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Vecchiaia di un giovane povero

Come sarà la vecchiaia dei giovani di oggi? Potrebbe essere tutt’altro che serena, perché le difficoltà all’inizio dell’attività lavorativa lasciano una pesante eredità. Aumentano anche le diseguaglianze, che si riducono garantendo uguali opportunità.

La difficoltà di essere giovani

Un recente rapporto dell’Ocse mette in guardia sulle condizioni di vita che i giovani di oggi dovranno affrontare durante la loro vecchiaia. Se in tutti i paesi avanzati lo stato di salute e il livello di reddito delle persone anziane sono notevolmente migliorate nel corso del tempo, non è affatto detto che il trend resti positivo anche nei prossimi anni. Lo stesso miglioramento non si è visto infatti nelle condizioni dei giovani, basti dire che dalla metà degli anni Ottanta a oggi il reddito del gruppo di individui nella fascia di età compresa tra i 60 e i 64 anni è cresciuto in Italia del 25 per cento in più rispetto a quello del gruppo di età 30-34 (figura 1). Un divario particolarmente elevato se si pensa che in media nei paesi Ocse è stato del 13 per cento e che nei paesi anglosassoni la differenza è a sfavore degli anziani.

Figura 1 – Cambiamento nel reddito relativo degli individui nella fascia di età 60-64 anni rispetto agli individui nella fascia di età 30-34 anni dal 1985 al 2015

Fonte: Preventing Aging Unequally

I giovani di oggi si confrontano con condizioni molto diverse da quelle affrontate dalle generazioni precedenti: se i baby boomer hanno goduto durante la propria giovinezza dei benefici derivanti da un periodo di crescita sostenuto, i millennial hanno invece subito gli effetti negativi della grande recessione. Mentre le generazioni nate negli anni Cinquanta-Settanta hanno tassi di occupazione per età molto più alti rispetto ai nati negli anni Trenta, per gli attuali trentenni si osservano valori appena superiori a quelli della generazione nata quaranta anni prima. Sui giovani è ricaduto gran parte del peso sia delle diverse riforme di flessibilizzazione del mercato del lavoro sia della crisi economica. Come mostrato da diversi studi, gli effetti potrebbero essere forti e persistenti. Le difficoltà incontrate nelle fasi iniziali dell’attività lavorativa lasciano una pesante eredità, che esercita i suoi effetti anche venti anni più tardi, riducendo il reddito percepito nel corso della vita, aumentando il rischio di disoccupazione e di lavoro precario, con conseguenze negative sulla salute e sulla soddisfazione sul lavoro (David N. F. Bell e David G. Blanchflower).

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Con sistemi pensionistici come il nostro, che stabiliscono un forte legame tra redditi percepiti e pensione ricevuta, è evidente che gli effetti si estenderanno anche sulle condizioni di vita in età più avanzata. Per l’Italia si stima che gli individui che incominciano a lavorare a 25 anni e con 10 anni di disoccupazione subiranno una riduzione della pensione del 30 per cento.

Figura 2 – Pensioni maturate da lavoratori con reddito medio che incominciano a lavorare a 25 anni e sperimentano dieci anni di disoccupazione

Fonte: Preventing Aging Unequally

Ridurre subito le diseguaglianze

Il rapporto dell’Ocse mette in evidenza non solo le difficoltà incontrate dalle generazioni più giovani, ma anche una maggiore eterogeneità. La disuguaglianza dei redditi è aumentata da una generazione all’altra e in particolare è cresciuta tra i giovani: se si guarda al gruppo tra i 20 e i 34 anni l’incremento della diseguaglianza, misurata con l’indice di Gini, è stato del 10 per cento (in media per i paesi Ocse) per la generazione nata negli anni Ottanta rispetto a quella nata negli anni Cinquanta.

Ciò è il frutto di maggiori diseguaglianze nelle conoscenze possedute e nell’occupazione, che si tradurranno anche in maggiore diseguaglianza pensionistica. Mentre in media nei paesi Ocse due terzi della diseguaglianza nei redditi lavorativi si trasmette alle pensioni, in Italia il tasso di trasmissione è prossimo al 100 per cento. Giungere a una pensione dignitosa sarà particolarmente difficile per i meno istruiti che hanno minore probabilità di essere occupati in età più avanzata (la differenza nei tassi di occupazione tra lavoratori con elevata e bassa istruzione è di 40 punti percentuali per gli uomini e di 50 punti percentuali per le donne).

Poiché le diseguaglianze che si manifestano durante la vecchiaia sono il frutto degli svantaggi affrontati nel corso della vita, è necessario intervenire nel momento in cui si presentano, senza aspettare che cumulino i loro effetti in età più avanzata. La diseguaglianza ha le sue radici nell’infanzia e nella giovinezza ed è in quelle fasi che bisogna intervenire per garantire uguali opportunità. Servizi essenziali come la scuola e la sanità devono essere in grado di compensare le difficoltà derivanti da un background socio-economico più povero. Solo così si potrà spezzare la catena che vede i bambini provenienti dalle famiglie più benestanti in migliore salute, con migliore istruzione e poi con migliori risultati sul mercato del lavoro.

