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Via l’obbligo, ma per i piccoli comuni l’unione fa la forza

La legge che imponeva ai piccoli comuni di associarsi ha fallito nei suoi intenti. Ma ciò non significa che gli enti di piccole dimensioni non debbano proseguire su questa strada, almeno per alcune funzioni di organizzazione e gestione dei servizi.

Superare la legge del 2010

Il 10 gennaio 2019 si è insediato il tavolo tecnico-politico per la revisione del testo unico degli enti locali, istituito con il decreto legge “Milleproroghe” 91/2018 (articolo 1 comma 2-ter). Il suo scopo è superare l’obbligo della gestione associata tra comuni delle funzioni e servizi comunali tramite accordi convenzionali od unioni di più comuni insieme. È un’occasione da non perdere per correggere l’imposizione all’associazionismo dettata dalla legge 78/2010. Legge che di fatto è stata disattesa e costantemente rinviata nella sua applicazione, perché fondata su obblighi troppo selettivi per i comuni basati sulla loro popolazione e su “blocchi” di funzioni molto difficili da unificare così come definiti.
Abolire l’obbligatorietà associativa così come prevista dalla legge del 2010 non deve però significare la rinuncia a sviluppare una politica che incentivi l’associazionismo intercomunale. Se non altro perché le unioni di comuni rappresentano l’unica forma istituzionale che permette la sopravvivenza dei piccoli comuni (con meno di 5 mila abitanti).

Limitarsi a superare l’obbligo dell’associazionismo darà nuovo impulso alla già scarsa propensione delle élite politiche e tecniche locali a intraprendere percorsi di alleanza, favorendo resistenze che rischiano di condannare i piccoli comuni a irrilevanza politica e incapacità di offrire i servizi minimi di cittadinanza a chi ci vive. Se si vuole restituire loro titolarità di scelta sui percorsi associativi, lo si faccia sapendo che, su alcune funzioni, l’autonomia in realtà non è più sostenibile. Perché ogni piccolo comune dovrebbe gestire in autonomia servizi come quelli di ragioneria, contabilità, bilancio e amministrazione del personale? E quali possibilità hanno questi enti di sviluppare servizi digitali e quindi di costruire servizi moderni se non affrontano la funzione con scale e competenze adeguate?

Le scelte dei piccoli comuni

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Su queste e altre funzioni, che nulla tolgono all’autonomia politica e pubblica di un comune, e che al contrario, se non associate comportano uno spreco di risorse, si dovrebbe avere un approccio ben più prescrittivo e obbligatorio di quanto non sia stato finora.
Occorre affrontare contestualmente – e anche in questo caso, in forma associata – l’assenza di capacità e di poteri di coordinamento e gestione dell’organizzazione dei servizi. Nei piccoli comuni non abbiamo più direzioni tecniche e amministrative capaci di andare verso modelli di azione più coerenti con le tecnologie e le risorse disponibili. Abbiamo bisogno di riportare su questi territori direzioni con reali capacità e poteri di governo amministrativo dotati di autonomia e responsabilità rispetto alle rappresentanze politiche. Le politiche nazionali degli ultimi anni, a partire dal 2007, hanno svuotato di personale i piccoli comuni italiani: le forti limitazioni alla copertura del turn-over, soppresse solo nel 2019, hanno quasi azzerato la possibilità di ricambio generazionale del personale.
Nel grafico 1 si può osservare come la diminuzione del personale sia quasi sempre stata percentualmente più rilevante per i comuni al di sotto dei 5 mila abitanti.

Grafico 1

Fonte: Rapporto sul personale Ifel anni 2012-14 ed elaborazioni di Antonello Picucci su dati Mef per gli anni 2015-16

L’emorragia di personale nei piccoli comuni ha causato anche la perdita del confine tra responsabilità politica e responsabilità amministrativa, obbligando sindaci e assessori a farsi carico di incombenze amministrative che resterebbero altrimenti inevase. Tutto ciò a scapito del tempo che dovrebbero dedicare all’attività politica di tutela e sviluppo delle comunità e a scapito dell’autonomia delle strutture amministrative.
Forse è giunto anche il tempo di togliere dal frigorifero della pubblica amministrazione le uniche figure professionali che la legislazione degli ultimi anni ha marginalizzato: i segretari comunali. Abbiamo bisogno di rivedere, aggiornare e modernizzare questa figura, per avere competenze tecniche sul territorio in grado di assumere compiti e responsabilità specifiche di costruzione e gestione di servizi associati .

Se osserviamo i piccoli comuni dal punto di vista del territorio che presidiano, della crucialità ambientale e funzionale, del loro valore storico e turistico, delle potenzialità economiche e di lavoro connesse a produzioni agro-alimentari eccellenti e uniche al mondo, scorgiamo un patrimonio di alto valore, che stiamo dissipando.
Una visione non solo romantica, che voglia affrontare i problemi e cogliere le opportunità dei territori richiede competenze specialistiche e pluridisciplinari; in primo luogo esperti di servizi scolastici, di assistenza sociale, di trasporti e soprattutto di sviluppo locale. Non è un caso che la Strategia nazionale aree interne richieda da parte dei comuni partecipanti, azioni di rafforzamento amministrativo delle loro organizzazioni.

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  1. angelo rota

    favorevole da sempre all’unione dei comuni o perlomeno ad un bilancio comunale unico.Temo che le resistenze maggori a questo progetto vengano dagli stessi sindaci.

  2. Savino

    I piccoli si ricordino del concetto di città diffuse, se non vogliono sparire.

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