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Cosa resterà degli anni Novanta

Gli anni Novanta sono stati caratterizzati dall’idea che l’efficienza garantita dai mercati non fosse in contrasto con la tutela dei più deboli. La grande recessione l’ha cancellata. Oggi prevalgono chiusura e protezionismo. E dureranno a lungo.

La fine degli anni Novanta

Ci sono molti modi di leggere i risultati delle elezioni del 4 marzo. Una chiave di lettura rilevante, a mio avviso, è che segnano la fine degli anni Novanta.

Dal punto di vista politico, gli anni Novanta sono stati caratterizzati dall’idea che l’efficienza garantita dai mercati non fosse in contrasto con la tutela dei più deboli. Bill Clinton, Tony Blair e Romano Prodi in Italia erano considerati progressisti rispetto ai loro competitori nazionali, ma dal punto di vista economico l’efficienza dei mercati era, più o meno marcatamente, la loro stella polare.

Alcuni dei pilastri di tale dottrina erano le privatizzazioni (il privato gestisce le imprese meglio del pubblico), le liberalizzazioni (i mercati sono efficienti solo se concorrenziali), la flessibilità e la mobilità e flessibilità dei fattori produttivi (ingredienti necessari per allocare le risorse nel modo più efficiente). Quindi un mercato del lavoro flessibile, libertà di movimento di merci, capitali e persone, seppure con una diversa gradazione. Ovviamente nessuno ignorava che il funzionamento dei mercati comportasse anche la presenza di vincitori e vinti e le conseguenti forti disuguaglianze. Ma raggiunta l’efficienza, era il corollario, ci sarebbero state più risorse da redistribuire anche a chi rimaneva indietro. La stessa redistribuzione doveva essere fatta in modo efficiente. Proteggere i lavoratori e non i posti di lavoro. Dare sussidi di disoccupazione, ma legarli alla ricerca – o al non rifiuto ad accettare – proposte di lavoro. Ricordare che uno dei modi in cui si tutelano gli individui è come consumatori, e quindi con prezzi bassi dei beni di consumo garantiti da concorrenza interna e internazionale.

Il ruolo dei governi era, in questa prospettiva, quello di fare funzionare bene i mercati (un ruolo cruciale era assegnato alle politiche della concorrenza) e di gestire in modo efficiente il sistema di welfare. Il riassunto migliore di queste idee, in Italia, è forse contenuto nel pamphlet di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi scritto in un periodo appena successivo agli anni Novanta, “Il liberismo è di sinistra”.

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La grande recessione iniziata a livello globale nel 2008 con la recrudescenza nel contesto europeo a partire dal 2011 ha cancellato in gran parte queste idee. La domanda di assicurazione che nasce sempre nelle grandi crisi si è incarnata in tutti i paesi in quelli che chiamiamo movimenti populisti. Nel concreto prende la forma di chiusura delle frontiere alle merci straniere (i dazi di Donald Trump), alle persone (la Brexit), di un sistema di welfare più inclusivo e generoso (il reddito di cittadinanza). L’idea che si potesse affrontare l’aspetto di assicurazione separatamente da quello di efficienza è stata rigettata dagli elettori, dopo che per anni i vincitori si erano guardati bene dal compensare i vinti. Si chiede esplicitamente che il governo abbia un maggior ruolo nell’economia, con nazionalizzazioni, chiusura delle frontiere, una maggiore redistribuzione. Insomma, quelle che vengono chiamate politiche sovraniste sono la risposta al fallimento della redistribuzione separata dall’efficienza.

Tre domande

Restano almeno tre domande. La prima è: perché la sinistra tradizionale, almeno in Italia, non è riuscita a intercettare queste esigenze? In fondo redistribuzione e assicurazione sono sue idee chiave. La risposta, a mio avviso, è che la sinistra italiana non è risultata credibile rispetto ad alcuni aspetti delle politiche sovraniste, in particolare rispetto alle politiche sull’immigrazione, uno dei temi centrali di queste elezioni.

