Si dice spesso che la nuova legge elettorale nazionale deve essere proporzionale perché così ha detto la Consulta con la sentenza sull’Italicum. Ma non è vero. La Corte non ha bocciato il ballottaggio. Anzi l’ha esplicitamente ammesso nel caso dei sindaci.
Sindaci al ballottaggio
L’11 giugno si sono tenute le elezioni in diverse città italiane e nei comuni sopra i 15mila abitanti, nella maggior parte dei casi un vincitore ancora non c’è: come previsto da una legge in vigore fin dal 1993 (legge 81), il 25 giugno si va al ballottaggio tra i due candidati più votati al primo turno.
Salvo rare eccezioni, dovute alla possibilità di voto disgiunto, i vincitori a loro volta si porteranno dietro la maggioranza nel consiglio municipale tramite un meccanismo di premio in seggi per le liste che appoggiano il candidato vincente. Ma come è possibile? La Corte costituzionale non ha bocciato a febbraio il ballottaggio per l’assegnazione dei seggi alla Camera, previsto dalla legge elettorale nazionale (legge 52/2015) il cosiddetto “Italicum”? Perché mai il ballottaggio si può usare per l’attribuzione dei seggi al consiglio comunale, un’assemblea rappresentativa, e non alla Camera dei deputati, anch’essa un’assemblea rappresentativa?
Non solo. Dopo il primo turno delle elezioni per l’Assemblea nazionale in Francia, si è avvertita nella stampa italiana una malcelata invidia per il sistema elettorale francese. Emmanuel Macron, che al primo turno delle elezioni presidenziali ha ottenuto il 24 per cento dei voti, non solo è stato eletto presidente al ballottaggio con Marine Le Pen con il 66 per cento, ma ora per portare avanti il suo programma può pure contare su una solida maggioranza alla assemblea legislativa, a sua volta eletta sulla base di un doppio turno di collegio. Purtroppo da noi un sistema come quello francese non è possibile – si dice – perché appunto la Consulta ha sancito che in Italia il ballottaggio per l’assegnazione dei seggi è contrario alla Costituzione. Ma è proprio così?
Cosa ha scritto la Corte
No, non è così. La Corte nella sua sentenza non ha dichiarato incostituzionale il ballottaggio, ma solo la sua applicazione come prevista dalla legge 52/2015. L’argomento utilizzato è quello della mancanza di “apparentamento”, cioè della possibilità di associarsi tra liste che hanno passato il turno e quelle che non l’hanno passato. Come si legge nella sentenza, “il turno di ballottaggio non è costruito come una nuova votazione rispetto a quella svoltasi al primo turno, ma come la sua prosecuzione”. Il premio attribuito quindi non sarebbe un premio di governabilità, naturale in una competizione a due, bensì un premio di maggioranza artificioso, avendo escluso dalla competizione elettorale tutte le altre forze politiche. In altri termini, sarebbe inutile porre una soglia minima per l’attribuzione del premio di maggioranza (il 40 per cento nella legge 52/2015), così come richiesto dalla stessa Corte quando aveva dichiarato incostituzionale quello senza soglia della legge elettorale precedente (n. 270/2005, il cosiddetto “Porcellum”), se poi al secondo turno il premio è comunque attribuito, indipendentemente dalla percentuale di voti ottenuta al primo turno.
Nel caso delle elezioni comunali, non solo l’apparentamento tra le liste è esplicitamente previsto, ma il ballottaggio serve in primo luogo a determinare l’identità del titolare del potere esecutivo locale, non la composizione di un organo legislativo. Per la stessa ragione, il sistema delle elezioni parlamentari francese sopravvivrebbe in Italia senza problemi, in quanto incardinato all’interno di un sistema maggioritario, con collegi piccoli, e strumentale proprio a esaltare la rappresentatività del collegio stesso.
Il futuro
È importante aver ben chiari questi punti ora che si discute di riforma della legge elettorale. I partiti possono legittimamente decidere di tornare a un sistema puramente proporzionale. Ma non possono usare le sentenze della Corte come alibi per giustificare le loro scelte. La Corte non ha dichiarato incostituzionale il ballottaggio, né tantomeno ha indicato il sistema proporzionale come unico possibile.
È importante ricordarlo anche per un’altra ragione. Se si sceglierà di tornare a un sistema puramente proporzionale a livello nazionale, il meccanismo di elezione diretta dei sindaci diventerà un’anomalia. Non a caso, la legge sui primi cittadini è stata approvata negli stessi anni in cui si approvava il Mattarellum, costruito sull’elezione diretta dei parlamentari in collegi uninominali (per il 75 per cento dei seggi) e la formazione di maggioranze prima delle elezioni.
Nel nuovo sistema post-maggioritario che si configura, è facile prevedere una volontà di “restaurazione” da parte dei partiti, che oltre a riportare al proporzionale anche il sistema elettorale dei comuni, elimini anche l’elezione diretta del sindaco, facendolo scegliere dal consiglio municipale. Del resto, questo era il modello della prima repubblica. E nonostante il fatto che i cittadini abbiano più volte espresso la loro soddisfazione per l’elezione diretta del sindaco, compreso il ballottaggio. Se avverrà, sarà una scelta legittima, ma non certo una scelta che discende dalle sentenze della Corte. Saggiamente, nella sentenza 35/2017 questa scrive: “l’affermata illegittimità costituzionale delle disposizioni scrutinate [la legge 52/2015, appunto] non ha alcuna conseguenza né influenza sulla ben diversa disciplina del secondo turno prevista nei comuni di maggiori dimensioni, già positivamente esaminata da questa Corte”. Più chiaro di così.
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