Nella vicenda Madia c’è una tendenza preoccupante a mischiare fatti e sospetti, fatti e (pre)giudizi, e fatti diversi, e a confondere giudizio politico e questione della tesi. Nuove prove che dimostrano l’inconsistenza di alcune accuse. Altre accuse rimangono in piedi.
Non avrei mai pensato di finire per essere percepito come difensore della ministra Madia, io che la ritengo una pessima ministra, come ho scritto e motivato più volte in altre occasioni. Ma ora vedo una tendenza preoccupante a mischiare fatti e sospetti, fatti e (pre)giudizi, e fatti diversi, a incolparla di tutto senza sentirsi in dovere di procurarsi le prove. So che nel paese delle cospirazioni questi miei interventi saranno interpretati come il frutto di debiti da pagare, di potenti da ingraziarsi, di conti da saldare, oppure, come scrive Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano dell’11 aprile, di corporazioni (quella accademica) da difendere, ma voglio correre questo rischio. Ho scritto sul caso Madia il 10 aprile qui: In questo nuovo intervento presento alcune nuove prove che dimostrano l’inconsistenza di alcune accuse; altre rimangono in piedi.
Nella sua tesi di dottorato, Marianna Madia (MM) ha fatto un uso generoso del copia e incolla ed è stata piuttosto parca nelle citazioni, come rivelato da Laura Margottini in un eccellente articolo sul Fatto Quotidiano del 28 marzo. Poiché tutto questo è accertato, voglio concentrarmi sulla vicenda oggi al centro della discussione: l’esperimento pubblicato nel capitolo 3. Per riassumere i termini della vicenda su cui sono tutti d’accordo: il capitolo 3 della tesi di MM contiene una parte introduttiva, fatta in gran parte di copia e incolla, e un esperimento. I capitoli 2 e 3 della tesi sono coautorati con Caterina Giannetti (CG), una compagna di corso, che però nella tesi non compare come coautrice. MM, in una nota ringrazia CG e Maria Bigoni (MB), un’altra compagna di corso esperta di esperimenti ma non coautrice del lavoro, per l’aiuto nel condurre l’esperimento. Fin qui i fatti incontrovertibili.
Veniamo alle parti più controverse. Ci sono essenzialmente due accuse.
1) Prima accusa: L’esperimento non è mai stato condotto. Un articolo di Laura Margottini sul Fatto Quotidiano del 7 aprile è intitolato: “Marianna Madia, il ministro ha mentito: non ha mai fatto la ricerca nella tesi”. Un’accusa ben più grave del plagio, con tanto di sentenza già scritta nel titolo.
Ho potuto visionare le mail dalla responsabile di Tilburg che confermano: a) la presenza di una domanda per l’esperimento, con le date del 6 (due sessioni, una al mattino e una al pomeriggio) e 13 ottobre, a firma di CG; b) l’avvenuta effettuazione della sessione del 13 ottobre. Al momento di scrivere queste righe l’amministratrice non aveva spedito le conferme delle sessioni del 6 ottobre, che però è possibile ricostruire perché sono stati ritrovati i file dell’esperimento, che segnano automaticamente la data e il minuto. È dunque semplicemente falso che l’esperimento non sia mai stato condotto.
2) Seconda accusa: Anche se l’esperimento fosse stato condotto, MM non vi ha avuto alcun ruolo. Questa posizione si compone di numerose parti:
2.a) MM non è mai stata a Tilburg. Sempre Margottini apre il suo articolo del 7 aprile con un’altra sentenza senza appello: “Marianna Madia non è mai stata nell’università olandese di Tilburg”, perché secondo la portavoce dell’università “Marianna Madia non è mai stata studente in visita a Tilburg”.