La seconda riguarda le risorse necessarie per adottare le politiche di redistribuzione invocate. Nella campagna elettorale di questo aspetto non si è parlato. Meglio, la risposta che si è data è quella di fare più deficit e più debito. Rudiger Dornbush e Sebastian Edwards, nel loro saggio sul populismo economico dei paesi latinoamericani degli anni Ottanta, ci ricordano che tali politiche possono funzionare nel breve periodo. L’esperienza di Trump sembra confermare questa ipotesi. Resta da vedere poi il lungo periodo e qua lo scetticismo è d’obbligo. Protezionismo e guerre commerciali non sono di solito legati a epoche di prosperità.

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La terza domanda riguarda la durata di questa ondata di chiusura e protezionismo. Ovviamente, la risposta è impossibile da dare. Ma se si guarda alle crisi passate (le guerre mondiali, la grande depressione, gli shock petroliferi), il rovesciamento di tali trend richiede molto tempo, lustri più che anni. Gli anni Novanta sono finiti e non torneranno.

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25 commenti

  1. Savino

    La mancetta del reddito di cittadinanza ed il contentino di rispedire a casa i clandestini fermeranno il rancore esagerato degli italiani?

    • Davide

      No. L’elite globalista deve essere spazzata via e con essa tutto ciò che è stato fatto per uccidere la classe media. La tanto glorificata ”libertà di movimento dei capitali” alla fine si traduce in evasione di massa da parte di ricchi e multinazionali nei paradisi fiscali dei microstati. Non comporta alcun beneficio. Serve un embargo totale su questi ultimi, ed espropriazioni per chiunque evade somme elevate. Poi non solo gli italiani, ma inglese, americani etc si calmeranno.

      • Anna

        E il ritorno di un bel regime totalitario di qualsivoglia colore, che lì sì che si stava tutti bene. Vero?

        • Davide

          No. E sottolineo il suo ”di qualsiasi colore”. Sia esso rosso, nero, milanista o di oligarchi finanziari. Quest’ultimo è il regime totalitario sul quale ci siamo avviati negli ultimi anni, si veda Monti ed il suo ”al riparo dal processo elettorale”, ma anche la paranoica censura di stampa contro notizie false (che l’intellettuale globalista chiama ”fake news”, nonostante esista tranquillamente il termine italiano corrispondente, ma quello inglese fa figo- sudditanza culturale verso il mondo anglosassone anch’esso al collasso). Panunzi (giustamente) tocca un tasto delicato: la crisi avrebbe spazzato via il sistema finanziario, e lo stava facendo. Siccome le banche sono i casinò per gli oligarchi, si è optato di salvare i casinò e far pagare i danni alla collettività. Il più grande trasferimento di ricchezza ”bottom-up” (son capace anch’io di fare il globalista) della storia. Adesso è la collettività che presenta il conto. Sacrosanto e sarà altrettanto salato. Non ci sono insulti di populismo, sovranismo, razzismo che tengano.

          • Francesco

            Parla di quella vergognosa distribuzione che ha fatto uscire miliardi di esseri umani dalla povertà assoluta negli ultimi 30 anni? Facendo al tempo stesso crescere i redditi in tutto il mondo sviluppato (basta guardare le statistiche per verificare)? Giusto, la globalizzazione è stata davvero un incubo!

  2. Istwine

    Prof. Panunzi,

    Al di là dell’analisi, per certi versi condivisibile, l’idea che periodi di protezionismo e guerre commerciali (qualunque cosa siano), non siano associate a epoche di prosperità non è del tutto corretta. Mi limito a suggerire la lettura di un autore che sicuramente lei conoscerà, Paul Bairoch – Economics and World History: Myths and Paradoxes, University of Chicago Press (1996).

    Cordiali saluti

  3. MorenoM

    “La grande recessione iniziata a livello globale nel 2008…” qui a mio avviso manca una parte. Da come è posta sembra che la crisi sia scollegata dal quadro. Ritengo invece che la crisi finanziaria abbia marcato profondamente il fallimento dell’idea di una tranquilla coesistenza e di un reciproco supporto tra efficienza del mercato e tutela dei più deboli. I mercati finanziari si sono dimostrati largamente inefficienti (o comunque mal regolati) ed è proprio sui più deboli che si è riverberato l’effetto deleterio. La crisi dei debiti sovrani poi ha finito con l’esacerbare la situazione. Quanto alla redistribuzione se c’è stata è stata piuttosto contenuta e ha riguardato territori diversi da quelli che hanno pagato maggiormente le crisi in termini di deterioramento del benessere.

