Le modifiche all’indicizzazione delle pensioni introdotte con la legge di bilancio confermano principi e regole vigenti, cancellando il previsto cambiamento a vantaggio dei pensionati. Colpite le pensioni più alte, ma il taglio si cumula nel tempo.
Risparmi sulle pensioni
Nel 1903 l’economista Amilcare Puviani pubblicò un libro dal titolo Teoria dell’illusione finanziaria. Nel volume l’autore argomenta come lo stato sfrutti la mancanza di trasparenza delle proprie azioni finanziarie per realizzare surrettiziamente i suoi obiettivi, senza che i cittadini siano coscienti degli oneri che ne derivano. Le modifiche alle regole di indicizzazione delle pensioni del governo giallo-verde sembrano essere un esempio di questa tesi.
Partiamo dai numeri. Secondo la relazione tecnica di accompagnamento al maxi emendamento alla legge di bilancio, la modifica alle regole relative all’indicizzazione delle pensioni porterà allo stato un flusso di risorse pari a 415 milioni di euro nel 2019 e, rispettivamente, a 1.222 e 2.014 milioni nel 2020 e 2021. I risparmi crescono negli anni poiché gli effetti della mancata indicizzazione si cumulano nel tempo. Il numero dei soggetti interessati è poco sopra i 5 milioni, molto maggiore dei 24 mila pensionati d’oro che nello stesso periodo garantiranno un risparmio di 138, 144 e 151 milioni di euro.
Per capire meglio la natura del provvedimento dobbiamo fare un passo indietro. Senza un intervento da parte dell’esecutivo, a partire dal 1° gennaio 2019 la regola di indicizzazione vigente fino al 31 dicembre 2018 sarebbe comunque cambiata. Il meccanismo a cinque fasce, in vigore dal 2014, sarebbe infatti stato sostituito da una regola più generosa per i pensionati, basata su tre scaglioni. La legge di bilancio mantiene il meccanismo delle fasce, le aumenta a sette e cambia marginalmente anche la percentuale di indicizzazione. La tabella 1 tenta di dare conto dei diversi passaggi normativi, anche se il confronto tra metodi differenti non è sempre lineare.
Tabella 1 – Regole di indicizzazione
Tm: trattamento minimo pari a 507 euro mensili
1 meccanismo a fasce
2 meccanismo a scaglioni
La differenza tra “fasce” e “scaglioni”
Uno dei passaggi chiave è la differenza tra il principio delle “fasce” e quello degli “scaglioni”. In entrambi i metodi, il reddito pensionistico viene diviso in classi e a valori più elevati del reddito corrisponde una minore quota di indicizzazione. Tuttavia, nel caso del meccanismo a scaglioni è solo la parte del reddito compresa nello scaglione stesso a essere sottoposta alla percentuale di indicizzazione corrispondente. Nel caso del meccanismo delle fasce, invece, la percentuale di indicizzazione dell’ultima fascia si applica anche alla parte di reddito pensionistico che rientra nelle fasce precedenti. Ne segue che il meccanismo degli scaglioni è meno penalizzante e assicura una decrescenza più omogenea nell’indicizzazione rispetto a quanto non faccia quello delle fasce (che infatti richiede una serie di accorgimenti tecnici per evitare situazioni di riordinamento dei redditi).
Tenendo conto di questa differenza di metodo, il confronto tra la terza e la quarta colonna della tabella 1 permette di evidenziare il maggior grado di copertura dall’inflazione di cui tutti i pensionati avrebbero beneficiato se il governo non fosse intervenuto. D’altra parte, il confronto tra la terza e la quinta colonna mette in chiaro il fatto che la nuova griglia di classi e aliquote approvata dal parlamento è molto simile a quella vigente nel 2018. Di fatto, quindi, l’esecutivo ha confermato il principio e le regole già vigenti rispetto a un cambiamento previsto che sarebbe andato a vantaggio dei pensionati.
La figura 1 riporta la perdita attesa nell’importo della pensione per il 2019 a seguito dell’intervento dell’esecutivo nell’ipotesi di un tasso di inflazione dell’1,1 per cento. È sostanzialmente pari a zero per importi della pensione fino a 2 mila euro mensili lordi ed è crescente, con alcuni salti, per arrivare vicino a 70 euro per prestazioni intorno a 15 mila euro mensili. Gli importi delle riduzioni, come si può notare non sono così elevati.
Figura 1 – Riduzione della pensione con il nuovo metodo di indicizzazione
L’aspetto cruciale, dal punto di vista distributivo, è capire come si ripartiscono le perdite di reddito pensionistico nella popolazione interessata. La tabella 2, costruita utilizzando i dati Visitinps, aggiunge alcune informazioni importanti. La scelta dell’esecutivo sull’indicizzazione colpisce in maniera sostanzialmente proporzionale tutti i redditi pensionistici superiori a cinque volte il trattamento minimo: parliamo di valori mensili superiori a 2.500 euro lordi mensili. È qui che il provvedimento ottiene l’80 per cento delle risorse. Il restante 20 per cento arriva da pensioni comprese tra quattro e cinque volte il trattamento minimo, sulle quali però il peso è decisamente più basso. La riduzione del reddito per i pensionati è in generale contenuta, ma l’effetto cumulato ne aumenterà il peso relativo nei prossimi anni. Un quarto dei risparmi di spesa avverrà a carico delle pensioni molto alte, ovvero quelle superiori a nove volte il trattamento minimo. In definitiva dunque un intervento realizzato su una platea ampia e con un’incidenza bassa, riesce a realizzare un ammontare di risorse non trascurabile, soprattutto se confrontato con quello ottenuto dal più sbandierato provvedimento sulle pensioni d’oro. Il tutto senza che l’onere dell’operazione sia presumibilmente percepito da chi lo pagherà. Resta ancora da capire quali finalità potranno essere perseguite con queste risorse. I prossimi mesi ci aiuteranno probabilmente a fare luce sulla direzione che prenderanno.
Tabella 2 – Distribuzione degli oneri della nuova regola di indicizzazione per classi di reddito pensionistico
Tm: importo del trattamento minimo pari a 507 euro mensili
Fonte: elaborazioni su dati Visitinps
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