Le tasse sui carburanti coprono ampiamente i costi sociali generati dalle auto in termini di emissioni di CO2. Il settore risponde perfettamente al principio del “chi inquina paga”. Non si capisce allora perché Europa e Italia continuino a destinare ingenti risorse al trasporto ferroviario.
Trasporto su strada virtuoso
Una recente ricerca dell’Ocse, che concerne quarantuno paesi sviluppati (Ocse e G20) e l’80 per cento delle “emissioni climalteranti”, ha analizzato il grado di tassazione sulle emissioni, per via fiscale e tramite l’“emission trading”, cioè il mercato dei permessi di emettere CO2.
I risultati (tabella 1) confermano appieno quelli della ricerca del Fondo monetario internazionale di un anno fa.
Anche il costo esterno assunto per ogni tonnellata di CO2 è analogo: 30 euro/tonn (contro i 35 dollari dell’Fmi). Il valore può certo essere considerato troppo basso, ma altrettanto certamente i valori relativi tra settori rimangono invariati. Comunque, la pressione fiscale complessiva in Europa per il settore stradale è enormemente superiore (circa dieci volte tanto) e secondo il Fondo monetario internalizza in media buona parte degli altri costi esterni (sicurezza, congestione).
Il trasporto stradale dunque risulta anche qui più virtuoso degli altri, pur contribuendo in assoluto relativamente poco alle emissioni totali climalteranti (solo il 15 per cento circa a livello globale e non più del 25 per cento in Europa, secondo i dati Ipcc – Intergovernmental Panel on Climate Change).
Ma non è certo questo il punto più importante che emerge dalla ricerca Ocse. Il punto consiste invece nell’ennesima dimostrazione che il principio ambientalista mondiale noto come “chi inquina paga” (o “tariffe pigouviane” per gli economisti) continua a essere sia quello più equo che quello più efficiente. Equo in quanto accolla agli inquinatori tutti, e soli, i costi sociali che generano agli altri; efficiente perché minimizza i costi complessivi dell’abbattimento delle emissioni, senza necessità di altri interventi dello Stato, in quanto incentiva automaticamente tutti i soggetti inquinatori a ridurre le emissioni nei modi meno onerosi.
Sui trasporti, si può osservare che la fissazione di standard tecnici per le emissioni dei veicoli (E1, 2, 3 e via elencando), pur essendo certo una soluzione meno efficace rispetto alle tasse sulla benzina, può essere accettata perché fa ricadere comunque sugli inquinatori i costi che generano (i veicoli “puliti” costano di più), e riduce l’opposizione della potente lobby dei produttori accelerando il rinnovo del parco veicolare.
Ferrovie e ambiente
Suscita perciò perplessità l’atteggiamento politico europeo (per esempio, i corridoi ferroviari) e italiano (“la cura del ferro”), che ignora sistematicamente il principio “chi inquina paga” in favore di una elevatissima spesa pubblica per una strategia del tutto diversa: il supporto a fini ambientali del modo di trasporto alternativo alla strada (per le lunghe distanze), cioè quello ferroviario. Per di più la costosa strategia, dopo decenni di applicazione, sembra conseguire risultati molto limitati.
Ma assumiamo pure strumentalmente che quel principio ambientale non si voglia “politicamente” rispettare (per esempio, per difendere le grandi imprese pubbliche ferroviarie nazionali e i loro fornitori, fonti di occupazione e di voti). Un altro ne rimane tuttavia indiscutibile: la necessità di minimizzare i costi economici di abbattimento delle emissioni climalteranti. E qui, di nuovo, il settore dei trasporti non è quello per cui tali costi siano minimi.
Innanzitutto, sembra ovvio cessare di sussidiare i settori più inquinanti, in particolare l’agricoltura, che è ancora oggetto di notevoli trasferimenti di risorse pubbliche sia europee che nazionali (in Italia, per svariati miliardi di euro annui, anche con argomentazioni assai peculiari, come “l’autonomia alimentare”, con il corollario della “difesa del suolo agricolo”).
Una ulteriore considerazione economica sulla scarsa efficienza degli interventi sui trasporti stradali è riconducibile alla ridotta elasticità ai prezzi del settore rispetto ad altri, che non può che essere ricondotta all’elevata utilità percepita rispetto ad altri modi di trasporto, in particolare quelli ferroviari. Infatti per questi ultimi l’elasticità alle tariffe è tale che anche contributi modesti, che fossero richiesti agli utenti per il finanziamento delle infrastrutture, determinerebbero un crollo dell’utenza, tanto che devono essere prevalentemente finanziate in Europa a carico dell’erario (in Italia, al 100 per cento).
Da ultimo, non si può non evidenziare un fenomeno paradossale: se, come anche le ricerche Ocse e Fmi qui citate e l’economia ambientale sostengono, il principio “chi inquina paga” è efficiente, ne consegue che non solo orientarsi principalmente sul settore del trasporto stradale è molto inefficiente in termini relativi (cioè rispetto ad altri settori), ma potrebbe generare addirittura perdite assolute di benessere sociale in tutti i casi (per esempio, trasporti di persone sulle lunghe distanze) in cui vi è convergenza nel valutare che le attuali tasse sui carburanti superino tutti i costi sociali generati (sicurezza e congestione, oltre che emissioni).
Tabella 1 – Tassazione media efficiente* (espressa in euro/tonn CO2) nel totale dei paesi esaminati (pari all’80 per cento circa delle emissioni climalteranti totali)

Fonte: “Effective Carbon Rates”, Ocse 2016, pag. 54 *Assunta come almeno pari a 30 euro/tonn CO2
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