Il capitalismo di stato può davvero rappresentare un modello di crescita sostenibile? Uno studio sulle imprese vietnamite mostra che i vantaggi politici garantiti a quelle di proprietà statale hanno ostacolato i benefici generati dalla globalizzazione.
Globalizzazione e capitalismo di stato
Il “socialismo con caratteristiche cinesi” e l’economia socialista di mercato vietnamita rappresentano recenti e complesse metamorfosi delle economie comuniste. Il loro successo, con la forte presenza di imprese di proprietà statale (Soe, state-owned enterprises), ha innescato un dibattito sul “capitalismo di stato” come possibile modello di crescita e sviluppo sostenibile (The Economist, 2012). Donald Trump ha di recente indicato il Vietnam come un modello per lo sviluppo della Corea del Nord. La crescita della Cina, ancora più sorprendente, ha due principali e contrastanti spiegazioni: il “trionfo dei mercati su Mao” e il “capitalismo di stato” esemplificato da Soe di grandi dimensioni e di successo (Hsie and Song, 2016).
La nostra conoscenza delle nuove forme di capitalismo (o socialismo) e della nuova forma di imprese che le guidano è ancora molto limitata. Cosa fanno le imprese di proprietà statale? Come rispondono alle forze di mercato? Sono un ostacolo o un motore di crescita in un’economia globalizzata? In un recente articolo, affrontiamo il problema studiando l’effetto dell’adesione all’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) del 2007 sulla produttività, la redditività e il tasso di sopravvivenza delle imprese vietnamite.
Effetti dell’accesso all’Omc
A partire dalle grandi riforme del Doi Moi iniziate in Vietnam nel 1986, lo stato ha abbandonato un’ampia gamma di attività e un gran numero di imprese statali è stato fuso, sciolto o venduto. Le Soe rimaste decidono i propri prezzi in base ai costi di mercato, possono tenersi i loro profitti e reinvestirli come meglio credono. Seppure drasticamente riformate, alla vigilia dell’accesso dell’Omc, avevano profitti più alti pur essendo meno produttive delle imprese private. Le differenze di produttività con le imprese private (private owned enterprises) si ampliano notevolmente dopo l’ingresso nell’Omc.
La nostra analisi econometrica si basa su dati a livello di impresa del Vietnam Enterprise Census, il censimento delle imprese manifatturiere. In linea con le teorie del commercio internazionale (per esempio, Melitz e Ottaviano, 2008), i nostri risultati mostrano che dopo l’accesso all’Omc, la redditività delle imprese è diminuita e le aziende meno produttive sono uscite dal mercato. La figura 1 mostra che nei settori in cui l’accesso all’Omc ha comportato maggiori tagli ai dazi sulle importazioni, la probabilità di sopravvivenza delle imprese private e la loro redditività subiscono un forte calo.
Figura 1 – Effetti del taglio delle tariffe commerciali sulla profittabilità delle imprese e sulla probabilità di sopravvivenza
L’uscita delle peggiori imprese private dal mercato ha prodotto un aumento della produttività del 3,7 per cento all’anno nei cinque anni successivi all’adesione. Nessun miglioramento significativo della produttività si osserva per le imprese di proprietà statale. La mancanza di aggiustamento strutturale di queste imprese ha attenuato i benefici dell’integrazione. Calcolando gli aumenti di produttività attesi con l’entrata nell’Omc in uno scenario ipotetico dove le imprese di stato sono rimosse dall’economia, troviamo che sarebbero stati superiori del 40 per cento l’anno.
Le Soe come barriere “oltrefrontiera”
Gli accordi commerciali di recente hanno iniziato a coprire anche le barriere “oltrefrontiera” (non tariffarie), che includono regolamenti interni in materia di ambiente, salute, sicurezza e standard lavorativi e la tassazione interna. Anche l’Omc ha iniziato da poco la ricerca di una cooperazione su questo tipo di ostacoli al commercio (Ederington e Ruta, 2016). Nel nostro lavoro, costruiamo un modello teorico per analizzare l’ipotesi che blocchi all’entrata di tipo politico/normativo e l’accesso preferenziale al credito possano fungere da barriere oltrefrontiera e ostacolare i guadagni derivanti da accordi commerciali.
Il modello suggerisce che, se l’entrata in alcuni settori è controllata politicamente, non dovrebbe rispondere agli incentivi prodotti dall’apertura commerciale. L’analisi empirica (figura 2) infatti mostra che il flusso di nuove imprese aumenta con le riduzioni tariffarie per le imprese private, ma diminuisce per le imprese di proprietà statale. La teoria inoltre indica che la scarsa risposta delle Soe è dovuta a un meccanismo di salvataggio operante attraverso un canale privilegiato di accesso al credito.
Figura 2 – Globalizzazione, effetti di selezione e accesso al credito
La figura 2 mostra che i debiti (rapporto tra debito e capitale proprio) rendono più difficile per le imprese private sopravvivere alla liberalizzazione, mentre non hanno alcun effetto sulle Soe. Il diverso comportamento è dovuto ai costi di finanziamento: il tasso di interesse pagato sul debito aumenta con la liberalizzazione per le imprese private, ma diminuisce per quelle statali. Ciò implica che il governo ha aiutato le Soe ad affrontare l’apertura commerciale riducendo il costo del credito. L’accesso al credito può dunque rappresentare un sussidio “di fatto” che impedisce agli effetti concorrenziali del commercio internazionale di operare.
L’idea che il “capitalismo di stato” possa costituire un nuovo modello di sviluppo è affascinante e rappresenta una sfida per accademici e politici. Le imprese statali hanno le dimensioni per sfruttare le economie di scala e l’accesso a credito e contratti governativi per garantire stabilità economica in tempi di crisi e cambiamenti strutturali, ma il rischio di clientelismo può superare i benefici. La nostra analisi mostra che le Soe vietnamite hanno costituito un ostacolo alla crescita generata dalla globalizzazione. I loro “vantaggi politici” frenano gli adeguamenti strutturali necessari affinché un paese possa beneficiare pienamente dei vantaggi comparati in un’economia globale.
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