  4. Marco

    Eppure negli ultimi due decenni ci sono dei paesi che sono riusciti a crescere coniugando mercato e redistribuzione. In molti paesi dell’estremo oriente abbiamo visto crescere sia il Pil nazionale che i redditi dei cittadini, e il loro benessere (Cina e India ne sono un esempio). Anche vicino a noi qualcuno cresce bene e riesce comunque a garantire un ottimo welfare/redistribuzione (Germania ad esempio). Solo che in quei paesi hanno affrontato i loro problemi e ristrutturato le loro economie. Nei paesi dove crescono i populismi, e quindi dove ha fallito il binomio mercato / welfare, le riforme sono state fatte in parte o male.

    • Asterix

      Sull’ottimo welfare esistente in Germania sarei cauto.
      In Germania circa 1 famiglia su 7 vive dei sussidi della riforma Hertz (circa il 14%) che guarda caso si avvicina molto alla percentuale di voti presi dall’AFD alle ultime legislative (12,6%).
      Non mi sembra che tutti i tedeschi siano soddisfatti.

      • Michele

        Ha ragione, non tutti i tedeschi sono soddisfatti. Tuttavia moltissimi italiani sarebbero ben contenti di essere insodisfatti come i tedeschi (basta guardare agli stipendi dei metalmeccanici, oppure degli insegnanti pubblici, oppure al livello del debito pubblico, oppure al trattamento ricevuto dagli immigrati etc etc)

    • Marco Trento

      A noi non risulta che il Germania la crescita economica sia stata accompagnata da ottima redistribuzione. Si legga per esempio l’articolo della Süddeutsche Zeitung del 31 agosto 2017 “Ran an die Firmenerben, Spitzenverdiener und Kapital-Millionäre”.
      In Cina e India tutti erano poveri, quindi per forza qualcuno sta meglio. Il neoliberismo ha fallito. Ha generato ineguaglianze inaudite, precariato e il riemergere del nazionalismo.

  5. Marcello Romagnoli

    Era abbastanza prevedibile che andasse così.

    I mercati funzionano bene se sono presenti i presupposti.

    I soggetti operanti hanno le stesse informazioni (Falso) e sono raziocinanti (falso). Si evitano le concentrazioni eccessive (Falso)

    I governi hanno un potere di regolamentazione (Falso)

    Gli operatori si pongono problemi anche morali e di utilità sociale di quello che fanno (Falsissimo)

    Gli stati si sono visti nella necessità di aumentare il debito perchè erano spinti a diminuire le tasse alla parte della sociatà più ricca (“La concorrenza signora mia, la conconcorrenza. Poi se ne vanno in un paese con le tasse più basse”). La redistribuzione dell’aumento di produttività è stata principalmente a favore della classe più ricca vedendo un aumento generalizzato dell’indice di Gini nei paesi più ricchi. Tutto è stato facilitato dalla globalizzazione che ha permesso ai capitali e alle aziende di poter essere spostate rapidamente mettendo gli stati e i lavoratori sotto continuo ricatto. Le aziende pubbliche sono state amministrate male per avere la scusa per venderle. In Italia le privatizzazioni hanno reso poco rispetto al debito pubblico, ma hanno fatto perdere nel tempo di più allo stato. Nessun privato compra una azienda in perdita, ma solo una che può dare reddito. D’altra parte le aziende private non hanno dimostrato maggiore efficienza del pubblico, basta pensare alle privatissime banche d’affari salvate dagli stati.

  6. Flavio

    Interessante articolo. L’unica cosa che non è stata sottolineata è il mancato riconoscimento da parte del liberalismo degli anni 90/prima metà dei 2000 (sia quello accademico sia quello politico) degli incentivi sbagliati presenti nel sistema finanziario. E questo ha di fatto condotto alla crisi. Da ricordare anche l’idea evidentemente errata, e purtroppo ancora in voga, che l’efficienza dei mercati, unita magari a un minimo intervento statale, potesse anche prendersi cura della protezione dell’ambiente. Cosa che non è avvenuta evidentemente.

