Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca a Silvio Berlusconi che ritorna con un suo classico: le tasse.
La pressione fiscale
“Non abbiamo mai messo le mani nelle tasche degli italiani”. Di certo è la formula più famosa della crociata di Silvio Berlusconi contro le tasse, presa poi in prestito anche dagli avversari politici, da Matteo Renzi ai Cinque Stelle. Ma il più affezionato rimane lui, l’ex Cavaliere. L’ha dimostrato nel corso del colloquio con Maurizio Costanzo su Canale 5 (al minuto 46:10), ripetendosi per l’ennesima volta. Per poi, sulle pagine del Corriere della Sera, tornare sull’argomento qualche giorno dopo: “Noi eravamo riusciti a portare la pressione fiscale al 39 per cento – comunque ancora troppo alta – mentre ora è al 43,3”.
Il leader di Forza Italia intende insomma sostenere di non aver mai alzato il livello di tassazione: è l’ipotesi che sottoporremo a verifica.
Partiamo dall’ultima dichiarazione di Berlusconi. La pressione fiscale è uno degli strumenti per misurare il prelievo pubblico nell’economia, in particolare la quota di reddito ritirata dallo stato centrale o dagli enti locali tramite imposte dirette, imposte indirette, imposte in conto capitale e contributi sociali. La formula è infatti il rapporto tra la somma di gettito fiscale e gettito contributivo e il Pil nominale (cioè non corretto per l’inflazione). La pressione fiscale va distinta dalle entrate totali della pubblica amministrazione, che secondo Istat (vedi glossario) comprendono anche le altre entrate correnti e in conto capitale delle amministrazioni pubbliche. I numeri possono essere verificati consultando le principali fonti: Istat, Eurostat e Ocse, i cui dati presentano leggere differenze dovute a differenti modalità di calcolo. Negli ultimi tempi si è aggiunto il ministero dell’Economia, che annualmente corregge le statistiche Istat conteggiando come riduzione di imposte il bonus 80 euro introdotto nel 2014. Misura, pari a circa 10 miliardi, che Istat qualifica come maggiore spesa, come in effetti è dal punto di vista contabile.
La parola dunque ai dati, dal 1994 a oggi.
Tabella 1 – Pressione fiscale, serie storica
Circoscrivendo l’analisi ai governi guidati da Berlusconi (1994-1995, 2001-2006, 2008-2011), si vede come la pressione fiscale sia effettivamente scesa attorno al 39 per cento nel 2005 – come sostiene l’ex Cavaliere – (non prendiamo in considerazione il periodo 1994-1995 in cui i dati dei tre istituti divergono). E, tornando ai giorni nostri, 43,3 per cento è effettivamente l’ultimo dato disponibile secondo Ocse, per il 2015. Tuttavia, l’Istat ha già fornito il nuovo dato relativo all’anno scorso: 42,7 (42,1 al netto degli 80 euro secondo il Mef, pagina 46). Sui numeri perciò Berlusconi è, almeno in parte, impreciso.
Ma il punto è la qualità del dato della pressione fiscale. È un indicatore che ha certamente il pregio di essere legato al Pil nominale, riuscendo così a contestualizzare possibili variazioni del ciclo economico e del valore della moneta. Ma che ha anche alcuni difetti: è comunque influenzato dal ciclo economico e dai comportamenti dei contribuenti oltre che dai provvedimenti assunti da governo e parlamento, tiene conto al denominatore di un Pil che include la parte sommersa (che per definizione non paga imposte e contributi) ed è facilmente mal interpretabile per via della talvolta complicata distinzione tra un taglio di imposte e una maggiore spesa (come nel caso degli 80 euro).
Non si tratta perciò di un buon indicatore per comprendere le politiche di un governo sul prelievo pubblico, e non può dunque essere usato da Berlusconi per dimostrare la propria virtuosità (dal suo punto di vista). D’altra parte, non possiamo nemmeno utilizzare i dati in valore assoluto del gettito fiscale, come ha fatto alcuni giorni il Sole-24Ore con altri fini di analisi, in quanto questi valori non sono depurati del ciclo economico (se l’economia cresce, anche il gettito sale poiché aumenta la base imponibile), né del valore della moneta.
