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Cinque punti per il governo dell’acqua

C’è un capitolo dedicato all’acqua pubblica nell’accordo tra Lega e M5s. Contiene alcune dimenticanze e alcuni buoni propositi. Ma la strategia complessiva si deve fondare su partecipazione, sostenibilità, industria, regole e visione.

La circolarità del “servizio idrico integrato”

Alla voce “acqua pubblica”, il contenuto del contratto di governo Movimento 5 stelle-Lega si riassume in alcune parole d’ordine: servizio idrico integrato, gestione pubblica, referendum, società di servizi, infrastrutture idriche.

L’idea che traspare è che il problema maggiore si concentri nell’acquedotto. Ma l’acqua che ritorna nell’ambiente è altrettanto importante di quella che dall’ambiente è prelevata per giungere nelle case. In un programma di governo ampiamente orientato alla circolarità, è proprio nel servizio idrico che questa sembra mancare, dimenticando l’esistenza di oltre mille agglomerati (comuni o raggruppamenti di comuni) ancora sprovvisti di depuratori e reti fognarie. Purtroppo, la necessità di investimenti non si ferma all’acquedotto.

La “gestione pubblica”

Nel contratto si percepisce una esplicita “preferenza” per la gestione pubblica, affidata a società di servizi a livello locale. Non è chiaro perché, visto che finora la gestione del servizio idrico integrato nel nostro paese è per lo più esercitata da società a totale partecipazione pubblica o da società miste (a controllo pubblico) oppure da società quotate nelle quali l’azionista di controllo è sempre e comunque il soggetto pubblico. Come si vede nella figura, la presenza di privati puri è del tutto residuale (3 per cento della popolazione).

Efficienza ed efficacia della gestione non dipendono tanto dalla proprietà quanto dalla qualità delle regole, dalla qualità del “governo” degli ambiti e del management nelle aziende, dal raggiungimento di dimensioni coerenti con la missione industriale (province da 200-300 mila abitanti o intere regioni).

In ogni caso, l’eventuale ripubblicizzazione dell’industria idrica avrebbe un costo di circa 4-5 miliardi di euro, risorse che potrebbero essere impiegate per rispondere alle questioni più urgenti.

Figura 1 – La proprietà dei gestori idrici in Italia

Dal “referendum” alle buone regole

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Dopo l’esito del referendum del 2011, il Consiglio di stato ha chiarito che la regolazione indipendente è uno strumento di tutela degli utenti.

E, infatti, dal 2011 – quando le sono state attribuite competenze anche in materia di servizi idrici – l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) ha emanato, tra l’altro, un metodo tariffario basato sul riconoscimento di costi efficienti, ha sancito standard minimi di qualità contrattuale omogenei sul territorio nazionale, ha chiamato chi inquina ad assumersi il costo ambientale, ha disciplinato il sostegno che deve essere offerto alle famiglie disagiate, ha imposto obiettivi di riduzione delle perdite, di contenimento delle interruzioni, di miglioramento della qualità dell’acqua potabile.

Sono interventi che segnano una forte “discontinuità” rispetto al passato, che va diffusa e certamente incoraggiata. Grazie a questo percorso, gli investimenti nel servizio idrico che nel 2012 erano caduti fino a 25 euro/abitante sono risaliti a 35 euro pro capite nel 2015 e arrivano verso i 50 euro pro capite nel biennio 2018-2019.

Figura 2 – L’andamento degli investimenti nel settore idrico 2008-2019 (investimenti pro capite euro/abitante/anno)

* Investimenti programmati in media annua

Fonte: Laboratorio Ref Ricerche su dati gestori, Arera

Le “società di servizi”

Il riferimento alle società di servizi contenuto nel contratto di governo sembrerebbe offrire un riconoscimento del ruolo che la gestione “industriale” è chiamata ad assolvere per realizzare il disegno infrastrutturale. Si tratta di una evoluzione organizzativa voluta sin dalla metà degli anni Novanta dalla legge Galli e osteggiata da molti enti locali, che hanno reiterato migliaia di gestioni dirette rivelatesi del tutto inadeguate alla crescente complessità del sistema e incapaci di investimenti, perché prive delle competenze tecniche e manageriali necessarie a interpretare il cambiamento. Non a caso, le gestioni dirette dei comuni investono quattro volte di meno delle gestioni industriali.

Dunque, ben venga se l’intento del nuovo governo è far sì che le società di servizi siano chiamate a subentrare alle gestioni dirette degli enti locali per gestire il servizio idrico integrato in forma associata e industriale.

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Figura 3

Quel che non è scritto nel contratto

Il referendum del 2011 ha testimoniato una forte domanda di partecipazione dei cittadini. Ed è auspicabile che venga rinforzata la possibilità di partecipare alle scelte e di influenzarne gli esiti, come ci ricorda anche l’Ocse.

Vi è poi l’esigenza di conciliare gli investimenti necessari con la sostenibilità della bolletta idrica. La risposta è nella capacità di gestioni ed enti d’ambito chiamati di sostenere le famiglie in disagio economico e insieme di contrastare i comportamenti opportunistici (morosità endemica di alcuni territori). Il diritto a un’acqua di buona qualità e a un ambiente salubre non solo va rivendicato ma anche sostenuto, a partire dalla consapevolezza che la tariffa ne è la manifestazione concreta.

Ma va anche superato l’approccio emergenziale in favore di un disegno strategico e industriale che abbia come traguardo il prossimo decennio. Il segnale più concreto di attenzione all’acqua è ripartire dai bisogni e da una strategia industriale da condurre nell’interesse del paese.

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  1. Savino

    L’acqua pubblica è acqua gestita dalla politica

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