  7. MAURIZIO RIVOLA

    La lucida analisi del Prof. Panunzi mi ha aperto la mente ed anche gli occhi per interpretare la situazione attuale e di cio’ lo ringrazio. Quando piu’ della meta’ del corpo elettorale vota partiti che le elites vincenti considerano populisti con un’accezione dispregiativa non hanno capito NULLA: il messaggio insito in quel voto è la VERA VOCE DEL POPOLO SOVRANO. Attenzione a non sottovalutare questo messaggio che in sintesi è questo: l’efficienza dei mercati produce senz’altro benessere ma in modo troppo sperequato(leggi Davide) per cui sono necessari nel breve termine interventi di protezione nelle more di creare un’architettura fiscale equa che riduca le massicce diseguaglianze. Cio’ vale sopratutto nella UE dove non puo’ coesistere un’unità monetaria con un caos fiscale che accentua le diseguaglianze e la competizione tra gli Stati provocando ruba-mazzo di posti di lavoro tra gli Stati : delocalizzazioni interne ecc. (vedi EMBRACO). Quello dell’armonizzazione fiscale è il tema principe pena l’implosione del sistema. E cio’ per il semplice motivo che una politica “assistenzialistica” è troppo costosa e quindi puo’ essere solo di breve periodo. Nel frattempo e’necessario eliminare le storture che provocano le rivolte di vinti. che sono molto di piu’ dei vincitori (soprattutto elites finanziarie ed industriali. ). Se non si fa cio’ il prezzo sarà la rottura della coesione sociale con tutto cio’ che ne consegue.

  8. Valeria

    Analisi interessante, ma mettere insieme Italia, USA e Regno Unito rischia di far confusione. In Italia le vere liberalizzazioni non ci sono mai state e il ‘libero mercato’ e’ sempre stato paralizzato da burocrazie e fiscalita’ complicate e temporanee. Sono state fatte delle leggi per aumentare flessibilita’ nel lavoro ma il mercato del lavoro in Italia non e’ ne’ liberale ne’ concorrenziale ne’ innovativo ne’ florido. La flessibilita’ del mercato del lavoro in UK non ha avuto gli stessi risultati italiani. La disoccupazione e’ molto bassa, quindi certe condizioni lavorative italiane sono fuori discussione (anche se ovviamente UK ha comunque grandi sacche di precarieta’ lavorativa e contratti a zero ore, ma non e’ la norma in quasi tutti i settori produttivi come in Italia). E poi l’Italia non e’ cresciuta cosi’ tanto rispetto agli altri due paesi che si prendono in considerazione. L’economia del Regno Unito, in continua crescita, non ha ridistribuito quasi niente e anzi c’e’ stata l’austerity del welfare. In Italia non c’e’ stato poi cosi’ tanto da redistribuire in confronto, il debito pubblico cresce sempre e l’evasione e’ a livelli stellari.

  9. Michele

    La crisi del 2008 è figlia diretta e legittima degli anni 90 e della malsana idea (lo dicono i fatti) che il liberismo è di sinistra e della bufala che la Trickle-down economics avrebbe fatto tutti dei Berlusconi. Se poi ci aggiungiamo un liberismo fatto solo sul mercato degli altri (regulatory capture, privatizzare i monopoli naturali e rendere pubbliche le perdite etc) allora otteniamo la situazione italiana di strutturale underperforming rispetto alla UE e al mondo. Tutto già scritto. Tutto molto voluto.

  10. francesco Zucconi

    Io vedo che in Cina esiste uno stato centrale che ha mantenuto il controllo della parte strategica dell’economia e che ha permesso, ed incoraggia, una forte concorrenza nella parte “non strategica” di essa; per intenderci: certa sanità non è strategica mentre il cuore del sistema bancario lo è.
    In Italia è impossibile pensare di avere un buon numero di buoni posti di lavoro, quelli che, in definitiva, dipendono da ricerca vera e innovazione vera dei prodotti, senza un intervento statale analogo a quello architettato dal sommo Beneduce e diligentemente proseguito da un Saraceno o da un Mattei.
    Senza una tale industria di Stato, l’Italia avrà un ruolo di semplice subfornitore nella filiera germanica, da mettere in competizione, se va bene, con la Polonia ma, in molti casi, con paesi del vero terzo mondo… Questa costruzione dell’Europa rappresenta la fine dell’Italia, ne facilita l’impoverimento, anche morale, cui stiamo assistendo, e l’ha condotta ad un’asservimento a potenze, di forza confrontabile, ma con interessi assai divergenti dai suoi. La classe dirigente che abbiamo, Monti, Prodi, per non parlare dei dirigenti del Mef auditi nei lavori della commissione presieduta da Casini sulle banche, sono specchio chiarissimo di tale assoluta mancanza di grandezza, di grande visione, di servile
    asservimento. La Sinistra non è neppure in grado di pensare l’Italia a causa della sua storia segnata da profonde spinte antinazionali. Moro è stato ucciso due volte…