Anche questa parte dell’articolo di Margottini è un gigantesco non sequitur: si può non essere stati visiting student (un ruolo che necessità l’autorizzazione dell’università), ma essere stati a Tilburg a lavorare alla tesi con le collaboratrici. E questo è esattamente ciò che è successo: MM è stata a Tilburg in quel periodo e tenne un seminario. Ci sono almeno tre testimoni, oltre a CG, che parleranno nelle sedi appropriate, dato che credo ci sia di mezzo una querela per diffamazione.
Secondo Margottini a Tilburg infatti non risulterebbe traccia di un seminario di MM. Ma chiunque lavori all’università sa che sono frequenti le presentazioni informali tra studenti di dottorato e anche tra docenti, per presentare i risultati preliminari e ricevere commenti. Non sono seminari formali, non sono annunciati su intranet o con poster.
In ogni caso, non occorre essere fisicamente vicini al coautore per fare ricerca. Oggi le interazioni avvengono per email, telefono e Skype. Ho collaborato con coautori che non ho mai visto nel periodo di stesura del lavoro.
2.b) In ogni caso, MM non avrebbe avuto tempo di usare i risultati dell’esperimento per la propria tesi, una posizione sostenuta da Stefano Feltri sul FQ dell’ 11 aprile. L’esperimento terminò il 13 ottobre. La versione definitiva della tesi fu depositata il 18 novembre. Trentacinque giorni per presentare i risultati dell’esperimento, in un lavoro coautorato, quindi settanta giorni potenziali di lavoro per un quarto di capitolo di tesi. Perfettamente fattibile per un lavoro approssimativo come la tesi della Madia. Trovo una certa dose ti ipocrisia in chi dice che sia impossibile: gli archivi di tutte le università del mondo (inclusa la mia) sono pieni di tesi concluse in fretta, per motivi buoni o cattivi. In ogni caso, un conto è la bassa qualità, un altro è una frode.
2.c) L’esperimento è stato copiato. Stefano Feltri e Laura Margottini sul Fatto Quotidiano del 2 aprile scrivono che “le variazioni sono minime”. Ho letto il testo dei due esperimenti e ne ho parlato con CG e MB. Come ho già spiegato, le piccole differenze che sembrano esserci sono in realtà sostanziali, perché consentono di studiare un elemento nuovo, le tutele crescenti. E non c’è niente di strano nell’usare le procedure di un esperimento esistente e cambiarle solo dove necessario: anzi, è un procedimento comune e scientificamente accettato.
2.d) In ogni caso, MM non era in grado di avere un ruolo nell’esperimento. Questa obiezione mi è stata fatta oralmente. Quasi tutti gli accademici hanno lavori coautorati. Su tutti può nascere il sospetto che non sia farina del loro sacco. Gli unici che possono corroborare questo sospetto sono i loro coautori, ed in ogni caso le affermazioni di questi ultimi andrebbero verificate. Secondo CG e MB, l’idea dell’esperimento fu di MM, così come suoi furono molti apporti concettuali che portarono alla stesura del protocollo dell’esperimento. Perché nel caso di MM, e solo nel suo, in tanti si sono inventati l’inversione dell’onere della prova, per di più contro ogni indizio contrario? Il fatto che MM non sia stata fisicamente presente alle tre sessioni degli esperimento è irrilevante. Le tre sessioni dell’esperimento sono una parte minima del lavoro.
Credo di avere mostrato che alcune delle accuse a MM non tengono. Rimangono, come ho scritto senza alcuna difficoltà, dubbi e domande, oltre ai copia e incolla e alle citazioni selettive:
- La mancata citazione della coautrice in due capitoli della tesi.
- Perché tutto questo sia stato consentito da parte dei vertici dell’IMT che erano al corrente della presenza di una coautrice.
- Perché i vertici dell’IMT abbiano acconsentito a che almeno un membro esterno della commissione di tesi venisse tenuto all’oscuro della presenza di una couatrice.
Tutte accuse gravi, cui qualcuno prima o poi dovrà rispondere puntualmente.
Una versione di questo articolo è stata pubblicata sul Fatto Quotidiano.
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