Donald Trump minaccia di alzare notevolmente i dazi sulle importazioni negli Usa di auto tedesche. Lo fa forse per imporre alla UE la firma al Ttip. Ma se le tariffe entrassero davvero in vigore le conseguenze sarebbero enormi per tutti, Italia compresa.
Dagli Usa un ricatto all’Europa
Nonostante la tregua della guerra commerciale contro la Cina raggiunta lo scorso week end, l’offensiva di Trump al libero scambio continua. Stavolta il bersaglio è l’import dall’Europa. L’eventualità che gli Stati Uniti decidano di imporre dazi (pari al 25 per cento rispetto all’attuale 2,5 per cento) sulle importazioni di auto e parti di auto provenienti dalla Germania, ventilata qualche giorno fa da Donald Trump in uno dei suoi tweet, non è semplicemente un’ulteriore fase della deriva protezionistica intrapresa dagli Stati Uniti (soprattutto per motivi politici interni), ma l’inizio del vero e proprio smantellamento del sistema multilaterale degli scambi. L’ipotesi dimostra senza più alcuna ombra di dubbio, se ancora ce ne fosse bisogno, che il ricorso ai dazi non è volto solo a ristabilire una sorta di equilibrio nell’interscambio con la Cina, ritenuta colpevole di concorrenza sleale, ma anche con l’Europa, con la quale gli Stati Uniti hanno un disavanzo molto più contenuto e soprattutto relazioni commerciali ampiamente positive. E il motivo addotto – minaccia alla sicurezza nazionale – mostra i pericoli di smantellare una politica basata sulle regole a favore di una basata sulla forza, che può sfociare molto facilmente in una politica umorale.
L’alleata Europa è equiparata alla Cina come potenziale minaccia, al fine di orchestrare un ricatto o una ritorsione per non voler firmare un accordo commerciale – il Ttip Transatlantic Trade and Investment Partnership – alle proprie condizioni.
Le conseguenze dei dazi
Al di là delle considerazioni politiche, le conseguenze dei dazi sulle auto tedesche importate negli Usa, sui quali Trump dovrà decidere entro 90 giorni, sarebbero devastanti non solo per la Germania, ma anche per i produttori e i consumatori statunitensi. E anche per l’Italia.
Figura 1
Secondo l’Acea, European Automobile Manufacturers Association, i costi diretti dei dazi sarebbero dell’ordine di 45 miliardi di dollari l’anno per i consumatori Usa. Ma i costi indiretti ricadrebbero su tutti i produttori, inclusi quelli statunitensi, dal momento che il settore è organizzato attraverso filiere produttive estremamente internazionalizzate, cioè composte da reti di fornitori e sub-fornitori con strutture multinazionali di produzione (che hanno seguito le case madri vicino ai loro stabilimenti aperti all’estero). Per esempio, se gli Stati Uniti importano “solo” il 3 per cento delle auto dalla Germania, il 23 per cento delle automobili prodotte negli Stati Uniti è realizzato da imprese estere, soprattutto tedesche, con componenti importate, spesso dalla Cina. Quindi, se l’obiettivo di Trump è riportare tutta la produzione a casa, ciò potrà avvenire nel medio periodo costringendo produttori e fornitori a localizzarsi sul territorio degli Stati Uniti per evitare i dazi. Nel breve periodo, la scelta sarà però costosissima per tutti. Secondo lo statunitense Center for Automotive Research, nel peggiore degli scenari, negli Stati Uniti i dazi potrebbero provocare la perdita di quasi 370 mila posti di lavoro e un calo delle vendite pari a 1,3 milioni di automobili.
Il contributo italiano alle auto tedesche
Anche per l’industria tedesca i costi sarebbero altissimi, perché i dazi aumentano il prezzo finale (con conseguente calo della domanda) e pure i costi di produzione, riducendo significativamente i margini di profitto. Poiché le auto tedesche prodotte in Germania includono molte parti provenienti da fornitori europei, la batosta sull’industria tedesca si riverserebbe presto anche su di loro. In particolare, la filiera italiana ha beneficiato molto del successo di mercato delle auto tedesche.
Nell’aprile 2018, l’Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica) in un comunicato stampa ha fornito dati molto positivi per quanto riguarda il settore automobilistico italiano. Le esportazioni di componenti automobilistici rappresentano il 4,7 per cento di tutte le esportazioni italiane. Nel 2017, le esportazioni della catena di produzione per componenti di veicoli hanno raggiunto i 21,2 miliardi di euro, con un aumento del 6 per cento rispetto al 2016. Nello stesso periodo, il valore delle importazioni è stato di 15,4 miliardi di euro, con un aumento del 6 per cento rispetto al 2016. La bilancia commerciale, quindi, ha registrato un avanzo positivo di 5,7 miliardi di euro, circa 327 milioni in più rispetto al 2016 (+6 per cento).
Il principale mercato di destinazione per l’esportazione di componenti italiani è la Germania, per un valore di oltre 4 miliardi di euro (+ 4,9 per cento rispetto al 2016) e pari al 19,3 per cento (19,5 per cento nel 2016) del totale esportato. Dopo la Germania arrivano Francia, Spagna, Regno Unito, Turchia, Polonia, Stati Uniti, Repubblica Ceca, Brasile e Messico. Anche nell’area del Nafta l’Italia ha registrato una bilancia commerciale positiva: con il Messico per 402 milioni di euro nel 2017, tredici volte tanto il valore del 2016. Secondo Anfia, la cifra è dovuta agli scambi nel settore dei motori, che hanno generato un surplus commerciale di 116 milioni di euro invertendo la tendenza dell’anno precedente, quando il saldo era negativo.
Se le minacce di Trump servono ad alzare la posta nelle trattative sul Ttip, lo scenario peggiore nel settore auto potrebbe anche non avverarsi, ma in cambio le imprese e i consumatori europei ne dovranno pagare le conseguenze su altri fronti.
Grafico 1
Figura 2
Fonte: https://www.faistgroup.com/news/germany-largest-importer-italian-automotive-parts/
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