La ministra Bongiorno punta col disegno di legge “concretezza” ad assumere 450 mila nuovi dipendenti nella pubblica amministrazione nel 2019. Ma per rendere più efficiente la Pa occorre migliorare la qualità dei servizi offerti. Le opportunità e i rischi della digitalizzazione.
Nuove assunzioni nella Pa
Il governo gialloverde ha presentato il 13 settembre il cosiddetto disegno di legge “concretezza”, fortemente voluto dal ministro per la Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno. Oltre a irrigidire la normativa contro gli assenteisti, il Ddl punta ad assumere 450 mila nuovi dipendenti nella pubblica amministrazione nel 2019.
Abbiamo già avuto modo di evidenziare come effettivamente il totale dei dipendenti pubblici in Italia sia più modesto che in altri paesi europei. Il blocco del turn over deciso nel 2008 ha infatti indebolito e invecchiato l’organico della pubblica amministrazione, che registra ora l’età media più alta dei paesi Ocse, con solo il 2 per cento di dipendenti under 35.
Dal grafico 1 si può inoltre notare come il totale dei dipendenti pubblici non solo sia più basso che in altri paesi europei, ma anche come abbia vissuto un’importante flessione negli anni successivi alla crisi. Dal 2007 al 2015, infatti, i dipendenti pubblici in Italia sono calati di quasi 290 mila unità, mentre in Spagna sono cresciuti di oltre 61 mila e in Germania e in Francia hanno subito un lieve calo (-19 mila e -18 mila). Solo il Regno Unito, che però partiva da un valore assoluto molto più alto del nostro – 5,6 milioni contro 3,6 milioni –, ha avuto una diminuzione più rilevante della nostra, circa 500 mila di posti di lavoro perduti.
Grafico 1
Performance ed efficienza
Tuttavia, come ricorda il rapporto Government at a glance dell’Ocse, per migliorare la pubblica amministrazione non basta aumentare il numero totale dei dipendenti, è necessario anche incrementare l’efficienza e la qualità dei servizi offerti. Per esempio, attraverso la valutazione di performance del personale e stipendi che siano, almeno in parte, legati al raggiungimento di obiettivi strategici. La valutazione di performance infatti non solo introduce un sistema di incentivi per i lavoratori, ma dà alle risorse umane una struttura oggettiva di dati con cui stabilire eventuali passaggi di carriera o scatti di stipendi, che possono quindi avvenire con meno discrezionalità.
In realtà, in Italia i passaggi di carriera sono possibili solo mediante concorso pubblico con riserva di posti. Una soluzione potrebbe essere, per esempio, la previsione che il punteggio dei concorsi tenga conto, almeno in parte, dei risultati ottenuti.
Il grafico 2 mostra due indici elaborati dall’Ocse. Entrambi variano da un minimo di 0 a un massimo di 1. Il primo stabilisce il grado con cui le risorse umane utilizzano valutazioni di performance sul lavoro dei dipendenti e quanto esse siano importanti per stabilire aumenti di stipendi o passaggi di carriera. Il secondo, invece, sintetizza diversi indicatori, come il grado di utilizzo di sistemi di performance-related pay, ossia di incentivi monetari al raggiungimento di specifici obiettivi, la quota massima di bonus possibile sul totale dello stipendio e i gradi gerarchici coinvolti.
In entrambi gli indici l’Italia si posiziona a un livello medio-alto della classifica, sopra la media Ocse, che però è influenzata dai risultati molto bassi di alcuni paesi, ma sotto la Germania e il Regno Unito per l’indice sulla performance-related pay e anche sotto la Francia per quello sull’utilizzo di valutazioni di performance.
Grafico 2
Fonte: Ocse
L’esigenza di digitalizzare la Pa
Un altro obiettivo che il disegno di legge si propone di raggiungere è proseguire il processo di digitalizzazione. Anche se nel testo la parola “digitalizzazione” è utilizzata una sola volta, all’articolo 4, dove si indica che le nuove assunzioni dovranno concentrarsi maggiormente su “figure professionali con elevate competenze in materia di digitalizzazione”.
In realtà, il miglioramento della Pa tramite la graduale digitalizzazione di alcuni servizi è un obiettivo non meno importante di quello dell’aumento dei dipendenti.
Il rapporto dell’Ocse segnala che l’uso dei servizi digitali della pubblica amministrazione da parte dei cittadini è triplicato nell’ultimo decennio. Tuttavia, ci sono differenze persistenti nel loro utilizzo, sia tra i diversi paesi che tra i vari gruppi della popolazione.
Nel grafico 3 si mostra la percentuale di individui che usa servizi digitali della pubblica amministrazione, sia sul totale che divisi per livello di istruzione. L’Italia si posiziona terzultima nella classifica generale, con circa il 12 per cento di cittadini che si serve del web per compilare e inviare moduli. Ben al di sotto del Regno Unito e Francia e superati di poco dalla Germania.
Grafico 3
Fonte: Ocse
Emergono così notevoli differenze, non solo tra paesi, ma anche tra coloro che hanno un’istruzione alta o bassa. Nel 2016, nei paesi Ocse in media il 54 per cento degli individui con un alto livello di istruzione ha usato le piattaforme web della Pa, contro il 17 per cento di quelli poco istruiti. Il divario è meno netto nei paesi del Nord Europa, che possono vantare una cultura digitale più equamente distribuita tra i decili della distribuzione, mentre è ben più accentuato in alcuni paesi del Sud Europa, come Portogallo e Grecia, e dell’Est, come l’Ungheria.
In Italia, neanche il 5 per cento dei cittadini poco istruiti usa i servizi online. E lo fa poco più del 30 per cento di quelli più istruiti, pari al risultato della Svezia per i cittadini con un basso titolo di studio. Nel nostro paese, quindi, non solo c’è la necessità di incrementare la fornitura di servizi digitali e migliorare la cultura informatica, ma anche di renderla più accessibile a tutte le fasce della popolazione, evitando così di creare nuove forme di esclusione sociale.
Il decreto però non sembra tenere in considerazione il possibile scarto tra l’incremento dei dipendenti pubblici e il miglioramento digitale della pubblica amministrazione. Infatti, nei settori che richiedono mansioni più ripetitive, la digitalizzazione potrebbe addirittura avere effetti negativi sulla domanda di lavoro delle amministrazioni pubbliche, che invece di assumere nuovi dipendenti potrebbero introdurre strumenti digitali più efficienti. Mentre ci sono attività – come quelle degli assistenti sociali, medici, infermieri, insegnanti, ispettori del lavoro, forze dell’ordine – che dalla digitalizzazione otterrebbero solo migliori strumenti operativi, senza rischi di riduzione dell’organico.
Sarebbe importante che queste riflessioni entrassero nel dibattito interno all’esecutivo e nella successiva discussione parlamentare, affinché oltre alle nuove assunzioni, di cui bisogna comunque tener conto della professionalità, si possa consegnare a tutti i cittadini una pubblica amministrazione più efficiente e più accessibile.
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