  11. Lorenzo

    Come mai non c’è Berlusconi?
    L’Italia nel 1992 era un paese in default. Solo la stella polare dell’ingresso nell’euro ci diede la possibilità di far diminuire il debito (Prodi). Purtroppo gli italiani gli preferirono Berlusconi che scarnificò il tessuto sociale in nome del suo interesse. Il resto (inciuci compresi) è cronaca.

  12. martino

    sono un sostenitore de la voce e apprezzo l’articolo come spunto. tuttavia è da chiedersi se le premesse siano corrette: infatti a mio parere in italia di libertà economica (concorrenza, e incentivi all’iniziativa privata? ce n’è poca mentre di stato ce n’è molto.
    se non erro la p.a. “intermedia”, frapponendosi con tutte le sue storture, almeno il 50% del PIL (correggetemi se erro). domanda: è così dapperutto? e ancora, la spesa pubblica che ROE ha? e la produttività dei dipendenti pubblici? e la loro concentrazione geografica? in francia e germania (vado a sensazione) mi pare i dip. pubb. siano più collaborativi col cittadino e le imprese (e il sistema meno oscuro). ecco a me pare che le “riforme” si rivolgano troppo spesso all’esterno quando lo stato dovrebbe riformare sè stesso prima di tutto. io non mi capacito di sentire espressioni come “neo liberismo” in questo contesto di esproprio fiscale (infatti il 50% è prelevato dai redditi privati). insomma sarebbe sufficente far retrocedere lo stato da molti settori per migliorare la situazione e convincere la gente a darsi da fare (cosa che in meridione, non pare “convenga”).
    sull’immigrazione ritengo la bossi fini una legge demenziale che impedisce agli immigrati “giunti” di essere “in regola” e dunque di lavorare e pagare le tasse. inoltre l’italia non sa produrre integrazione perché il concetto di patria e di nazione è stato svilito e quindi non è condiviso (patria=destra è un grosso errore). che proponiamo a chi arriva?

  13. francesco Zucconi

    Riferendomi ad interventi di lettori precedenti è innegabile che in Italia, alla burocrazia statale si sia sovrapposta una burocrazia regionale, di qualità dubbia e che, notoriamente,
    ciò abbia fatto
    esplodere il debito pubblico; già una riforma seria del titolo V con pesantissime riduzioni delle autonomie regionali e relativo declassamento e depotenziamento delle rispettive burocrazie avrebbe effetti di contenimento del deficit e, in prospettiva, del debito, penso non irrilevante. Il problema, comunque, è come tenere 60 milioni di Italiani all’interno delle nuove dinamiche produttive e con possibilità di avere molti buoni posti di lavoro. La mancanza di una visione strategica circa il progresso nell’ industria nazionale, e, al contempo l’ appoggiarsi a ragionieri atti solo a far valere “vincoli esterni” conduce l’Italia ad un’arretramento morale e materiale estremamente evidente. Ciampi, Monti, Prodi e molti dirigenti anche ministeriali hanno dimostrato di non conoscere il loro paese, perchè lo hanno spinto su una strada per esso chiaramente inadeguata. Prodi non ha mai ridotto il debito pubblico, ha ottenuto un buon risultato nell’avanzo primario…L’Italia sta tornando ad essere, grazie alle loro scelte sbagliate un’espressione geografica.

  14. Per prima cosa è giusto ricordare che quanto affermato (“La grande recessione iniziata a livello globale nel 2008 con la recrudescenza nel contesto europeo a partire dal 2011 ha cancellato in gran parte queste idee.”) non è sempre vero per ogni paese europeo.
    Ci sono due grandi gruppi di eccezioni: la [b]prima[/b] riguarda i paesi del nord-europa (scandinavi, gemania, olanda, svizzera) che sono riusciti per prima cosa a fare grandi riforme ammodernando il welfare e quindi a crescere. La [b]seconda[/b] riguarda i paesi dell’europa centrale (ex cortina di ferro) la cui crescita è stata impetuosa proprio dalla caduta del muro, tanto che oggi, con ritmi di crescita del 50-60% a decennio, hanno in gran parte raggiunto e superato il meridione d’Italia. A livello poi mondiale, quindi uscendo per un attimo dall’ombelico europeo, la crescita di India e Cina è stata tumultuosa. Insomma il problema riguarda piuttosto chi non cresce, perché ha fatto le politiche sbagliate o non le ha fatte del tutto. E qui veniamo all’Italia. Che dagli anni 90 non cresce, anzi perde in produttività.

