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Il declino di Cgil, Cisl e Uil

La crisi dei corpi intermedi va avanti da tempo. In particolare, i dati sugli iscritti alle organizzazioni sindacali italiane registrano un calo complessivo delle adesioni, soprattutto negli ultimi anni.

La Festa dei lavoratori che si celebra ogni anno il primo maggio si è distinta quest’anno per l’appello all’unificazione dei sindacati Cgil, Cisl e Uil, lanciato dal neo-segretario generale della Cgil Maurizio Landini. Nell’intervista a La Repubblica uscita il giorno stesso, Landini ha invocato il rafforzamento del ruolo del sindacato, che dovrebbe allargare gli spazi della sua rappresentanza per costruire “una risposta alla frantumazione dei diritti e dei processi produttivi”. Un proposito ambizioso, se consideriamo che la presa dei sindacati sul tessuto pulsante della società si sta indebolendo da tempo; la progressiva segmentazione dei lavori e lo sbriciolamento della “classe operaia” come asse identitario ha infatti reso il lavoro dei sindacati sempre più problematico. Questa tendenza si ravvisa anche nei numeri pubblicati periodicamente sui siti delle organizzazioni sindacali: si tratta di dati autodichiarati dai sindacati e richiedono quindi una certa cautela, ma sono gli unici a oggi disponibili.

Il calo dei tesserati

Le serie storiche degli iscritti ai tre sindacati principali – Cgil, Cisl e Uil – non sono purtroppo omogenee, ma è comunque possibile farsi un’idea della direzione del vento. Le serie più estese sono quelle di Cgil e Cisl e si osservano nella figura 1.

Figura 1

Il calo degli iscritti è evidente: dall’inizio del nuovo millennio, le due principali organizzazioni sindacali hanno perso complessivamente 230.990 iscritti. È la Cgil a registrare il maggiore decremento, con un calo di oltre 154mila tesserati contro i 76mila della Cisl. La contrazione si manifesta in modo ancora più chiaro esaminando un arco di tempo più ristretto: se osserviamo per esempio la Cgil, dal 2012 (l’anno in cui si documenta il culmine delle iscrizioni) al 2017 l’emorragia è stata di più di 473mila tesserati; lo stesso ragionamento vale per la Cisl, che dal 2010 al 2017 perde per strada 501mila iscritti.

La Uil entra nel quadro in controtendenza rispetto alle altre due sigle sindacali. I dati sulle iscrizioni sono disponibili soltanto a partire dal 2015, ma nel periodo in considerazione non ha subito alcun tracollo. Nel 2017 l’organizzazione sindacale ha visto al contrario incrementare il proprio portafoglio del tesseramento di 26,5 mila iscritti, pari a una crescita dell’1,4 per cento rispetto al 2015.

La buona performance della Uil non è comunque sufficiente per controbilanciare un orientamento piuttosto avvilente. Sommando le variazioni negative di Cgil e Cisl dal 2015 al 2017 e quella positiva della Uil, la fotografia che risulta si può analizzare in figura 2: un deflusso totale di quasi 520mila tesserati.

Figura 2

Anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) raccoglie i dati sulle adesioni ai sindacati dai siti dei sindacati stessi. La trade union density – definita come il rapporto tra il numero di lavoratori iscritti a un qualunque sindacato e il totale dei lavoratori – conferma un calo manifesto delle iscrizioni ai sindacati italiani a partire dal 2013 (figura 3). Il trend sembra tuttavia meno severo rispetto a quello delineato considerando soltanto i valori assoluti; il tasso di penetrazione del sindacato si aggira infatti sempre nell’intorno di 33-36 per cento sul totale dei lavoratori. Questa relativa stabilità si spiega probabilmente osservando che si tratta del rapporto tra iscritti e occupati: è possibile quindi che i numeri assoluti delle iscrizioni scendano anche in ragione di una riduzione più generale degli occupati.

