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Dati Banca d’Italia: una lenta risalita

I dati dell’Indagine Banca d’Italia dicono che il reddito reale delle famiglie è tornato a crescere, seppure lentamente. La povertà relativa continua a salire, ma la povertà assoluta è finalmente in calo, anche se rimane molto sopra i livelli pre-crisi.

Povertà relativa e povertà assoluta

Il 12 marzo la Banca d’Italia ha diffuso i risultati dell’ultima Indagine sui bilanci delle famiglie, relativi al 2016. Ci sono diversi dati positivi: il reddito disponibile ha smesso di cadere e sta faticosamente risalendo, anche se resta ben sotto i livelli pre-crisi. Aumentano il numero dei lavoratori dipendenti e i loro redditi unitari, e anche il numero delle famiglie che riescono a risparmiare. Insomma, una lenta uscita dalla grande recessione.
Eppure, la povertà continua a crescere. Perché non si muove in coerenza con il quadro generale?

Nella presentazione dei risultati dell’indagine si parla di povertà relativa: è povero relativo (o più precisamente a rischio di povertà) chi ha reddito inferiore a una linea data dal 60 per cento del reddito mediano annuale. Quando c’è una recessione il reddito mediano diminuisce, quindi anche la linea scende, e questo limita il numero di famiglie che rimangono sotto di essa. Se per ipotesi tutti i redditi diminuissero nella stessa proporzione, la povertà relativa non cambierebbe pur in presenza di un forte calo di tutti i redditi. Per questo motivo, il criterio relativo è ambiguo in presenza di cambiamenti del livello generale dei redditi, sia in alto che in basso. In Cina, ad esempio, negli ultimi decenni la povertà relativa è aumentata.

In alternativa al criterio relativo se ne può usare uno “assoluto”, che tiene fissa la linea di povertà in termini reali calcolata in un certo momento. Se c’è una forte recessione, con crollo del reddito mediano, questo criterio dovrebbe mostrare un più deciso aumento del numero dei poveri, proprio perché la linea non si adatta al più basso reddito medio. Viceversa, con un incremento generalizzato del tenore di vita, la povertà assoluta scende anche se la diseguaglianza sale. In Cina la povertà assoluta è crollata rispetto a 40 anni fa.

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La figura 1 mostra l’andamento sia dell’indice di povertà relativa che di quello “assoluto”, cioè con linea fissa al 2006. Nell’anno di partenza coincidono. Come è ovvio aspettarsi, la crescita dell’incidenza della povertà durante la crisi è molto maggiore per l’indicatore con linea fissa. La seconda crisi, quella del 2012-13, sembra aver avuto effetti molto peggiori della prima del 2008-10. Negli ultimi due anni l’incidenza assoluta diminuisce, anche se di poco, mentre la povertà relativa continua a crescere. La ragione del diverso andamento è che la povertà relativa è più sensibile alla diseguaglianza. Se ad esempio tutti i redditi salgono, ma quelli alti crescono più della media, allora la povertà relativa potrebbe crescere, perché alcuni non tengono il passo, mentre quella assoluta non può aumentare, perché nessun reddito è sceso.

In Italia la diseguaglianza sta aumentando, e questo si riflette in un aumento della povertà relativa e non di quella assoluta. In dieci anni l’indice di Gini è salito di circa 2 punti, che non è poco: da 0,32 a quasi 0,34, un trend simile a quello misurato dall’indagine Eu-Silc. L’andamento della povertà relativa dipende anche dalla dinamica della diseguaglianza, mentre la povertà assoluta ci dice che la percentuale di persone che vivono con un reddito inferiore alla soglia di povertà fissa sta finalmente diminuendo.

Figura 1 – Incidenza della povertà relativa e “assoluta”

Quanto contano nazionalità ed età

Vediamo ora come è cambiata la povertà assoluta per due dimensioni molto importanti: l’origine (Italia o estero) e l’età. Il rischio di povertà assoluta di chi vive in famiglie con persona di riferimento nata all’estero è più che doppio rispetto alle famiglie dei nati in Italia (figura 2). L’incidenza della povertà per gli stranieri è salita con la crisi molto più che per gli italiani.

Figura 2 – Incidenza della povertà “assoluta” tra le persone, per origine della persona di riferimento

Nota: la persona di riferimento è il membro della famiglia con il reddito più alto.

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L’incidenza della povertà assoluta non è cresciuta durante la crisi per le generazioni più anziane (figura 3 e 4), mentre è aumentata molto per i più giovani, in particolare per chi è nato nel nuovo millennio. La quota di minori sotto la soglia di povertà è praticamente raddoppiata in dieci anni. Tra chi vive in famiglie di nati all’estero, la povertà è cresciuta molto per tutte le fasce di età nei primi anni della crisi, poi si è stabilizzata a livelli molto elevati. Anche per questo gruppo l’incidenza è particolarmente alta tra i più giovani (si noti la diversa scala dell’asse verticale nei due grafici). 

Figura 3 – Percentuale di poveri per anno di nascita – Persone che vivono in famiglie con persona di riferimento nata in Italia

Figura 4 – Percentuale di poveri per anno di nascita – Persone che vivono in famiglie con capofamiglia nato all’estero

Questi dati confermano le gravi conseguenze della crisi sui redditi delle famiglie italiane, in particolare per quelle giovani e straniere, ma forniscono anche alcuni segnali incoraggianti. Da alcuni anni i redditi crescono e l’incidenza della povertà ha smesso di salire e sembra iniziata una sua riduzione, se teniamo costante la linea. Ma se il Pil cresce poco, la povertà non può che diminuire molto lentamente.

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Racconto di due Italie*

  1. Stefano Barozzi

    L’ottima analisi mostra, tra le altre cose e per l’ennesima volta, che la “classe” agiata del Paese è data dagli anziani. E’ sconfortante notare che quasi tutte le forze politiche hanno programmi volti ad accattivarsi pensionati e fasce di popolazione immediatamente successive in quanto più numerose (leggi 13ma/14ma per i pensionati, abolizione Fornero, ecc.). E’ così difficile capire che le generazioni che hanno indebitato il paese fino al collo e avuto fior di regali da parte dello Stato, ora dovrebbero restituire, non ricevere? E’ così difficile capire che continuando a favorire le fasce iper-patrimonializzate e dotate di redditi certi (niente è più certo della pensione – o delle pensioni, dato che la quota di italiani con più di un assegno è molto alta-) distrugge il Paese e ci condanna anzitempo al terzo mondo? Ma secondo i politici, un ragazzo nato negli anni ’90 e 2000, con che coraggio rimarrà in un paese dove tutte le politiche sono disegnate intorno agli ultra 60enni? E’ ora che chi ha avuto indebitamente tanto negli anni d’oro, usi il cospicuo patrimonio accumulato per garantirsi la vecchiaia senza chiedere continuamente alla collettività (leggi ai lavoratori) di farsi mantenere. Se si facessero politiche per il lavoro, per l’aumento della produttività e per i giovani con figli, magari qualche ragazzo in gamba in futuro potrebbe avere delle opportunità, senza per forza essere figlio o nipote di qualcuno che ha accumulato qualcosa. Politici responsabili cercansi.

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