La direttiva europea del 2014 sugli appalti pubblici ha introdotto la possibilità di utilizzare i comportamenti passati delle imprese nelle decisioni di scelta dei contraenti privati. In che modo gli stati recepiscono la novità nei loro ordinamenti?

Perché il rating d’impresa

A meno di un anno dall’entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici e delle concessioni, il governo si appresta ad approvarne una modifica complessiva. Dopo una prima fase di utilizzo e la risposta del mercato degli appalti pubblici, la riscrittura di numerosi articoli recepisce i suggerimenti proposti dagli operatori, con l’obiettivo di rilanciare gli investimenti e le opere pubbliche.
Particolarmente attuale sembra essere allora una riflessione comparata sul rating d’impresa, inserito nel nuovo Codice e la cui attuazione è affidata alle linee guida dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione). Ciò è ancor più vero proprio alla luce delle modifiche che l’articolo 33 lettera (g) della bozza di decreto correttivo introduce all’articolo 83 comma 10 del Codice, che lo disciplina in Italia (e che analizzeremo in un secondo articolo).
Ben prima della direttiva europea del 2014, l’idea di un rating di impresa nel settore degli appalti pubblici era stata introdotta negli Stati Uniti con l’ampia riforma del 1994 (Federal Acquisition Streamlining Act). Gli acquirenti pubblici hanno iniziato a prendere in esame i comportamenti delle imprese aggiudicatarie nell’esecuzione dei precedenti contratti pubblici e ciò ha permesso l’accumulazione di dati e informazioni, che possono essere consultati dalle stazioni appaltanti attraverso una apposita piattaforma informatica (il Past Performance Information Retrieval System). Si hanno così maggiori elementi di valutazione anche per quanto riguarda l’affidabilità di un’impresa nell’eseguire la prestazione prevista dal contratto. Ed è per questo che i comportamenti pregressi sono oggi utilizzati come parametro fondamentale di valutazione nella scelta del vincitore della gara, in un sistema che ha messo gli acquirenti pubblici nella condizione di operare in modo più flessibile e simile al settore privato.

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Le scelte degli stati UE

In Europa, fino al 2014, era vietato l’utilizzo dei comportamenti pregressi nell’esecuzione dei contratti come criterio di selezione dei contraenti, con la sola eccezione di casi estremi, nei quali gravi violazioni contrattuali avevano comportato sanzioni da parte dell’autorità giudiziaria.
Con la direttiva 24/2014 si è fatto un passo in avanti. Secondo l’articolo 57, comma 4.g, l’impresa che abbia mostrato significativi o persistenti inadempimenti nell’esecuzione di un precedente appalto, tali da determinarne l’anticipata risoluzione o da legittimare un risarcimento dei danni o rimedi equiparabili, può essere esclusa dalla partecipazione alla procedura di aggiudicazione. Regole analoghe valgono per le concessioni pubbliche, disciplinate dalla direttiva 23/2014.
Ma in che modo i vari stati recepiscono la novità nei loro ordinamenti? La figura 1 offre uno schema per rispondere alla domanda. La sua attuazione varia significativamente tra i paesi, sia per il grado di dettaglio rispetto a cosa misurare (soltanto i casi menzionati nell’articolo 57 o anche altri parametri?), sia per come le misure debbano essere impiegate nella selezione dei contraenti (preservando la flessibilità lasciata dalle direttive o regolando rigidamente l’utilizzo dei comportamenti passati?). La forma di attuazione più comune è quella dei “requisiti minimi”: i paesi – è il caso, ad esempio, di Francia, Germania, Olanda e Spagna – si limitano a trasporre nel proprio ordinamento un testo sostanzialmente identico a quello della direttiva, aggiungendo solamente un limite al periodo entro il quale si raccolgono le informazioni sui comportamenti dell’impresa che chiede di partecipare alla gara: per esempio, in Francia sono i tre anni precedenti alla gara.
Nel Regno Unito, invece, l’utilizzo del comportamento pregresso dell’azienda nei tre anni precedenti la gara diviene più flessibile e la sua copertura maggiore. Infatti, qualsiasi elemento che prefigura una cattiva performance può essere registrato in una apposita scheda compilata dal responsabile della procedura di acquisto al termine del contratto. Riguardo alla flessibilità nell’utilizzo delle informazioni, la legislazione britannica richiama articoli della direttiva europea che fanno riferimento ai criteri di selezione dell’offerta e che conferiscono alla stazione appaltante la facoltà di valutare come parametro integrativo della competenza tecnica e professionale anche la presenza di un sufficiente livello d’esperienza dell’impresa partecipante alla gara, desumibile dalle informazioni sui contratti eseguiti in precedenza. Il Regno Unito ha scelto, dunque, un meccanismo di recepimento meno formalistico e più flessibile, che introduce un utilizzo ampio dei comportamenti passati.
Per quanto riguarda l’Italia, il legislatore ha scelto una combinazione diversa, che coniuga una legislazione dettagliata su cosa debba essere monitorato a un’elevata rigidità su come debbano essere utilizzate le informazioni. Per molti aspetti, l’introduzione del rating d’impresa nel nostro paese appare eccessivamente farraginosa e limitante rispetto alle potenzialità di miglioramento della qualità degli appalti pubblici espressa dallo strumento in altri ordinamenti. Ma ne discuteremo più a fondo nel prossimo articolo.

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Figura 1

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