Nel Documento di bilancio inviato a Bruxelles il governo si impegna a proseguire il lento calo del deficit e a iniziare una riduzione del debito sempre promessa ma finora mai realizzata. I risultati più consistenti sono in arrivo, grazie alle clausole di salvaguardia future, solo nel 2019.
Gli obiettivi di finanza pubblica assunti dal governo
Nel Documento di bilancio provvisorio 2017 (Draft Budgetary Plan) inviato a Bruxelles, il governo italiano mette per iscritto obiettivi e impegni di finanza pubblica per il prossimo triennio. Nel documento due tabelle sono più importanti delle altre. La prima (la III.1.6) è relativa agli obiettivi di deficit pubblico (General Government budgetary targets). La seconda (la III.1.7) è relativa agli obiettivi di debito pubblico. Ne riassumo gli elementi essenziali in una sola tabella riportata sotto.
Tabella 1
Il deficit scende grazie al calo della spesa per interessi e a misure una tantum
Il governo intende far scendere marginalmente il deficit pubblico nel 2017 dal 2,4 del 2016 (a sua volta inferiore al 2,6 del 2015 e al 3,0 del 2014) al 2,3 per cento del Pil. L’impegno futuro è quello di (quasi) azzerare il deficit nel 2019. Malgrado l’accordo raggiunto con la Commissione nel maggio 2016 di arrivare all’1,8 nel 2017, a distanza di pochi mesi, il governo si presenta all’Europa con uno sforamento di mezzo punto di Pil (da 1,8 a 2,3) rispetto agli impegni precedenti. Con un Pil 2017 a 1.703 miliardi di euro, mezzo punto di Pil vale 8,5 miliardi di maggiori spese e minori entrate. La parte preponderante del deficit aggiuntivo è costituito da spese per due emergenze, quella dei rifugiati e quella del terremoto di fine agosto nel centro Italia, per un totale di 0,4 punti di Pil.
Dalla tabella si vede poi che la riduzione del deficit 2017 non arriverà da minori spese vive o maggiori entrate, ma piuttosto dalla riduzione della spesa per interessi sul debito pubblico. L’avanzo primario (la differenza tra entrate e spese vive, riga 2) infatti cala da 1,5 a 1,4 punti di Pil, mentre la spesa per interessi sul debito pubblico (riga 3) scende di tre decimi di punto percentuale, da 4 a 3,7 punti percentuali. Il tasso di interesse medio che l’Italia sta pagando sul suo debito nel 2016 è ancora del 3,1 per cento. Ma gli interessi sulle emissioni più recenti riflettono i costi sensibilmente più bassi determinati dai tassi a zero prevalenti sui mercati finanziari. In futuro, il saldo primario salirebbe al 3 per cento nel 2019 mentre in parallelo proseguirebbe la discesa della spesa per interessi.
Scendendo nella tabella, si può anche notare che il deficit non diminuirebbe nemmeno di quello 0,1 se non fosse per l’adozione di misure una tantum, cioè le misure che non rappresentano fonti di maggiore entrata o di minori uscite permanenti, ma solo per un anno particolare. La tabella dice che nel 2017 tali misure conteranno per lo 0,2 per cento del Pil (3,4 miliardi) mentre contavano solo per lo 0,1 (1,7 miliardi) nel 2016. Al netto delle misure una tantum, il deficit 2017 rimarrebbe costante al suo livello del 2016, al 2,5 per cento.
Il deficit strutturale cresce
Se poi si depura il deficit dalle circostanze cicliche che lo rendono automaticamente più elevato negli anni di vacche magre (come il 2009 e il biennio 2012-13) e più basso negli anni di vacche – relativamente – grasse (come il 2010 o il 2015), emerge che il deficit strutturale è in aumento di 0,4 punti, fino all’1,6 per cento nel 2017. Dal 2018, tuttavia, il deficit strutturale dovrebbe riprendere il suo cammino fino al sostanziale azzeramento programmato per il 2019.
Per finire, il debito pubblico – in aumento nel 2016 al 132,8 per cento rispetto al suo valore 2015 (doveva invece scendere) – è dato in lieve riduzione nel 2017 e in calo più marcato nel 2018-19, fino a raggiungere il 126,7 per cento del Pil nel 2019.
Il domani è sempre meglio dell’oggi
Nel complesso, il quadro di finanza pubblica descritto dalla tabella propone un domani di conti pubblici in equilibrio e debito pubblico in calo marcato. Un domani molto migliore di un oggi in cui per ora si fatica a leggere segni definiti di vero miglioramento, non cosmetico, dei saldi di finanza pubblica.
C’è poi da considerare che i miglioramenti di domani sono fortemente influenzati dalla dinamica del Pil a prezzi correnti, dato in aumento del 3 per cento circa (si vede dalle ultime righe della tabella) sia nel 2018 che nel 2019. Tale crescita è però influenzata in modo cruciale dall’effetto inflattivo delle clausole di salvaguardia (aumenti automatici di Iva) non ancora disattivate. Un aumento dell’Iva fa salire l’inflazione e questo a sua volta fa crescere il Pil a prezzi correnti (la somma della crescita del Pil reale e dell’inflazione). Un aumento del Pil a prezzi correnti riduce deficit e debito in rapporto al Pil. Succede poi che le clausole vengano (per fortuna) disattivate di anno in anno e il denominatore del rapporto tra variabili di finanza pubblica e Pil evolve in modo sempre meno favorevole del previsto. Il deficit scende poco e il debito non scende affatto.
Se il domani della finanza pubblica sembra meglio dell’oggi, non è solo per l’inguaribile ottimismo dei politici: c’è anche la mano visibile di chi disegna le manovre di finanza pubblica.
Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.
5 Commenti