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Crediti deteriorati, un banco di prova anche per la vigilanza

La richiesta della Bce ad alcune banche di svalutare i crediti deteriorati ha inciso sui corsi azionari. Ma si possono conciliare riservatezza e trasparenza delle decisioni di vigilanza? E la comunicazione al mercato avrebbe potuto essere più lineare?

Banche di roccia o banche di vetro?

Nei giorni scorsi alcune banche italiane quotate hanno reso noto di avere ricevuto dalla Banca centrale europea la richiesta di innalzare gradualmente la percentuale di crediti deteriorati (non-performing loan, o Npl) coperta da svalutazioni, sino a portarla al 100 per cento. La comunicazione è avvenuta dopo un’interlocuzione con la Consob per comprendere se essa fosse o meno obbligatoria ai sensi delle normative sul mercato dei capitali. Gli investitori hanno reagito negativamente alla notizia, che potrebbe comportare una riduzione dei profitti attesi.
L’episodio solleva due interrogativi: è possibile contemperare riservatezza e trasparenza delle decisioni di vigilanza? E quanto è stata efficace Francoforte nel rappresentare al mercato le proprie aspettative sugli Npl?

A detta di molti, le banche devono essere di roccia, non di vetro; perché l’intervento delle autorità per “mettere in sicurezza” un istituto rischia sempre di essere interpretato dal pubblico come una sirena d’allarme (finendo per innescare vendite di azioni e cali nei depositi e avvicinando così la prospettiva di un dissesto che poteva essere ancora remoto).
La necessità di riservatezza trova tuttavia un freno nella normativa a tutela degli investitori. La Market Abuse Regulation richiede infatti che gli emittenti di strumenti finanziari comunichino al pubblico, prima possibile, eventuali informazioni privilegiate (e cioè precise, ancora non pubbliche, e suscettibili di avere un effetto significativo sui titoli).
Le lettere inviate dalla Bce, per quanto è dato sapere, anticipano un orientamento ancora non formalmente definito in dettaglio (e in questo senso, secondo qualcuno, non rappresentavano un’informazione “precisa”). Si è comunque deciso di renderle note al mercato, forse in considerazione del fatto che la vigilanza europea si è sin qui dimostrata poco incline ad ammorbidire le proprie posizioni.

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Ci si potrebbe chiedere se una norma che richiede di divulgare notizie negative per la stabilità del mercato non meriti di essere aggiornata con una robusta iniezione di ovatta. Cosa che certo non dispiacerebbe ai supervisori, che già in passato hanno fatto sapere di non considerare opportuna, ad esempio, la diffusione di dati circa il capitale aggiuntivo suggerito dagli stess test.
Sarebbe un errore, e non solo perché gli azionisti delle banche meritano la stessa tutela di chi investe nelle autostrade o nei telefoni. La trasparenza è utile anche per sottoporre le autorità di vigilanza al vaglio critico degli esperti e dell’opinione pubblica, a maggior ragione se funzionano secondo meccanismi ancora non consolidati e devono ricercare ogni giorno una sintesi tra differenti impostazioni e priorità nazionali. Uno scossone ai corsi azionari può rappresentare un piccolo prezzo da pagare in cambio di una maggiore responsabilità verso l’esterno (accountability).

Gli Npl e le aspettative della vigilanza

Proprio il tema degli Npl rappresenta un interessante banco di prova. La Bce considera prioritario l’obiettivo di rimuovere dai bilanci delle banche i crediti deteriorati (e ciò anche se, incidentalmente, nessuna analisi scientifica dimostra che ciò sia positivo per l’offerta di credito all’economia). A tal fine, lo scorso marzo ha aggiornato le proprie linee guida, suggerendo che i nuovi crediti deteriorati vengano svalutati completamente nell’arco di un certo numero di anni.

La mossa è stata giudicata irrituale dal Parlamento europeo, visto che i requisiti prudenziali sui crediti sono stabiliti per legge ed è attualmente in cantiere una diversa modifica. Da Francoforte si è allora osservato che la vigilanza non intende sostituirsi al legislatore, ma ha il diritto e il dovere di rendere note al mercato e agli intermediari le proprie “aspettative”.
Nel luglio successivo, la Bce ha annunciato che avrebbe chiesto alle banche di applicare il medesimo calendario di svalutazioni anche sul significativo stock di deteriorati pre-esistenti; il più severo orientamento si sarebbe però concretizzato “nel medio termine” e nell’ambito di un approccio flessibile, caso per caso. A quel punto, gli investitori avevano l’imbarazzo della scelta: gli ottimisti potevano guardare alle aspettative “soft” di marzo, i pessimisti a quelle, potenzialmente assai più “hard”, di quattro mesi dopo.

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Al di là delle decisioni di policy, di cui giustamente le autorità si assumono (o dovrebbero assumersi) la responsabilità, viene il dubbio che la comunicazione al mercato avrebbe potuto essere più lineare. Si tratta, beninteso, di incertezze in qualche misura fisiologiche per un supervisore che in soli quattro anni ha costruito un’architettura poderosa e complessa a guardia della stabilità bancaria dell’Eurozona. Ma questo non significa che l’approccio di vigilanza ai crediti deteriorati non possa essere utilmente ricalibrato: se non nel merito, almeno nei modi.

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  1. Savino

    Nel rapporto con le istituzioni, le banche devono essere di roccia, mentre, nel rapporto con i clienti, le banche devono essere di vetro.

  2. Henri Schmit

    Penso che non ci sia alcun dilemma. Fuori il rospo! 30 anni fa il mio compito era di seguire per un gruppo bancario estero le controparti soprattutto bancarie italiane. Il mio primo criterio di esclusione era un ratio di sofferenze insoddisfacente. All’epoca non c’erano le regole condivise di classifica dei crediti difficili. Ma me la sono cavata, non abbiamo avuto alcun default, tutti i nostri concorrenti diretti anche più di uno. Bisogna indagare perché l’Italia continua ad avere un pessimo NPL-ratio nel confronto europeo ormai armonizzato. Un legislatore serio dovrebbe occuparsi di questo, asistito dalla vigilanza e dall’accademia.

  3. Paolo

    Perché si interviene solo sui Npl e non anche sui derivati tossici in mano a tante banche (in particolari quelle tedesche e francesi)?

    • Henri Schmit

      Si, speriamo che affondino una grossa banca tedesca e una media francese, poi le nostre staranno molto meglio! Ma siamo seri?

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