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Venezuela, una crisi che si avvita

Al di là della legittimità o meno del secondo mandato di Nicolás Maduro, il Venezuela dovrebbe andare a nuove elezioni presidenziali. Perché il paese è al collasso economico e sociale e senza un cambiamento politico la crisi continuerà ad aggravarsi.

Situazione politica complessa

Il 23 gennaio 2019 Juan Guaidó, eletto all’inizio di gennaio presidente dell’Assemblea nazionale, si è autoproclamato presidente ad interim del Venezuela fino a nuove elezioni.
I partiti dell’opposizione, che hanno il 65 per cento dei seggi dell’Assemblea nazionale e che hanno ritrovato unità nel sostegno a Guaidó, giudicano illegittimo il secondo mandato di Nicolás Maduro, iniziato il 10 gennaio, per le modalità con cui si sono svolte le elezioni presidenziali del 20 maggio 2018. Quelle elezioni furono considerate non democratiche e non libere non solo dall’opposizione venezuelana, che non poté candidare propri rappresentanti, ma anche da molti paesi stranieri (tra cui gli Stati Uniti, il Gruppo di Lima e l’Unione europea). Maduro, invece, può contare ancora oggi sull’appoggio dei militari e accusa l’opposizione di tentativo di colpo di stato manovrato dai nemici della rivoluzione chavista, in primo luogo gli Stati Uniti di Donald Trump.

A livello internazionale, si stanno delineando due schieramenti: da una parte a sostegno di Guaidó e per nuove elezioni vi sono gli Stati Uniti, il Canada, alcuni paesi dell’America Latina e dell’Unione europea. Dall’altra, i principali paesi che appoggiano Maduro e criticano le ingerenze esterne sono la Russia, la Cina, Cuba e la Turchia. È diventata una contrapposizione ideologica, quasi da guerra fredda, anche se nasconde rilevanti interessi economici sia degli Stati Uniti, che vogliono ristabilire un fornitore sicuro di petrolio nella regione, sia della Cina che invece vuole evitare di perdere parte dei crediti concessi al presidente come anticipo di acquisti futuri di petrolio. La contrapposizione rischia di mettere in secondo piano una considerazione fondamentale: al di là della legittimità o meno del suo secondo mandato, nuove elezioni presidenziali sarebbero comunque auspicabili perché Maduro ha portato il paese al collasso economico e sociale e senza un cambiamento politico la crisi economica e finanziaria continuerà ad aggravarsi.

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Economia al collasso

Da alcuni anni le autorità venezuelane non pubblicano più statistiche macroeconomiche, ma il Fondo monetario internazionale ha continuato a diffondere le proprie stime. Secondo le quali, il Pil del Venezuela, paese dal 2014 in recessione e con un’inflazione crescente, nel 2018 si sarebbe contratto del 18 per cento e l’iperinflazione sarebbe stata alla fine dell’anno pari a 2,5 milioni per cento, mentre a fine 2019 potrebbe arrivare a 10 milioni per cento (Fmi, Regional Economic Outlook:Western Hemisphere, ottobre 2018).
A confermare la gravità della crisi economica e finanziaria è l’andamento del tasso di cambio. La valuta venezuelana si è costantemente svalutata nei confronti del dollaro americano sia prima che dopo l’introduzione del nuovo Bolivar Sovrano nell’agosto 2018, che ha eliminato cinque zeri alla moneta. Il 21 agosto 2018, quando si è passati al Bolivar Sovrano (Bs), ci volevano 60 Bs per comprare 1 dollaro americano, mentre il 25 gennaio 2019 ne servivano 2.084 (dati del Banco Central de Venezuela).
Come è potuto accadere tutto questo in un paese che fino a pochi anni fa era tra i più ricchi dell’America Latina e che dispone di enormi riserve di petrolio? Ci sono molteplici fattori che hanno contribuito alla crisi e che possono essere individuati anche nella storia meno recente del paese, ma la politica dell’amministrazione Maduro ha sicuramente una responsabilità primaria.

