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Adeguamento dell’età della pensione: il rinvio è un autogol

Rimandare l’innalzamento dei requisiti anagrafici per la pensione sarebbe una scelta sbagliata. Semmai si può intervenire per rendere meno drastico il meccanismo, con revisioni annuali. Sarebbe anche opportuno ampliare le forme di flessibilità in uscita.

Norme e proposte di cambiamento

L’Istat ha rivisto al rialzo le stime della speranza di vita. Dopo il picco di mortalità del 2015, spiegato in gran parte dall’esaurimento dell’inerzia demografica di una popolazione che invecchia, si consolida dunque la naturale tendenza all’aumento, trainata principalmente dal calo della mortalità in età senile. La notizia, certamente positiva, ha tuttavia allarmato il governo perché l’attuale normativa prevede che i requisiti anagrafici per la pensione vengano adeguati di conseguenza.

La longevità più diffusa comporta naturalmente un aumento della spesa pensionistica. Per garantire la tenuta dei conti, la legge Tremonti-Sacconi del 2010 introdusse perciò l’adeguamento automatico alla speranza di vita del requisito anagrafico. Il meccanismo – successivamente rivisto, rafforzato e anticipato dalla riforma Fornero del 2012 – prevede che l’adeguamento avvenga tramite decreto direttoriale, senza bisogno di alcuna ratifica parlamentare. L’obiettivo era quello di rassicurare i finanziatori del debito, esonerando i futuri legislatori dall’ingrato, ma necessario, compito di adeguare i requisiti ai continui cambiamenti demografici. In virtù di tale clausola, la soglia per la pensione di vecchiaia è già stata innalzata nel 2013 e nel 2016, passando progressivamente dagli iniziali 66 anni agli attuali 66 anni e 7 mesi. Il prossimo adeguamento è previsto per il 2019, anno a partire dal quale, dati gli aumenti rilevati nella speranza di vita, si potrà accedere alla pensione di vecchiaia dai 67 anni.

L’ex ministro Cesare Damiano, presidente della Commissione lavoro alla Camera, propone ora di intervenire bloccando l’adeguamento e rinviando la decisione di sei mesi per consentire al prossimo governo di valutare eventuali misure correttive. Il sospetto è che si tratti di un espediente per evitare di varare un intervento impopolare a pochi mesi dalle elezioni; il timore è che il rinvio si traduca in un blocco dell’adeguamento dei requisiti fino al 2021, data a partire dalla quale si innescherebbe la clausola di salvaguardia prevista dalla legge Fornero, che porterebbe comunque il requisito anagrafico a 67 anni. Damiano, forte della falsa credenza secondo la quale i pensionati sarebbero tra le categorie più vessate d’Italia, è riuscito nel difficile compito di mettere tutti d’accordo, dal M5S a parte del Pd, passando per Forza Italia, Lega e, naturalmente, i sindacati.

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Tutti d’accordo, dunque, ma su una proposta sbagliata.

Come migliorare un meccanismo troppo drastico

L’adeguamento delle soglie alle aspettative di vita garantisce la tenuta dei conti previdenziali. Interferire con il meccanismo senza compensare su altri fronti comporterebbe enormi costi diretti (140 miliardi in dieci anni in caso di rinvio dell’adeguamento fino al 2021, secondo l’Inps), ma soprattutto comporterebbe una notevole perdita di credibilità nei confronti degli investitori, con conseguenze prevedibili sullo spread e sul costo del debito.

Il rinvio creerebbe inoltre un pericoloso precedente che renderebbe politicamente più difficili gli adeguamenti futuri e rappresenterebbe un passo nella direzione opposta rispetto all’introduzione degli automatismi, che hanno permesso il progressivo riequilibrio dei conti previdenziali a partire dagli anni Novanta. Insomma, sarebbe una controriforma che vanificherebbe parzialmente i benefici della tanto sofferta legge Fornero.

Il governo sembra fortunatamente esserne consapevole e pare orientato verso una soluzione intermedia, ossia il blocco dell’adeguamento per i lavoratori addetti a mansioni particolarmente pesanti. I costi sarebbero certamente ingenti, ma l’operazione andrebbe a parziale compensazione del fatto che, nonostante le aspettative di vita differiscano significativamente tra le diverse categorie, i coefficienti applicati e i requisiti richiesti sono gli stessi per tutti. Un’ingiusta approssimazione che, dati gli enormi effetti regressivi, andrebbe corretta al più presto.

