Serve una riforma complessiva per riportare razionalità nel sistema di tassazione del reddito personale, distinguendolo dal sostegno alle famiglie. Come ottenere maggiore equità, benefici per gran parte dei nuclei familiari e riduzione della povertà.
Perché il sistema non funziona
Negli ultimi anni, gli interventi fatti sull’Irpef e sulle altre componenti di prelievo e beneficio per persone e famiglie hanno concesso solo premi e incentivi, senza essere inseriti in una riforma complessiva. Di conseguenza, ci ritroviamo con aliquote marginali effettive che variano dal -100 al +100 per cento (e oltre) in corrispondenza di determinati intervalli di reddito, detrazioni familiari che per meno della metà sono fruite dai nuclei più poveri a causa dell’incapienza, mentre l’incidenza dell’imposta si impenna appena superati i 28mila euro, con una pressione sui redditi medi non molto diversa da quella registrata sui redditi milionari.
Quali potrebbero allora essere le linee guida di una riforma del sistema dei benefici fiscali a parità di costo del lavoro?
La proposta
È innanzitutto necessaria una chiara distinzione tra Irpef e contributi sociali, definiti su base individuale con una progressività più regolare, e sostegno ai nuclei, definiti invece su base familiare. All’interno di questo progetto di riforma, sono possibili varie soluzioni. Quella che qui delineiamo costerebbe circa 7,5 miliardi – finanziabili con la ridefinizione di due aliquote Iva, oltre che con una modesta spending review residuale. Ecco i principali dettagli, che riprendono e precisano le idee già esposte su questo sito.
Sul piano contributivo, una fiscalizzazione dei contributi a carico dei lavoratori di cinque punti percentuali (sui poco più di nove) consentirebbe di beneficiare redditi talmente bassi da non essere raggiungibili attraverso sgravi Irpef. La fiscalizzazione avrebbe un tetto di poco più di mille euro, con una calo graduale oltre i 30mila euro lordi fino ad azzerarsi poco sotto i 90mila euro. Si tratterebbe di una struttura simile all’Earned Income Tax Credit statunitense e di fatto permetterebbe di aumentare il reddito disponibile dei giovani e delle donne (che hanno retribuzioni più basse) senza introdurre espliciti riferimenti all’età o al genere.
Per l’imposta personale, le nuove aliquote potrebbero essere: esenzione fino a 1200 euro, 20 per cento fino a 12mila, 25 per cento fino a 20mila, 30 per cento fino a 28mila, 35 per cento fino a 40mila, 41 per cento fino a 70mila, 45 per cento fino a 200mila, 50 per cento oltre, con contestuale assorbimento del contributo di solidarietà del 3 per cento previsto oggi oltre i 300mila euro.
Le detrazioni familiari uscirebbero dall’Irpef, mentre quelle per tipo di reddito sarebbero rese fisse: rispettivamente 1.000, 800 e 200 euro per dipendenti, pensionati e autonomi a contabilità semplificata. Ciò permetterebbe di azzerare l’aliquota implicita aggiuntiva che oggi scaturisce dal decrescere delle detrazioni spettanti. Il bonus di 80 euro, che genera aliquote marginali elevatissime in ingresso e in uscita e anomale disparità di trattamento (ne è escluso infatti chi guadagna meno di 8.150 euro annui), sarebbe assorbito dalla nuova Irpef.
Le addizionali Irpef, regionali e comunali, oggi producono salti d’imposta perché sono calcolate sull’intero reddito appena risulta dovuta l’Irpef. Inoltre queste causano anche un’inutile disparità applicativa fra regioni e comuni. Verrebbero perciò sostituite da sovrimposte, cioè da percentuali dell’Irpef decise dalla regione e dal comune, nel rispetto del principio del finanziamento federalista, ma con una progressività decisa a livello nazionale.
Per quanto riguarda il sostegno ai nuclei familiari, si costituirebbe un nuovo assegno universalistico in sostituzione di quelli oggi esistenti, come gli assegni al nucleo familiare, l’assegno di maternità e le detrazioni familiari. E sarebbe coperto solo in parte da una estensione del contributo Cuaf – cassa unica assegni familiari (1,2 per cento, di cui lo 0,68 per cento è a carico del datore di lavoro in caso di dipendenti, e il minimale imponibile uguale a quello previdenziale vigente in caso di lavoratori autonomi, come avviene tra l’altro già oggi).
L’assegno sarebbe dapprima definito in base al numero e al tipo di componenti del nucleo familiare (2.500 euro per ogni minore o studente, 1.250 per altri figli a carico, 750 per altri a carico) e poi reso decrescente in base al reddito equivalente su base familiare tra i 28mila e i 70mila euro (con pesi ispirati alla scala di equivalenza utilizzata dall’Istat). Si dovrebbero considerare tutte le tipologie di reddito, in particolare quello forfettario-figurativo di mercato da patrimoni finanziari e immobiliari.
I vantaggi
Una struttura di questo tipo ha numerosi e significativi effetti redistributivi: una riduzione della povertà e della concentrazione; un andamento più regolare dell’incidenza del sistema al crescere del reddito; l’abolizione di picchi positivi e negativi delle aliquote marginali effettive, che risulterebbero sempre non decrescenti.
Alcuni dei risultati possono essere osservati nel grafico 1.
Figura 1 – Incidenza sistema tax benefit senza e con riforma

Fonte: elaborazione con modello di microsimulazione tax benefit.
La riforma interverrebbe in modo significativo sulle situazioni di disagio economico, individuale e familiare, riducendo il cuneo fiscale proprio per le retribuzioni più basse e reattive in termini di offerta di lavoro.
In termini di incidenza delle variazioni di carico contributivo, il grafico 2 mostra che questa specifica proposta di riforma favorirebbe tutti i nuclei familiari, a eccezione delle coppie monoreddito senza figli.
Figura 2 – Incidenza variazioni imposte e benefici su reddito per tipo di nucleo familiare
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