Negli ultimi cinque anni la produzione di petrolio si è quasi dimezzata per carenza di investimenti: unito alla caduta del prezzo del greggio, ciò ha prodotto una drastica riduzione dei proventi dall’esportazione di petrolio e quindi delle entrate fiscali. Nonostante il crollo delle entrate fiscali petrolifere, Maduro ha mantenuto elevata la spesa pubblica, che ha finanziato facendo stampare nuova moneta alla banca centrale. La monetizzazione del disavanzo pubblico ha così avviato il processo inflazionistico. La contrazione della produzione aggregata deriva, oltre che dalla diminuzione della produzione petrolifera, anche dalla carenza di investimenti privati, sia nazionali che esteri, frenati da un contesto molto difficile per l’attività imprenditoriale. Le imprese sono state scoraggiate dall’instabilità normativa e istituzionale, dall’elevata corruzione e dalla politica industriale basata su nazionalizzazioni ed espropri. Nella classifica della Banca Mondiale sul “Ease of Doing Business 2019” su 190 nazioni solo l’Eritrea e la Somalia sono considerati paesi dove fare attività imprenditoriale è più difficile che in Venezuela.
Un altro fatto che evidenzia la drammaticità della situazione è l’enorme emigrazione dal paese, una vera e propria crisi umanitaria: secondo l’Unhcr-Oim nel 2018 ogni giorno 5.500 persone hanno lasciato il Venezuela e il numero dei migranti e rifugiati venezuelani nel mondo ha raggiunto i 3 milioni, di cui 1 milione in Colombia e mezzo milione in Perù.
Senza un cambiamento di governo, con elezioni libere e democratiche, è difficile che il Venezuela possa risollevarsi. La crisi economica e finanziaria prima o poi toglierebbe comunque le risorse vitali a Maduro, ma a prezzo di ulteriori inutili sofferenze per il popolo venezuelano.

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  1. Savino

    Il mondo, una volta, non si sarebbe diviso e avrebbe espresso parole chiare sulla figura autoritaria di Maduro, quale affamatore di un popolo. Anche l’Italia, una volta, non avrebbe avuto dubbi. Questo ci deve far fare ulteriori riflessioni sul livello delle classi dirigenti attuali.

  2. Carlo Caleffi

    Sarebbe bello raccontare tutta la storia, pure il fatto che le raffinerie di proprieta’ del Venezuela in US non possono mandare in patria i propri soldi causa sanzioni o che gli UK bloccano da mesi la richiesta di riavere il proprio oro in Venezuela e che la crisi e’ precipitata dopo che qualche settimana fa la Russia aveva minacciato di mettere basi missilistiche in in Venezuela dopo il ritiro dal trattato missilistico degli US, la realta’ e’ sempre piu’ complessa di quello che sembra.

    • ALFONSO MELCHIONNA

      Sinceramente il blocco economico, il blocco delle riserve di oro di cui fai riferimento lei ed il congelamento dei conti dello stato e dellindusrria perrolera pdvsa si è effettuato subito dopo seesre stato cosiderato Maduto un usurpatore del potere appunto per evitare che continuasse a rubare, ma queste risorse saranno prossimamente reindirizzate alla gestrione della nuova AN. State tranquilli, gli Stati Uniti non ha bisogno della produzione di petrole del venezuela perche loro ne producono 12 millioni al giorno (la maggioen del mondo). Loro sono interesasati a non perdere democrazia nell’America.

  3. Davide K

    Stiamo assistendo all’inevitabile epilogo dell’opera iniziata da Chavez, che rimane il principale colpevole di tutto questo.
    Conseguenze ovvie e prevedibili. Telefonate.
    Se lo ricordi chi lo ha, negli anni, più o meno appoggiato.
    @Savino: una volta, Maduro e Chavez avrebbero avuto ancora più estimatori, ancora più persone (magari con un importante ruolo politico ed istituzionale) ci avrebbero detto che era tutta colpa delle sanzioni degli Usa, che in realtà stavano facendo bene, che il socialismo questa volta avrebbe funzionato, e quant’altro.
    E magari qualcuno avrebbe mandato armi e soldati per difenderlo.

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