Uno dei problemi della legge attuale è la drasticità del meccanismo: innalzare il requisito anagrafico di ben quattro mesi non può che generare malcontento. Se l’adeguamento avesse cadenza annuale invece che triennale, come proposto dal presidente dell’Inps, il processo sarebbe più graduale.

Un’altra possibilità consisterebbe nel ripartire diversamente l’adeguamento alla speranza di vita tra l’aumento dei requisiti anagrafici e la riduzione dei coefficienti di trasformazione, spostando maggiormente il peso sul secondo meccanismo. Così facendo, i futuri aumenti della speranza di vita verrebbero parzialmente assorbiti da una maggiore riduzione dell’assegno, permettendo così un adeguamento più morbido dei requisiti anagrafici.

La recente introduzione dell’Ape (anticipo pensionistico), che prevede la possibilità di anticipare il pensionamento in cambio di una riduzione dell’assegno, ha già reso più flessibile l’uscita dal mercato del lavoro. Proseguire in questa direzione, ampliando le forme di flessibilità in uscita, garantirebbe ai lavoratori più ampi margini di scelta, facendo diminuire il perenne malcontento della categoria.

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10 commenti

    • Andrea

      Caro Aldo non funziona così. Non è l’aspettativa di vita che bisogna guardare ma l’età media della popolazione che continua a crescere. Esempio semplificato: Una popolazione ha individui che vanno da 0 a 10 anni poi muoiono. L’aspettativa di vita è 10. Dal 7o anno ricevono pensioni di 1 prima lavorano. Facciamo finta che nella popolazione ci siano 1 persona per ogni anno di età e 10 con 6 anni. e ora fai finta che l’anno successivo l’aspettiva di vita scenda a 9 (si muore a 9). Il primo anno l’età media è (99/19)=5,21 il secondo è (108/18)=6. Le pensioni da pagari il primo anno sono 3. il secondo 12.
      In Italia il problema è demografico,ovvero la struttura della piramide demografica rovesciata, non medico e di aspettativa di vita (la cosa di cui parla l’articolo). L’aspettativa di vita può subire fluttuazioni, e tra l’altro non credo crescerà più di tanto, ma stai sicuro che l’età media continuerà a salire in Italia.
      Spero di averti aiutato a capire un concetto per nulla intuitivo

      • Alberto49

        Facci vedere caro Andrea, i conti che portino a 140 miliardi di aggravio. Ovvero, dicci quante pensioni sarebbero risparmiate all’anno, il costo per lo stato al netto delle tasse che i pensionati verserebbero e facci sapere, secondo la dinamica dell’aumento della speranza di vita, a quale età fra 20 anni si andrebbe in pensione (ammesso che si abbiano i contributi necessari).

        • Aldo

          Dati Istat – Rapporto 2016: dal 2003 al 2014 la quota di coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia DA MENO DI 10 ANNI passa dal 37,4 al 45,9 del totale dei percettori (riferito al settore privato). se i numeri dicono qualcosa questo semplice dato cosa ci dice? vogliamo far salire questa percentuale al 100%? ce la possiamo fare di questo passo…

  1. Se la vita si allunga di cinque mesi ed io vado in pensione cinque mesi più tardi, l’effetto sulla spesa previdenziale sarà zero. Se però il coefficiente di trasformazione, incorporato nel sistema contributivo, riduce l’importo della pensione in funzione della maggiore durata del periodo nel quale la percepirò, mi troverò ad aver pagato due volte per l’allungamento della speranza di vita: il che è obiettivamente iniquo. Ben venga una redistribuzione del carico necessario per la “neutralità attuariale” fra i due canali (età pensionabile ed importo della pensione), ma mi permetto di suggerire all’Autore di valutare anche l’attuale sovrapposizione fra i due meccanismi, e le conseguenze che essa esercita sui rendimenti pensionistici.
    http://www.neodemos.info/articoli/una-tassa-sulla-speranza-di-vita/ (articolo in cui si spiega l’agire del sistema contributivo, scritto quando la legge Fornero era ancora di là da venire).

