In Parlamento si discutono due proposte di revisione costituzionale relative al referendum d’iniziativa popolare e alla riduzione del numero dei parlamentari. Prima, però, occorrerebbe ricondurre il modello elettorale ai requisiti democratici condivisi.
La normativa elettorale vigente e i suoi effetti politici
Nell’elezione democratica di un’assemblea rappresentativa si sovrappongono due logiche: quella fra schieramenti, studiata dalle scienze politiche, e quella dei diritti fondamentali, materia del diritto costituzionale. Non è chiaro il rapporto fra i due approcci. Giuridicamente la logica politica degli schieramenti è subordinata a quella dei diritti fondamentali individuali. Di conseguenza, liste bloccate, che sono restrizioni ai diritti elettorali individuali giustificate da presunti obiettivi politici, sono inammissibili.
Il dibattito sulla legge elettorale verte da trenta anni sull’alternativa prettamente politica fra rappresentazione fedele nel parlamento delle preferenze a favore dei partiti e strumenti che favoriscono la certezza di una maggioranza stabile. Con questo approccio di bilanciamento fra due esigenze opposte si è perso un altro elemento non solo giuridico dell’elezione democratica: il rispetto dei diritti attivi e passivi degli elettori, dei candidati e addirittura degli eletti.
Da 25 anni la normativa usa liste bloccate diventate esclusive 15 anni fa. La legge continua a violare i diritti elettorali individuali, perché la Corte costituzionale (sentenze 1/2014 e 35/2017) permette che possano essere ristretti per facilitare la formazione di una maggioranza certa e stabile. Stranamente non è dimostrato che le restrizioni favoriscano effettivamente la tenuta della maggioranza. Anche in altri paesi la legge prevede – e i giudici permettono – che almeno una parte dei parlamentari siano nominati dai partiti e che non sia il voto degli elettori a determinare la loro scelta. La Corte costituzionale non manca di rilevare il precedente estero per giustificare la propria permissività.
L’effetto politico delle liste bloccate è lo strapotere non regolamentato di coloro che riescono a impadronirsi del comando all’interno dei partiti politici. In Germania si critica da tempo la degenerazione della democrazia rappresentativa in partitocrazia (Parteienstaat). In Italia le liste bloccate hanno trasformato il gioco istituzionale in una conquista del potere (di nomina e di distribuzione delle risorse) fra gruppi di comando sempre più ristretti rinnovati per cooptazione.
La subordinazione degli obiettivi politici ai diritti fondamentali
Ammesso che una procedura elettorale valida debba rispettare i principi costituzionali e soddisfare certe esigenze politiche, rimane da chiarire quale sia il rapporto fra i due obiettivi. Dal punto di vista normativo, i diritti elettorali degli individui prevalgono su considerazioni di convenienza politica. Anche alcuni politologi riconoscono che “il criterio fondamentale è quello del potere degli elettori”. Per assicurare ulteriori diritti a organi costituzionali, come una certa stabilità della maggioranza o del governo, bisogna prevederli espressamente nella Costituzione, essendo qualsiasi procedura elettorale rispettosa dei principi della rappresentanza democratica insufficiente a tale fine.
La democrazia rappresentativa non è fondata sulla rappresentazione (più proporzionale o più maggioritaria) dei partiti, ma sull’idea di un’assemblea composta da parlamentari senza vincoli di mandato (articolo 67) eletti da tutti i cittadini con voto uguale (articolo 48) e con uguale accesso alle candidature (articolo 51). La Costituzione sancisce le prerogative politiche ed elettorali dei cittadini negli articoli 1, 3, 48, 49, 51 e 67; sono tutti diritti rigorosamente individuali. Tace invece intenzionalmente sugli altri criteri, in particolare sulla rappresentazione dei partiti.
Le conseguenze della subordinazione sui sistemi esistenti
Di conseguenza, l’equa rappresentazione degli schieramenti all’interno dei parlamenti può essere considerata un diritto legittimo dei partiti fondato sui principi generali di uguaglianza sostanziale dei cittadini e di non abuso, ma contrariamente ai diritti elettorali attivi e passivi, si tratta di un principio indeterminato e subordinato ai diritti fondamentali individuali.
Se questa tesi è corretta, le conseguenze sulla conformità di numerosi sistemi vigenti, in particolare di quello italiano, sono devastanti: i diritti politici individuali non possono essere sacrificati sull’altare dell’equa rappresentazione o del suo presunto contrario, la governabilità, e leggi elettorali con liste anche solo parzialmente bloccate sono irregolari.
Concretamente, il sistema uninominale è compatibile con l’uguaglianza sostanziale e con il divieto di abuso a condizione che i collegi siano sufficientemente numerosi, che siano di uguale peso demografico e che siano tagliati in modo neutro. Le liste bloccate sono una violazione ingiustificabile del potere esclusivo degli elettori. Le soglie di sbarramento sono restrizioni non indispensabili perché lo stesso risultato si può ottenere attraverso collegi plurinominali di limitata dimensione. Premi di governabilità o di maggioranza sono forzature in conflitto con il libero mandato che, se abbinate a liste rigide o bloccate, divengono vizi assoluti. Almeno dal 2005 la normativa elettorale vigente è profondamente viziata, ben oltre le censure molli e non convincenti della Corte costituzionale.
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