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Istituti tecnici superiori alla prova dei dati

C’è molto entusiasmo intorno agli Its, la prima esperienza italiana di offerta formativa terziaria professionalizzante. Forse ingiustificato a guardare i dati occupazionali a un anno dal diploma. Servirebbe più formazione in entrata nelle aziende.

Dati Almalaurea sui diplomati Its

Il peso ridotto della formazione terziaria professionalizzante viene spesso evocato come una delle cause delle difficoltà del nostro sistema manifatturiero nel reperire personale qualificato, anche in vista delle sfide di industria 4.0. Diversi indizi suggeriscono che si tratta di una conclusione in parte fondata. Ciò che è poco fondato, sulla base dell’evidenza empirica, è il giudizio molto positivo, quasi entusiastico, sull’esperienza degli Its (istituti tecnici superiori).
Nati nel 2010 per formare tecnici superiori in aree strategiche per lo sviluppo economico e la competitività, gli Its sono la prima esperienza italiana di offerta formativa terziaria professionalizzante. I corsi prevedono stage in azienda obbligatori per il 30 per cento delle ore complessive e almeno il 50 per cento dei docenti proviene dal mondo del lavoro.
Il Report AlmaLaurea di monitoraggio degli esiti formativi e occupazionali consente di valutare luci e ombre dei percorsi di specializzazione tecnica post diploma, ridimensionando gli entusiasmi. Si sente spesso sostenere che il tasso di occupazione dei diplomati Its a un anno dalla laurea sia pari all’80 per cento. Il dato effettivo è 70 per cento, non molto più elevato di quello relativo ai laureati di primo livello (67 per cento) e inferiore a quello dei laureati di primo livello in ingegneria (74 per cento).
Un risultato non esaltante se si pensa che si tratta di un esperimento realizzato in condizioni ottimali, al quale le diverse parti interessate hanno partecipato con impegno e convinzione. Peraltro, non è da sottovalutare che gli Its sono presenti soprattutto al Nord.
Se poi si analizzano gli altri dati, il quadro risulta ancora meno convincente. Solo circa il 50 per cento dei diplomati occupati è impiegato nell’industria e solo il 30 per cento circa è stato assunto dalla stessa azienda nella quale ha fatto il tirocinio.
Il giudizio sull’efficacia del titolo e sulla corrispondenza tra competenze acquisite e mansioni svolte non appare particolarmente brillante. Il 56 per cento degli occupati dichiara che la coerenza tra attività svolta e contenuti del corso Its è ridotta (36 per cento) o nulla (20 per cento) con punte dell’83 per cento per il settore efficienza energetica. Si richiama spesso il tema dello skill mismatch per i laureati: non sembra che la situazione sia più favorevole in questo caso, anzi.

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Costi e benefici del sistema Its

Queste considerazioni non sono finalizzate a svalutare l’esperimento e a sostenere che non occorra rafforzare la formazione terziaria professionalizzante, ma a ridimensionare le aspettative che motivano ingenti investimenti di risorse nello sviluppo degli Its.
Forse sarebbe opportuno valutare più attentamente costi e benefici dell’operazione e confrontare il costo di un diplomato con quello di un laureato triennale in ambiti formativi comparabili anche in termini di occupabilità (come ingegneria informatica e industriale). Ad esempio, il tasso di disoccupazione a un anno dalla laurea dei laureati del 2015 in ingegneria informatica (16,3 per cento) e in ingegneria industriale (19,5 per cento) è decisamente inferiore al valore fatto registrare dai diplomati degli Its (24,8 per cento). Se poi ci riferiamo ai dati relativi ai laureati di una università del Nord (Padova), il tasso di disoccupazione degli ingegneri scende rispettivamente al 9,4 e all’8,2 per cento.
La legittima domanda di capitale umano più professionalizzato, che ha motivato la richiesta di potenziare la formazione terziaria di tipo B e il varo degli Its, è anche il riflesso di un limite del nostro sistema imprenditoriale, poco propenso a sopportare i costi della formazione in entrata dei lavoratori, cioè quella formazione necessaria a declinare le competenze generali dei diplomati e dei laureati in competenze specifiche. Ed è opportuno ricordare che, in un mondo che cambia rapidamente, i limiti e i rischi di un sistema formativo fortemente orientato alla professionalizzazione sono elevati.