  2. Savino

    La politica non sia così abietta e agisca pensando alle giovani generazioni.
    Anche altri aspetti del welfare, come le esenzioni di terza età sui ticket sanitari, vanno adeguati all’aspettativa di vita.

  3. Alberto49

    Sento parlare di aggravio dei costi per ilsistema pensionistico di 140 miliardi. Vorrei i numeri con cui è stato calcolato questo aumento, io non ci credo fino a quando non mi si spiega come è stato calcolato.
    Vorrei far presente che il sistema pensionistico (dati 2014) prevede circa 211 miliardi annuio di pensioni (al netto di GIAS e GPT) e 190 miliardi di contributi (al netto stato) e 45 miliarsi di ritorno per tasse sulle pensioni. Siamo ad un avanzo di 24 miliardi a favore del sistema INPS-STATO.
    Pertanto mostrate i conti che avete fatto; questo dovrebbe essere fatto da un sito che dice di essere scientifico.

  4. paolo

    Allora, da quello che vedo, sia Ferro che Balduzzi riescono a conoscere capire e spiegare molteplici argomenti e questo mi mette molta paura. Già ne abbiamo viste di figure simili in questi ultimi anni pontificare sul tema delle pensioni per poi vedere i risultati catastrofici per i lavoratori. Chiunque, e dico chiunque, apra bocca sul tema delle pensioni deve sapere che compie sciacallaggio nei confronti di milioni di contribuenti previdenziali che per decenni hanno versato contributi a go-go nelle casse dell’inps che poi, con una manovra ai confini del fascismo, sono stati confiscati e diliuti in 40 poi 42, 45 anni di contribuzione per arrivare alla pensione.
    So bene quando la Fornero non era la Fornero che conosciamo che lanciava strali dalle pagine del Sole 24Ore demonizzando i lavoratori che osavano andar via a 60 anni, che incuteva terrore ai giovani dicendo che i padri si stavano prendendo tutto… ecco Balduzzi e Ferro stanno ricominciando a compiere la medesima operazione perchè loro o chi per loro gli dice di scrivere in un certo modo (poteri forti? banche? assicurazioni?), non paghi di aver distrutto la previdenza italiana nata, ricordo, con il fascismo e morta con il fascismo moderno, ormai non mandando più in pensione nessuno prima dei 67 anni e più e con oltre 45 anni di contributi (solo mandrake riesce a tanto…) stanno infierendo con sadica perspicacia per raggiungere l’obbiettivo di far pagare le attuali pensioni retributive con il contributive retroattivamente.

  5. Carmine Lo Surdo

    Si continua a sostenere che il debito pubblico e lo spread sarebbero condizionati da un’eventuale riduzione dell’età pensionabile. Il rischio continuando a ragionare in termini puramente numerici è quello di bloccare lo sviluppo. Io penso che dopo 40 anni di contributi effettivamente versati un lavoratore dovrebbe essersi meritato la pensione. La scelta dovrebbe essere volontaria indipendente dall’età se il lavoratore potesse optare per il calcolo interamente con il sistema contributivo collegato all’aspettativa di vita : ad un’età più giovane corrisponderebbe una rendita inferiore. Occorre consentire il ricambio generazionale e favorire l’occupazione giovanile che si traduce in possibilità di creare nuove famiglie che acquistino case e favoriscono lo sviluppo dell’edilizia che é trainante. Nuove famiglie significherebbe anche favorire la natalità (siamo a crescita zero da anni) e l’aumento dei consumi, perché sono le famiglie ed i giovani che consumano. Se si proseguirà ritardando il ricambio generazionale, mantenendo alta la disoccupazione giovanile e la contrattualistica vigente (cococo) oppure l’assenza di contratti si determinerà uno squilibrio economico enorme, perché é una favola che i giovani di oggi pagheranno le pensioni con i loro contributi con lavori intermittenti o senza contratto ai pensionati di domani.

  6. Marcello55

    Senza contare che, se si lavora in proprio, non è detto che si riesca a stare sul mercato: il mondo cambia velocemente, a una certa età può essere difficile adeguarsi.

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