Il 19 per cento di autonomi e imprenditori individuali beneficia oggi del regime dei minimi. Con la riforma, la percentuale sale al 36 per cento nel 2019 e al 44 per cento nel 2020. Un trattamento fiscale di favore che crea iniquità e incentiva l’evasione.
Cosa cambia con la riforma dei minimi
Il disegno di legge di bilancio per il 2019 contiene una significativa riforma della tassazione sui redditi da lavoro autonomo e delle imprese individuali. Il regime dei “minimi”, fino a quest’anno riservato ai contribuenti con fatturato inferiore a soglie variabili da 30mila a 50mila euro a seconda dei settori, viene esteso a tutti gli indipendenti sotto i 65mila euro di ricavi. La base imponibile dell’imposta sostitutiva si ottiene in modo forfettario applicando ai ricavi dei coefficienti di redditività variabili per settore. Su questa base si calcola l’aliquota del 15 per cento (5 per cento per le nuove imprese) per ottenere un’imposta sostitutiva di Irpef (incluse addizionali locali), Iva e Irap. Scompaiono inoltre gli altri requisiti di accesso al regime forfettario: non sarà più necessario avere un costo del lavoro inferiore a 5mila euro e immobilizzazioni sotto i 20mila. L’aliquota contributiva scende infine del 35 per cento.
Dal 2020, inoltre, si prevede una imposta sostitutiva del 20 per cento che si applicherà a tutto il reddito di autonomi e imprese individuali (calcolato secondo le regole ordinarie) con fatturato tra 65mila e 100mila euro. Quindi, autonomi e indipendenti dal 2020 si divideranno in tre gruppi: regime forfettario al 15 per cento per chi ha ricavi fino a 65mila euro, imposta sostitutiva al 20 per cento per ricavi tra 65 e 100mila euro, Irpef ordinaria oltre 100mila euro. Il terzo gruppo comprende circa il 20 per cento del totale degli indipendenti.
L’Ufficio parlamentare di bilancio, nella sua audizione parlamentare del 12 novembre scorso, ha presentato alcuni dati molto interessanti che aiutano a definire le conseguenze della riforma.
In primo luogo, il numero dei soggetti interessati al regime dei minimi crescerà notevolmente. Mentre oggi il 19 per cento di autonomi e imprenditori individuali beneficia del regime forfettario, nel 2019 la percentuale dovrebbe salire al 36 per cento e nel 2020 al 44 per cento. Quindi circa l’80 per cento degli indipendenti sono sotto i 100mila euro di fatturato, e di questi quasi la metà avrebbe interesse a passare al nuovo regime. Poco più della metà del totale degli indipendenti rimarrebbe quindi sottoposta all’Irpef progressiva. Anche la quota del reddito totale della categoria sottratta all’Irpef salirebbe decisamente, dal 7 al 43 per cento.
C’è poi un effetto molto evidente sugli incentivi a produrre e a dichiarare più reddito: se si oltrepassa la soglia dei 65 mila euro di ricavi, infatti, l’aliquota sale dal 15 al 20 per cento su tutto il reddito determinato secondo criteri ordinari, con significativo aggravio di imposta. A 100 mila euro c’è un altro scalino, oltre il quale viene meno la tassazione sostitutiva del 20 per cento e si torna alla normale progressività dell’Irpef. Entrambi gli scalini determinano aliquote marginali molto superiori al 100 per cento: se il fatturato li supera, si deve pagare in maggiore Irpef più dell’aumento del reddito. È evidente il forte incentivo a non produrre più reddito, oppure a evadere.
Ma la conseguenza più clamorosa è il forte risparmio d’imposta: il beneficio medio per i soggetti che ricadono nelle soglie è di 4.725 euro per il nuovo regime forfettario al 15 per cento e di 5.739 euro per il regime sostitutivo. Un quarto dell’intera platea interessata ai due regimi guadagnerebbe più di 8.225 euro all’anno. Si crea così una evidente violazione dell’equità orizzontale: a parità di reddito, gran parte degli autonomi pagherà una minore imposta sul reddito, in parecchi casi molto minore, rispetto ai dipendenti e ai pensionati, per i quali la legge di bilancio non prevede alcuna riduzione d’imposta.
Effetti del nuovo regime
Vediamo con un grafico gli effetti del nuovo regime. La figura 1 mostra quanto si risparmierà in imposta sul reddito e contributi previdenziali con il nuovo regime (rispetto all’Irpef progressiva), considerando anche l’imposta sostitutiva del 20 per cento. Sull’asse orizzontale c’è il fatturato. Ne beneficeranno maggiormente i soggetti con alto coefficiente di redditività, perché per loro il reddito imputato è più vicino al fatturato, quindi possono sottrarre alla progressività dell’Irpef un reddito maggiore. Nella figura si considerano un indipendente con basso (40 per cento: commercio) e uno con alto (78 per cento: attività professionali) coefficiente di redditività. Lo sconto fiscale è molto forte soprattutto per il secondo caso. Assumendo che il coefficiente di redditività rifletta la realtà, un professionista con fatturato di 60mila euro passerebbe da 21.116 euro di Irpef e contributi annui a 13.663. Il suo reddito netto mensile salirebbe da 2.140 a 2.550 euro.
Figura 1 – Nuovo regime dei “minimi”: variazione carico fiscale annuo in euro (imposta sul reddito + contributi previdenziali) per un indipendente senza carichi familiari
Oltre a creare un’evidente ingiustizia rispetto ai dipendenti e ai pensionati, che rimangono interamente soggetti all’Irpef progressiva, il provvedimento incentiva le imprese a rimanere piccole e a evadere di più. Potrebbe anche spingere a un aumento delle partite Iva a scapito delle assunzioni. La base imponibile dell’Irpef subisce, da questo primo “modulo” di flat tax, un ulteriore frazionamento. Pezzi di reddito continuano da anni a essere sottratti alla progressività per essere sottoposti a un prelievo molto minore.
Il trattamento fiscale di favore può avere un senso per semplificare la vita a chi occupa davvero la fascia marginale e più fragile di una categoria, ma se finisce per interessare la grande maggioranza della platea degli indipendenti, anche su redditi non “minimi”, è inevitabile pensare anche a ragioni di consenso elettorale.
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