europarlamento.

Il Consiglio europeo e la Banca centrale 

Dalla creazione del Consiglio europeo fino all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona alla fine del 2009, quella del presidente del Consiglio era una carica informale e temporanea, svolta dal capo di stato o di governo dello stato membro che deteneva la presidenza semestrale del Consiglio dei ministri della Ue. Il Trattato di Lisbona ha modificato il Trattato di Maastricht, rendendo la presidenza del Consiglio europeo una carica stabile, che viene assegnata dal Consiglio stesso a maggioranza qualificata. Il mandato dura 2 anni e mezzo ed è rinnovabile una volta sola. Da allora, soltanto due presidenti si sono succeduti al vertice del Consiglio, entrambi popolari e rinnovati per un secondo mandato: il belga Herman Van Rompuy, entrato in carica il primo dicembre 2009, e il polacco Donald Tusk, eletto nel 2014 e tuttora in carica.

Il presidente della Bce invece dura in carica 8 anni e, insieme al vicepresidente e agli altri quattro membri del Comitato esecutivo, è scelto tra personalità con autorità ed esperienza professionale riconosciute in materia monetaria o bancaria. Il presidente è nominato dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata rafforzata, su raccomandazione del Consiglio e previa consultazione del Parlamento europeo e del Consiglio direttivo della Bce. Dal 1998 a oggi hanno ricoperto tale carica l’olandese Wim Duisenberg, precedentemente ministro delle finanze olandese, presidente della Banca centrale dei Paesi Bassi e dell’Istituto monetario europeo; il francese Jean-Claude Trichet, ex governatore della Banque de France; e l’attuale presidente Mario Draghi, che prima del 2011 ricopriva l’incarico di presidente del Financial Stability Forum ed era governatore della Banca d’Italia.

Chi decide in Europa

Figura 1

Uno sguardo di insieme alla partita di tutte le nomine europee conferma quanto già sappiamo: dal 1958 fino a oggi, Francia e Germania hanno dominato il gioco delle cariche, con rispettivamente 8 e 7 presidenti ciascuno tra Commissione, Parlamento europeo e Bce. Seguono Spagna (unico stato non fondatore nei primi posti) e Italia, con 4 presidenti, e subito dopo gli altri paesi fondatori. Al momento due delle quattro cariche sono detenute da italiani: Mario Draghi alla presidenza della Bce e Antonio Tajani al Parlamento. Nel novero potremmo inserire anche Federica Mogherini, Alto rappresentante degli affari esteri e vicepresidente della Commissione. Da qui a novembre, è improbabile che le tre cariche rimangano nelle mani dell’Italia, per la naturale rotazione delle presidenze ma anche per ragioni politiche, visto che l’attuale governo italiano non appartiene a nessuna delle famiglie che governeranno la legislatura europea.

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Dopo Draghi, tocca alla politica

  1. Henri Schmit

    Forse non si dovrebbe dire, ma è del tutto evidente che la F e la D hanno fatto la CEE, l’UE e l’euro e hanno gestito l’unione nel bene (indirizzo, forza, sopravvivenza) e nel male (imperfezioni, errori). Chi è allienato con questo orientamento, può avere voce in capitolo, come Draghi e Tajani (cresciuto nel ruolo) adesso, Prodi e Monti nel recente passato, tutti autorevoli ed ascoltati. I paesi sostenitori credibili del corso della politica dell’UE, di fatto guidato (necessariamente) in modo informale e flessible dal tandem F-D, sono tanti, ma fra di loro non c’è l’Italia, né quella di oggi, né quella post-2014, né quella ante-2011. Per le nomine il vertice di ieri non è stato vano: i 2 spitzenkandidaten più gettonati sono fuori, perché non hanno alcuna maggioranza né nel PE né nel Consiglio. Il problema dell’Italia è che il suo governo rischia di proporre dei nominativi che non sono graditi da nessuno, tranne dai bi-populisti di casa. Juncker NON è stato nominato perché LUX, ma perché gradito equamente da F e da D. Tutti questi contincini di tifoseria nazionale sono ridicoli e fuorvianti. Macron di fatto è kingmaker; vuole Verstager o Barnier alla Commissione. La D chiederà la BCE con Weidmann che si sta allineando tatticamente a Draghi. Al Consiglio serve un politico, abile e multi-valente, che vada bene a F e a D. Quale commissario (settore, nominativo) italiano non rischia il veto degli altri? Non più gli Aff Esteri. Chi andrà al PE? Anche l’Italia ha un diritto di veto!

    • Henri Schmit

      L’errore nella seconda frase – creato dal controllo automatico – è evidente: chi è ‘allineato’ con l’orientamento prevalente, che presuppone un consenso F-D, ha voce in capitolo. Ecco perché l’Italia non conta, tranne per remare contro, esprimere veti se non ottiene qualcosa. L’errore è che una concessione ottenuta attraverso una forzatura valga quanto una promozione ottenuta per autorevolezza e rispetto dei valori condivisi. Macron è kingmaker perché presidente della F (peso nel Consiglio per merito degli alleati del tandem) e capo spirituale della forza politica mediana della maggioranza assoluta nel PE. Questa è democrazia vera! Il 20 giugno Tajani ripreso dalle telecamere a seccamente risposto a un giornalista che lo interpellava sulle “divisioni” in seno alle istituzioni, in particolare al PE, opponendo a questo concetto deletterio quello construttivo della decisione democratica (intesa come compromesso sulla posizione mediana). Bravissimo! anche se l’ha imparato solo a Strasburgo …

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