Figura 1 – Tasso di occupazione a un anno per area tecnologica

Figura 2 – Occupati a un anno: coerenza fra attività lavorativa e corso Its per area tecnologica

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  1. shadok

    A mio avviso gli its sono indirizzati a chi non vuole intraprendere un percorso universitario di tipo tecnico-scientifico (ad esempio perché lo ritiene troppo impegnativo), quindi gli iscritti its in gran parte non sono “rubati” ad ingegneria, ma vanno ad incrementare il numero complessivo di giovani con una formazione tecnica. È poi vero che una formazione fortemente professionalizzante rischia di essere meno flessibile, ma un percorso di formazione continua nell’ambito del posto di lavoro è l’unica garanzia di mantenere (e accrescere) la propria “occupabilita”; a quaranta anni quello che hai studiato all’università venti anni prima non ti serve, direttamente, comunque a molto…

  2. Buongiorno, ammetto di essere interessato e coinvolto nel settore, quindi non scevro di conflitto di interessi.
    Proprio per questo evito la difesa tout court di un sistema che nella nostra Fondazione genera occupazione fra l’82% e l’86% (a 12 mesi, 95% coerente) verificabile, non posso però esimermi dal lamentare la pubblicazione nella data odierna, di un rapporto stilato tempo fa e con riferimento ai diplomati 2014! Sono state pubblicate oggi le ricerche INDIRE 2018, inoltre il rilievo è inerente la seconda programmazione 12/14, quindi su un sistema totalmente nuovo, poco promosso e poco conosciuto da famiglie, ragazzi e imprese.
    Apprezzo e frequento http://www.lavoce.info ma stavolta mi sembra un’analisi imprecisa e superficiale.
    Cordiali saluti

    • FRANCESCO FERRANTE

      I dati riportati on line da Indire non consentono di verificare la metodologia di rilevazione e, in particolare, la definizione utilizzata di “occupati”. Sono stati rilevati direttamente dagli Its o da società terze specializzate? Con quale metodologia? Preferisco usare dati vecchi ma affidabili (due anni!). Non comprendo peraltro perché si mettano in unico calderone i contratti a tempo indeterminato e il lavoro autonomo in regime ordinario. Sono pronto a rivedere la mia posizione sulla base di dati frutto di metodologie chiare.

  3. Maria Rosa

    Non intendo entrare nella discussione, essendo anch’io coinvolta nella filiera ITS, che, comunque, costituisce una novità nell’asfittico panorama della formazione superiore statale italiana nin universitaria. Depreco soltanto che non sia stato evidenziato nel titolo dell’articolo che la ricerca si riferiva ai percorsi ITS del 2014; se un lettore non clicca su sul titolo del Report di Alma Laurea (e può succedere), non lo sa e questo non è corretto. Lo dico da affezionata lettrice del sito “Lavoce.info”, cui ho anche contribuito finanziariamente, sia pure in misura molto modesta.

  4. A mio avviso esistono due criticità nascoste nell’analisi:
    a) programma degli ITS forzato dai partner ‘industriali’ che non hanno capito cosa vuole il mercato gia’ al loro interno (poche idee e ben confuse)
    b) discriminazione sulle piattaforme di recruitment di chi non ha una laurea.

  5. Anche se i dati sono non esaltanti va chiarito che 1) sono dati iniziali di un espermento nuovo 2) molto probabilmente in questo modo si vanno a recuperare persone che in parte non avrebbero seguito un corso universitario 3) dai dati è evidente anche che certe specializzazioni sono state adotatte senza degli effettivi criteri di adeguatezza alle effettive possibilità lavorative il che la dice lunga sul collegamento tra mondo del lavoro e formazione postdiploma

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