Per aggiustare il deficit 2019 tutti chiedono al governo una manovra correttiva. Che si potrebbe evitare se l’esecutivo scrivesse una legge di bilancio 2020 che rispetti l’algebra e il buonsenso, prima ancora che l’economia.
La manovra correttiva potrebbe non servire…
Da settimane in Italia non si fa altro che parlare di una ipotetica manovra correttiva. Sarebbe una correzione alla legge di bilancio approvata a fine dicembre e che è ancora in via di attuazione.
Di manovra correttiva parlano gli osservatori e i media per indicare che occorre aggiustare i numeri del 2019 alla luce del rallentamento dell’economia che rende poco plausibili gli obiettivi di crescita che il governo si è dato per il 2019. Lo fanno perché, ancor prima di vedere gli effetti delle misure inserite nel bilancio 2019, è già evidente che il +1 per cento di crescita del Pil previsto per il 2019 è molto ottimistico. Per avere un’economia che cresce dell’1 per cento, servirebbe una espansione media trimestrale – sul trimestre precedente – dello 0,5 per cento. Numeri sistematicamente così positivi non si vedono da dieci anni. E così, mentre arrivavano dati autunnali più negativi sull’andamento dell’economia con particolare riferimento all’industria, i vari osservatori hanno via via ridotto le loro stime per la crescita attesa dell’economia italiana. Da ultima, la Commissione europea, nelle sue previsioni invernali, ha portato il dato italiano 2019 a un modesto +0,2 per cento.
Dal canto suo, il governo chiede tempo e pazienza. Ci vuole tempo e pazienza, secondo Palazzo Chigi e i due vicepremier, per capire se il rallentamento della Germania – al cui andamento la parte più dinamica del nostro settore manifatturiero è legata – durerà nel tempo. Soprattutto, ci vuole tempo e pazienza per vedere gli effetti derivanti dall’entrata in vigore delle misure più importanti della manovra 2019, cioè il reddito di cittadinanza e i pensionamenti anticipati consentiti dalla cosiddetta “quota 100”. Una corsa contro il tempo è quella che stanno facendo gli uffici della pubblica amministrazione per accelerare le procedure in vista del primo aprile, il giorno a partire dal quale si dovrebbe cominciare a erogare il reddito di cittadinanza. Mentre il tempo consentirà di accumulare altre informazioni sull’identità di chi sta facendo domanda per “quota 100”. Per ora a prevalere sono dipendenti pubblici maschi che si affrettano ad accettare una riduzione di stipendio in forma di pensione subito e per sempre, pur di andare via dal loro posto di lavoro. Un grave segno di malessere e anche un desiderio di fuga dalle responsabilità che la politica ha ritenuto di avallare. Rimane che chi accetta di pensionarsi oggi a partire da un reddito corrente più elevato e accettando una pensione più bassa anche negli anni a venire tenderà a consumare di meno rispetto a quanto avrebbe fatto. Difficile dunque aspettarsi un rilevante effetto espansivo sui consumi dall’entrata in vigore di quota 100.
Insomma, chi vivrà vedrà: ma sarebbe meglio non fare troppo conto sull’accelerazione dell’economia indotta dalle nuove misure assistenziali predisposte dal governo giallo-verde. Una crescita più vicina allo zero che all’1 per cento comporterebbe una revisione al rialzo del deficit atteso per il 2019 di circa 0,5 punti di Pil, dunque un 2,5 in luogo del 2 per cento scritto nei documenti inviati a Bruxelles. È probabile che di fronte a uno sforamento così rilevante dalla Ue (e dalle agenzie di rating che ci giudicheranno nei prossimi due mesi) arrivi la richiesta di una correzione dei dati 2019.
…se il bilancio 2020 non sarà un libro dei sogni
A ben guardare, però, il problema non è tanto dato dai conti del 2019. Che di fronte a un rallentamento dell’economia si faccia più deficit di quanto preventivato non è veramente visto come un grave peccato da nessuno in Europa né sui mercati. I conti pubblici peggiorano quando l’economia va male: lo sanno e lo capiscono tutti e nessuno né a Bruxelles né a Berlino vuole davvero impiccare i governi nazionali all’adozione di politiche suicide. Con un’avvertenza, però: lo sforamento nei periodi in cui l’economia è in difficoltà deve avvenire in un quadro di tenuta dei conti pubblici su base pluriennale. Come dire che quello che conta davvero non è la manovra correttiva sul 2019, ma la legge di bilancio 2020 che a oggi prevede un equilibrio di bilancio precario, basato su una ottimistica crescita 2020-2021 all’1 per cento e soprattutto sull’entrata in vigore di aumenti di imposte indirette per svariate decine di miliardi che nessuno nella politica e nella economia italiana vuole, almeno nell’entità immaginata nei documenti ufficiali.
Del resto, il tira e molla autunnale con la Commissione europea e con i mercati dovrebbe aver insegnato almeno una cosa ai due partiti della maggioranza. Scrivere inverosimili libri dei sogni che poi devono essere precipitosamente emendati dai tecnici in senso più razionale e approvati frettolosamente – e ai confini della legalità – dal Parlamento non è un sistema furbo di migliorare il proprio potere negoziale, ma un modo rapido per perdere credibilità, non essere presi sul serio e isolarsi nello stagno in cui – per fortuna e per ora – l’Italia nuota, cioè l’Unione Europea e il mondo occidentale. Quindi, si potrà forse evitare una manovra correttiva nei prossimi mesi ma solo se nel Documento di economia e finanza per il 2020 si imposteranno misure che hanno una loro plausibilità algebrica prima ancora che economica. Come dire che se si vorrà fare la flat tax estesa a tutti, sarà meglio prepararsi a specificare per bene quali sono le voci di spesa da tagliare nel bilancio dello stato. Altrimenti l’Europa, le agenzie di rating, i mercati e – chissà – finanche gli elettori smetteranno di dare fiducia a un governo che sembra volere solo proteggere gli italiani di oggi senza pensare al futuro e al progresso degli italiani di domani.
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