Figura 3

Differenze regionali

Gettiamo infine uno sguardo all’andamento delle iscrizioni ai sindacati nelle singole regioni italiane. Per farlo utilizziamo i dati forniti dalla Cgil, i più granulari e adatti allo scopo. Come si evince dalla figura 4, tra le prime cinque regioni interessate dal calo dei tesserati fra il 2001 e il 2017 svetta la Campania con un’emorragia di 61mila iscritti, seguita da Puglia, Emilia Romagna, Calabria e Piemonte. Sul versante opposto, il primato delle regioni caratterizzate da un aumento delle iscrizioni spetta al Veneto con all’attivo 40mila adesioni in più, alla Sardegna con 20mila tesserati in più e al Trentino Alto Adige con circa 10mila nuove iscrizioni.

Figura 4

Un cambio di paradigma

 La crisi delle organizzazioni dei lavoratori è un fenomeno noto, così come di tutti i corpi intermedi. È opinione comune che, di fronte al mutare delle tipologie di impiego e delle condizioni di lavoro, i sindacati non abbiano saputo fornire risposte chiare. Forse anche per la composizione stessa dei propri tesserati – in alcuni casi per il 50 per cento pensionati. Forse perché di piazze ce ne sono ormai tante, soprattutto quelle digitali. Certo è che in una realtà dove il lavoro si fa sempre più diffuso nei luoghi e nelle forme e dove un peso crescente è attribuito alla soggettività e alla valorizzazione del merito, la rappresentanza del mondo del lavoro necessita di una vera e propria rivisitazione culturale, prima ancora che di un’unificazione delle sigle.

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Il Punto

  1. Michele

    Analisi interessante, a mio modesto avviso quello che non viene colto dall’autrice e che forse andava sottolineato, è la (spro)proporzione di pensionati all’interno del sindacato e a fianco dei “lavoratori attivi”. Ha senso che il sindacato tuteli, allo stesso modo, una generazione di pensionati che ha goduto di diritti oggi inimmaginabili (pensione a 50/55 anni, bassissima mobilità inter aziendale, bassa scolarità, maggior potere di acquisto del salario, ecc..) a fianco di lavoratori che hanno salari piò bassi, maggiore competizione, alta incertezza? Lavoratori e pensionati sono soggetti diversi, se non altro perché i primi hanno tutele consolidate e difficilmente (e marginalmente) attaccabili rispetto ad un lavoratore attivo. Infine: quanti dei lavoratori attivi sono dipendenti pubblici (quindi di fatto illicenziabili)? Non sarebbe opportuno che il sindacato si focalizzasse sui diritti e sulle tutele, dei lavoratori (attivi) dell’industria? ovvero i più “deboli” (ma anche quelli su cui grava l’onere maggiore di “generazione di valore”) e gravati altresì dalla crisi, piuttosto che su pensionati e lavoratori pubblici?

  2. tommaso

    Il fenomeno mi interessa e una volta letto il titolo sono andato a leggere l’articolo.
    Devo però annotare che l’analisi è piuttosto discutibile. Per fare degli esempi: 1) non sono scorporati i pensionati, 2) si dice che la CGIL perde più della CISL senza presentare il dato percentuale degli abbandoni sugli iscritti, 3) non c’è comparazione con l’andamento degli occupati dove magari è lecito trovare forti correlazioni.
    Ma direi che anche il commento è distorsivo: perché i dati esposti dai sindacati (cioé le stesse fonti primarie) sui propri iscritti sono prendere con cautela? allora anche i redisenti esposti da un Comune dovrebbero esserlo… Inoltre, la conclusione che io trarrei da dati del genere è giusto l’opposta: è davvero sorpendente che in anni di forte crisi economica e occupazionale, e di comparsa di nuove forme di lavori atipici, un sindacato perda solo l’8% degli iscritti rispetto al picco massimo. Ed è ingiustificato parlare di crollo in questo caso, io mi sarei aspettato magari un -30% (questo sì un crollo!)

  3. enzo

    Il dato da cui partire è quello del tasso di penetrazione, non credo che i dati assoluti diano una informazione molto qualitativa. Certo sarebbe interessante lo scorporo del dato per classi d’età, pubblici/privati, escludere i pensionati ecc. Dal punto di vista politico credo che il limite del sindacato sia nel suo essere “fordista” e quindi funzionare in organizzazioni di vecchio stile , soprattutto pubblico. Ripartire dal basso e dalla realtà porterebbe nuova linfa ma metterebbe in discussione gerarchie e interessi costituiti

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