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Non meno urgente è fare in modo che i giovani vengano pienamente inseriti nel processo produttivo. Ben vengano quindi le misure previste dalla legge di bilancio che cercano di avviare i giovani al lavoro attraverso il lancio di un nuovo sgravio contributivo (esteso ai giovani under 35) e la continuazione di altri incentivi introdotti negli anni passati. Positivo anche il tentativo, con la norma anti-licenziamento, di evitare l’uso eccessivo di contratti a tempo determinato. Se da un lato i contratti temporanei possono aiutare il sistema economico a funzionare meglio e permettere sia alle imprese che ai lavoratori di raggiungere un match lavorativo ottimale, dall’altro lato c’è il rischio che si tramutino in trappole che impediscono ai giovani di emanciparsi dalle famiglie di origine e di crearne delle proprie.

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  1. Il sistema previdenziale italiano è completamente sballato, ma lo è stato a partire dalla riforma del 69. La previdenza nella società futura è un problema irresolubile se non si parte dal concetto che lo Stato deve garantire la previdenza a condizioni di favore solo per un importo limitato uguale per tutti, lasciando ad altre forme di risparmio il reddito eccedente. Accanto a questo tipo di previdenza occorre introdurre UBI Universal Basic Income. Tutto l’eccedente non può riguardare lo Stato, ma questo minimo uno Stato moderno è e sarà obbligato a garantirlo. Proviamo a immaginare di partire da qui.

  2. SAVINO

    Possiamo dirlo apertamente che agli italiani non frega nulla dei giovani, intesi sia come meno giovani (fino ai 40-45 anni) sia come giovanissimi. Ancora una volta, la prossima campagna elettorale sarà tutta incentrata sull’assistenzialismo e sulle regalie di sussidi e previdenze, dal reddito di cittadinanza (m5s) all’abbassamento dell’età pensionabile (pd), dalla richiesta, addirittura, dell’abolizione della legge Fornero (lega), alle ipotesi fantasiose di pensione alle casalinghe (forza italia).
    Ancora una volta, gli obiettivi dichiarati saranno due: massacrare i giovani e sfasciare i conti pubblici (che significa, di nuovo, massacrare i giovani).
    L’inserimento nel processo produttivo è solo con lo status di schiavo moderno, mentre i fannulloni anziani (si pensi alla P.A.) sono tutti al caldo o sotto l’ombrello. Ogni centesimo pubblico è solo per gli anziani.
    Credo non si possa fare altro che lasciare questo posto al suo destino di abbandono e di declino e che si detta fare ciò anche con una punta di razzismo e di pregiudizio verso un popolo tutto volto al tesoreggiamento fine a sè stesso e alla paura ed avarizia della sua terza età.

  3. Renato Fioretti

    Le le diseguaglianze nell’occupazione sono frutto delle diseguaglianze di conoscenze.E’ una bella idea intorno alla quale esercitarsi ancora.
    A mio avviso, le diseguaglianze nell’occupazione, con effetti sui redditi, hanno tutt’altra motivazione.
    Nascono da un fenomeno che, da almeno, venti anni, si va affermando in Europa e in Italia.
    E’ la frammentazione e la disgregazione sindacale che ha prestato il fianco a un vero e proprio capovolgimento di quella che, in tempi ormai remoti, veniva etichettata “Lotta di classe”.
    Oggi è l’epoca in cui il sindacato e i lavoratori hanno perso terreno a tutto vantaggio delle classi dominanti; tra queste, i datori di lavoro.
    In particolare in Italia la flessibilità del lavoro ha finito per tradursi in semplice precarietà. II giovani di oggi saranno gli anziani pensionati di domani con trattamenti pensionistici che (forse) riusciranno a garantirgli la sussistenza in vita e questo, a mio avviso – ben confortato da eminenti esperti di legislazione del lavoro e dalle analisi di un “certo” Luciano Gallino – ha poco o nulla a che vedere con le eterogenee “diseguaglianze di conoscenze”!
    Sono il semplice ed inevitabile frutto di un mercato del lavoro che ha livellato “al ribasso” le garanzie e le tutele. Lavori a progetto, false partite Iva, interinale, T. D. reiterato e immotivato, T. I. senza art. 18, Jobs act con la bufala delle “garanzie crescenti” determinano diseguaglianze reddituali e produrranno quelle pensionistiche.

  4. Marcomassimo

    Tutto giusto e sacrosanto, però senza una politica di piena occupazione di tipo KEYSIANO sono parole e intenzioni che lasciano il tempo che trovano; il sistema liberista attuale che domina nel mondo vede la piena occupazione come il fumo negli occhi e viceversa prospera sulla sottoccupaziomne e la precarizzazione che mantiene bassi i costi del lavoro e fa lievitare un certo tipo di profitti a carattere “estrattivo”; se non si parte dalla analisi della radice dei fenomeni è velleitario cercare poi di metterci qualche pezza estemporanea.

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