    Il problema non è sulla credibilità delle proposte ma è la credibilità dei risultati. Nulli o quasi. Sia che abbia governato il centrodestra sia che lo abbia fatto il centro sinistra. Proprio per questo, ridotti alla disperazione, 1/3 degli italiani tenta la via grillina. La sinistra ha guardato alla redistribuzione ma senza crescita produttività non c’è nulla da distribuire.

  15. Quanto alla domanda finale (quanto durerà l’ondata … messuno puo’ prevedere il futuro ma le politiche protezionistiche di Trump stanno innescando una guerra che potrebbe avere conseguenze molto presto sull’orientamento dell’elettorato populista e sovranista.

  16. Marco Nordio

    Mi sembra ci sia una frustrazione crescente da parte di tutto l’elettorato verso la politica. Ormai ci si rende conto che non si possono implementare politiche nazionali diverse da quelle che chiedono i mercati finanziari. Nessun governo di destra o di sinistra puo’ sfuggire a questa logica e quindi vincono quelli che a parole dicono di voler sfidare i mercati ma che nei fatti non riusciranno. Globalizzazione e liberta’ ai movimenti di capitali hanno erosi alla radice lo spazio per politiche economiche nazionali. Le imprese si muovono velocemente se non viene assicurata una tassazione di favore e i mercati obbligazionari allarfano lo spread al primo cenno di deficit in aumento. Non c’e’ alcuno spazio redistributivo se i vincitori hanno tutta la flessibilita’ per eludere le politiche nazionali. Il sovranismo e’ la risposta razionale ma velleitaria perche’ nessuno stato da solo puo’ cambiare questa situazione. L’ unica speranza e’ che l Europa diventi piu sovranista e chiuda tutte le situazioni di elusione fiscale tipo spostamento profitti attraverso la proprieta’ intellettuale. Non si tratta di dazi generalizzati ma di dazi mirati per colpire le imprese che non rispettano il fair play. I sovranisti italiani non hanno ancora capito che l’Europa non e’ il problema ma la soluzione!

  17. Francesco

    Scusi, ma il suo racconto non sta in piedi per una miriade di ragioni.
    Tanto per cominciare, in Italia al governo c’è stato più il centro-destra che il centro-sinistra negli ultimi 20 anni.
    In secondo luogo, non considera l’impatto della globalizzazione sulle economie dei Paesi sviluppati. La crisi ha avuto origine non da un generico malfunzionamento dei mercati ma dall’accumulo di debito pubblico e privato in quei Paesi necessario a mantenere o accrescere il proprio tenore di vita di fronte alla competizione dei nuovi Paesi emergenti.
    Posto che comunque la globalizzazione, per chiunque abbia a cuore l’umanità, non possa non essere vista come un fenomeno positivo, per come ha migliorato la vita di miliardi di persone in Africa e Asia, è chiaro che, non gestita adeguatamente, ha portato a difficoltà economiche pesanti per alcuni (non tutti, attenzione) Paesi occidentali

  18. enzo

    Riguardo il protezionismo.Per molti anni i governi occidentali hanno considerato come pilastri della società L’Impresa e la Finanza, peraltro sguscianti come saponette. La novità sta nel nuovo valore da attribuire a Consumatori e Lavoratori (entrambe le categorie per giunta votano e determinano la legittimazione dei governi). In america sembra che il populista Trump , questa volta senza i veti del congresso (che strano) intenda in realtà trasferire le sedi produttive industriali , siano esse americane che non, sul suolo americano. Vuoi il consumatore americano ? devi prenderti anche il lavoratore americano e magari il fisco americano. Gli americani non smetteranno di acquistare mercedes o fca , ma saranno made in usa. E l’europa saprà affrontare la sfida?

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