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Perché il Rei può funzionare

Quanti sono i poveri e quanto costerà il Rei?

Ringrazio per i commenti alle due recenti note, “Per il reddito di inclusione arriva un buon Memorandum” e “Quello che ancora manca a un Rei efficace”, e cerco di rispondervi.
Renato Filosa pone due domande di rilievo: (i) qual è il numero di famiglie e persone ammissibili al Reddito di inclusione (Rei)? Quale sarebbe il fabbisogno finanziario per il Rei esteso a tutte le famiglie povere?
Rispondono al primo interrogativo le stime dell’Istat sulla povertà assoluta. Nel 2015 risultano povere 1,58 milioni di famiglie e 4,6 milioni di persone. Non tutte le famiglie ammissibili richiederanno la prestazione, per varie ragioni: mancata conoscenza della misura, stigma associato al rivelarsi povero, attività irregolari che inducono a evitare controlli, e altro ancora. Le esperienze di reddito minimo in paesi europei suggeriscono un tasso di utilizzo dell’ordine del 70-80 per cento, il che dà 1,1-1,3 milioni di famiglie beneficiarie. Il Rei arriverà poi a regime in 4-5 anni, quando ragionevolmente il numero dei poveri sarà un po’ calato. La stima più articolata e attendibile della spesa pubblica a regime resta dunque quella di Cristiano Gori e dei suoi coautori: circa 7 miliardi l’anno.
Muovendo da 1,7 miliardi stanziati per il 2018, ne mancano tra i 5 e i 5,5. Serve quindi un credibile e impegnativo piano di legislatura, che assicuri il finanziamento strutturale annuo del Rei a regime al più nel 2022.

Con quale criterio estendere il Rei?

Come procedere verso “l’universalizzazione” del Rei? Elisabetta suggerisce di estendere la priorità ai disoccupati almeno quarantasettenni.
Le categorie prioritarie sono definite dalla legge delega. A mio avviso, per tutte le altre famiglie in povertà assoluta è bene lasciar perdere priorità categoriali. La scelta più equa, e più semplice, è «dare prima a chi sta peggio»: partire dalle famiglie più povere e procedere con la graduale estensione degli ammissibili e il graduale incremento del beneficio monetario.

Sì a gradualità e a un attento monitoraggio, ma con obiettivi chiari

Da Dario Micchi vengono tre preoccupazioni: il beneficio economico erogato col Rei rischia di sommarsi ad altre provvidenze pubbliche; il reddito disponibile per una famiglia povera dopo il Rei non dovrebbe essere «superiore a quello di un cittadino che lavora»; essendo il Rei una misura costosa, dovrebbero accedervi soltanto residenti di lungo periodo.
Condivido la motivazione sottostante: il Rei dev’essere una misura senza degenerazioni “assistenzialistiche”. Occorre perciò evitare che il Rei si aggiunga ai benefici delle troppe, frammentarie misure assistenziali oggi presenti, il che richiede il loro riordino. Inoltre, il Rei va realizzato nella sua interezza: beneficio economico, fornitura di servizi adeguati, obbligo dei singoli beneficiari di osservare gli impegni del patto di inclusione sociale e, se abili al lavoro, di (re)inserimento lavorativo.
Non condivido, invece, le due ultime affermazioni. Il riferimento al «reddito di un cittadino che lavora» è vago e a mio giudizio non è utile. Soprattutto durante la grande recessione, l’accresciuta precarietà del lavoro e la compressione dei salari hanno dilatato di molto i lavoratori a bassissimo reddito. Tra le famiglie con capofamiglia operaio o simile, nel 2007 l’incidenza della povertà assoluta era dell’1,7 per cento; nel 2015 è salita all’11,7 per cento. Per queste famiglie la funzione del Rei è integrare il reddito da lavoro del capofamiglia (e di eventuali altri membri), consentendo loro di raggiungere uno standard di vita dignitoso.
Infine, il requisito di un periodo minimo di residenza è ragionevole, per evitare “migrazioni assistenziali” verso l’Italia. Ma ipotizzare la soglia a dieci anni è decisamente troppo. Sarebbe incoerente con i tratti distintivi del Rei, con gli orientamenti dell’UE (che già è intervenuta sui requisiti di residenza per l’accesso a diverse prestazioni sociali del Friuli-Venezia Giulia) e con l’ordine di grandezza dei requisiti che vigono per le attuali misure di contrasto della povertà.

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  1. Massimo

    L’importo del REI, pari a 187 euro a persona, è semplicemente vergognoso.
    Gli ideatori del REI partono dal presupposto che se la somma fosse più alta sarebbe un incentivo a rimanere a casa enon cercare lavoro, ma ignorano (o fingono di non sapere) che trovare un lavoro al giorno d’oggi, sopratutto per gli over 50, è difficilissimo.
    Quel poco di lavoro che c’è è a tempo determinato e spesso sottopagato.
    Perché non prevedere il lavoro garantito per le categorie svantaggiate quali over 50, nuclei familiari sotto la soglia di povertà, ecc.? Non sarebbe più dignitoso?
    Anche perché con 187 euro al mese come può una persona pagare le bollette e mangiare?

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