La forza lavoro italiana ha competenze troppo basse per rispondere alle sfide di un sistema produttivo che cambia. Nel frattempo, molti laureati sono sovra-qualificati per le mansioni che svolgono. Spostarsi verso livelli più alti non sarà indolore.
Situazione preoccupante
La forza lavoro italiana ha competenze troppo basse, lo sappiamo da tempo (Piaac–Programme for the International Assessment of Adult Competencies, 2012). Tuttavia, il nuovo rapporto Ocse Getting Skills Right: Italia mette l’accento non solo sulla necessità di innalzarne il livello complessivo, ma di far sì che le competenze che esistono (o che si creeranno nel prossimo futuro) si allineino meglio alle domande delle imprese e del sistema produttivo italiano.
Oggi, circa il 6 per cento dei lavoratori italiani ha competenze insufficienti per svolgere le proprie mansioni sul posto di lavoro e il 18 per cento possiede un titolo di studio inferiore a quello richiesto dalla sua professione. Il 35 per cento dei lavoratori italiani, poi, è impiegato in settori che non corrispondono alla propria area di studio, una condizione che colpisce specialmente i laureati in materie umanistiche, costretti a riciclarsi (con perdite salariali importanti) in lavori distanti dal loro percorso formativo e per cui risultano spesso sovra-qualificati.
Se si incrociano i dati di Almalaurea sui laureati italiani, infatti, è possibile vedere come chi proviene da università che puntano sullo sviluppo di competenze professionali e tecniche di alto livello transiti più rapidamente verso lavori di alta qualità e ben retribuiti e nei quali le loro competenze sono allineate con le richieste delle imprese. Il resto dei laureati rimane, invece, intrappolato in un mercato del lavoro che li colloca in posti di lavoro di scarsa qualità e per i quali, di solito, sono sovra-qualificati.
I risultati, preoccupanti, sono legati a una situazione che può sembrare paradossale. Da una parte, un gruppo d’imprese italiane ad alta produttività (generalmente di grandi dimensioni) fa fatica a trovare le competenze di alto livello di cui avrebbe bisogno, specialmente nel settore dell’elettronica, software, informatica, ingegneria e nuove tecnologie digitali. Dall’altra parte, un vasto numero di imprese di piccole o piccolissime dimensioni, a conduzione familiare, tradizionali e poco innovative ha una domanda di competenze estremamente bassa.
I ritardi italiani
Nel complesso, l’Italia si trova in un equilibrio di basse competenze. Lo mostra bene l’analisi dei nuovi dati Ocse Skills for Jobs sulla domanda di competenze (figura 1). Le economie avanzate (Finlandia, Svezia, Danimarca ma anche Estonia o Norvegia) hanno trasformato il modo in cui organizzano le mansioni sul posto di lavoro così da favorire l’introduzione di nuove tecnologie, ridurre i costi e migliorare la produttività, alla luce delle sfide dei mega-trend (digitalizzazione, invecchiamento della popolazione, automazione) che rimodelleranno il futuro del lavoro. Questi paesi, nell’angolo in alto a destra della figura 1, sono anche quelli in cui la domanda di competenze nel campo dell’amministrazione e della gestione delle risorse è più forte e dove salari, occupazione e ore lavorate dei lavoratori con queste competenze crescono più rapidamente.
L’Italia si trova, invece, nell’angolo in basso a sinistra in un low-skill equilibrium (equilibrio di competenze basse) dove la maggior parte delle imprese non ha ancora adattato il proprio processo produttivo con soluzioni innovative (turnover, mentoring, rotazione sul lavoro e flessibilità nelle mansioni, giusto per citarne alcune) e dove la domanda di competenze manageriali necessarie per guidare il processo di cambiamento è bassa, così come la produttività complessiva delle imprese.
Figura 1 – Equilibrio di competenze basse: link fra cambiamenti nella organizzazione del lavoro e domanda di competenze manageriali
Fonte: Oecd Skills for Jobs Database e Piaac (2012).
Nota: La domanda di competenze manageriali è calcolata nell’indice composto Oecd Skills for Jobs. L’indice si basa sull’aggregazione di diverse componenti quali le dinamiche salariali, di occupazione e disoccupazione, ore lavorate e qualification mismatch a livello di categoria occupazionale 2-digit. I dati sono in seguito incrociati con le competenze richieste in ogni professione per determinare l’ampiezza della domanda aggregata a livello nazionale. Maggiori informazioni sulla metodologia:
http://www.oecd-ilibrary.org/employment/getting-skills-right-skills-for-jobs-indicators_9789264277878-en
Molto rimane da fare, quindi, per spingere l’Italia verso un equilibrio virtuoso dove domanda e offerta di competenze si possano incontrare, entrambe e simultaneamente, a livelli più alti. L’offerta di competenze dovrà necessariamente migliorare e, allo stesso modo, la domanda di competenze di alto livello dovrà rafforzarsi, se non altro come conseguenza di un auspicato svecchiamento del tessuto produttivo italiano e dell’adozione di nuove tecnologie. Le recenti riforme, in particolare Impresa 4.0, sembrano andare nella giusta direzione, ma il cambiamento del sistema produttivo italiano dall’utilizzo del tornio alla stampante 3D non sarà indolore.
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