“Non abbiamo mai messo le mani nelle tasche degli italiani”
Resta dunque da verificare la prima affermazione del leader di Forza Italia, ripetuta innumerevoli volte durante il ventennio berlusconiano. Se per chiarire la realtà non è sufficiente il dato della pressione fiscale, serve dunque un’analisi più profonda: se davvero Berlusconi non ha mai alzato il livello di tassazione, come sostiene, tra i provvedimenti varati dai governi di centro-destra non dovremmo trovare alcun aumento di imposte e tasse.
Analizzare un decennio di attività di governo è un’impresa impossibile in singolo un articolo, perciò prenderemo in considerazione un esempio concreto e inequivocabile: l’estate del 2011. Grazie alla relazione di Banca d’Italia del 2011 (da pagina 153) e alla ricostruzione storica di Maria Cecilia Guerra – docente di scienze delle finanze e oggi parlamentare Mdp – scopriamo che nel corso della tempesta dello spread il ministro Tremonti, con l’obiettivo di stabilizzare i mercati, decise un forte aumento delle entrate, in particolare grazie a due decreti estivi (n. 98/2011 e n. 138/2011).
Bankitalia riporta che l’aggiustamento di bilancio nel primo biennio (2011 e 2012) sarebbe derivato “quasi interamente da aumenti delle entrate”, a causa dell’aumento dell’aliquota dell’Iva dal 20 al 21 per cento, l’inasprimento delle accise, l’aumento dell’imposta di bollo sui conti deposito e dell’imposizione sulle attività finanziarie. Il governo Berlusconi introdusse anche una clausola di salvaguardia (cosa è) pari a 20 miliardi, che sarebbe scattata nel caso in cui la legge delega di riforma del sistema fiscale e assistenziale (ultima riga della tabella sottostante) non avesse garantito tagli dello stesso importo (articolo 1, comma 6 del decreto 138/2011, che modifica l’articolo 40 del decreto legge 98/2011).
La delega non raggiunse l’obiettivo e la clausola venne in parte disattivata dal governo Monti. Ma una sua seconda parte scattò durante il governo Letta e portò l’Iva al 22 per cento nell’ottobre 2013 (articolo 11, comma 1 del decreto 76/2013).
Non è dunque un caso se negli anni successivi al 2011, la pressione fiscale è aumentata del 2 per cento. È avvenuto anche a causa delle decisioni prese in quei mesi concitati e scaricate sui governi successivi. Come mostra la tabella, le manovre estive dell’ultimo governo Berlusconi hanno aumentato in modo considerevole il prelievo: di 2,6 miliardi nel 2011 fino ai quasi 40 miliardi (previsti) per il 2014.
Fonte: Le manovre di finanza pubblica approvate nell’estate 2011, Bollettino economico 66/2011, Banca d’Italia
Peraltro, la responsabilità politica di Silvio Berlusconi, in quanto parlamentare e leader di una forza politica, non si esaurisce nei soli anni di governo. Quando il cosiddetto decreto salva-Italia, varato in condizioni di emergenza a fine 2011 dal governo Monti, introdusse l’Imu, l’allora Pdl, Berlusconi compreso, votò in modo compatto la misura, salvo ricredersi solo pochi mesi dopo.
Il verdetto
Se l’attività di governo del centro-destra sembra effettivamente aver contenuto l’aumento delle imposte e delle tasse, nel 2011 – sottoposto a una forte pressione internazionale – l’esecutivo guidato da Berlusconi ha introdotto forti aumenti di tassazione. Per di più, scaricandone gran parte sugli anni – e sui governi – successivi. Scelte probabilmente rese necessarie dalla difficilissima situazione finanziaria del paese, ma che Berlusconi dovrebbe comunque ricordare nelle sue dichiarazioni. Nonostante l’ex cavaliere faccia di tutto per cancellarlo dal ricordo comune, è dunque FALSO che i suoi governi non abbiano mai alzato il livello di imposte e tasse.
La difficilissima estate del 2011 sta lì a dimostrarlo.
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