Per misurare il costo degli interventi previsti dalla legge di bilancio sulle pensioni, il presidente dell’Inps ha richiamato il concetto di debito implicito. Ma è azzardato considerare spese e risparmi su un orizzonte troppo lungo. Efficace redistribuzione tra pensionati della stessa generazione.
I costi di due riforme
Nelle scorse settimane il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha insistito sul concetto di debito implicito per misurare il costo degli interventi in ambito previdenziale. Il debito implicito è calcolato guardando al valore attualizzato delle spese e delle entrate future: in altre parole una riforma che spende molto oggi, ma risparmia molto domani crea meno debito implicito di una riforma che spende poco oggi.
La legge di bilancio 2017 per il capitolo pensioni prevede le misure riportate nella tabella 1. Tranne l’anticipo pensionistico sociale (Ape), sono tutte misure strutturali che avranno effetti permanenti sul bilancio e quindi aumentano il debito implicito. Dalla tabella 1 sono escluse le spese per la quattordicesima, per il cumulo gratuito, per l’estensione della no tax area e altri interventi che non riguardano strettamente le scelte future di pensionamento quanto le pensioni in essere.
Tabella 1 – Maggiori oneri in milioni di euro
Confrontiamo queste misure con la riforma “non per cassa ma per equità” proposta da Boeri, le cui spese previste sono nell’ultima colonna della tabella 1. In una qualunque delle sue formulazioni, quest’ultima implica spese maggiori nei primi dieci anni rispetto alle misure della legge di bilancio. Anche se aggiungiamo tutte le altre spese del capitolo pensioni, in particolare gli 800 milioni annui per le quattordicesime, il totale di spesa previsto in legge di bilancio risulta inferiore. La riforma di Boeri risparmia su un orizzonte di trenta anni o più, sostanzialmente perché se più gente va in pensione prima e non accumula contributi, la spesa futura per pensioni sarà minore. In conclusione, la riforma “non per cassa ma per equità” costa di più se valutata su dieci anni, ma costa di meno della riforma in legge di bilancio se valutata su trenta anni o più.
Il problema del concetto di debito implicito è che non è credibile che la riforma “non per cassa ma per equità” ripagherà i costi dopo il 2030. La Ragioneria generale dello Stato e la Commissione europea utilizzano come criterio di valutazione delle riforme i primi anni di spesa e valutano solo in astratto concetti come il debito implicito per la semplice ragione che i governi cambiano e anche le riforme possono cambiare. In un sistema a ripartizione, i lavoratori di oggi (giovani e meno giovani) pagano con i loro contributi i costi dei primi dieci anni di spesa, ma nessuno ci garantisce che dopo il 2030 i costi verranno davvero compensati da minori spese oppure che nel frattempo la riforma non venga cancellata.
Equità oggi e domani
Questo per quanto riguarda il profilo distributivo tra generazioni. Ma il segno è assai diverso anche nella redistribuzione tra pensionati della stessa generazione. “Non per cassa ma per equità” favorisce i pensionandi con pensioni da 1.500 euro in su. Solo loro a 63 anni di età e con venti anni di contributi possono andare in pensione pagando una penalità. I maggiori oneri della riforma sono quindi diretti nei primi dieci anni a questo gruppo.
La legge di bilancio afferma invece un concetto diverso: chi è in una condizione difficile può avere un’indennità gratuita a 63 anni fino all’età pensionabile, chi invece non lo è può avere un prestito agevolato per fare un ponte di tre anni e sette mesi verso la normale età pensionabile di 66 anni e 7 mesi. In questo modo si ottengono due risultati. In primo luogo i maggiori oneri di spesa pubblica sono concentrati sulle categorie più deboli (lo stesso concetto di redistribuzione vale per la quattordicesima anche se non è legata all’Isee), mentre l’Ape volontaria ha un costo del tutto marginale: chi può permetterselo contribuisce a pagarsi l’anticipo della pensione. Allo stesso tempo, non si intacca il principio fondamentale di correlazione tra la speranza di vita e l’età pensionabile che ci ha permesso di rendere i nostri conti pubblici sostenibili agli occhi della Commissione europea.
Quali sono le categorie svantaggiate meritevoli di tutela? Per due anni in via sperimentale avranno accesso a un’indennità ponte di tre anni e sette mesi (ovvero a 63 anni) tutti coloro che con trenta anni di contributi sono disoccupati e hanno finito gli ammortizzatori sociali, sono invalidi civili al 74 per cento o assistono famigliari di primo grado con disabilità grave ovvero tutti coloro che hanno 36 anni di contributi e per gli ultimi sei hanno fatto occupazioni pesanti come l’operaio edile, l’autotrasportatore e il facchinoLe stesse categorie possono accedere alla pensione con 41 anni di contributi invece di 42 anni e 10 mesi se sono lavoratori precoci – ovvero se hanno dodici mesi di lavoro effettivo prima dei 19 anni di età. In conclusione la riforma “non per cassa ma per equità” e gli interventi previsti in legge di bilancio hanno caratteristiche molto diverse che verranno prese in considerazione in una nota tecnica a cura del nucleo di valutazione della politica economica della presidenza del Consiglio.
* L’autore è Consigliere economico della Presidenza del Consiglio
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