Lavoce.info

Gabbie salariali: il caso è chiuso*

Le moderne tecniche statistiche permettono di rispondere a quesiti a lungo dibattuti. Come le gabbie salariali, il sistema di differenziazione territoriale delle remunerazioni in vigore nel secondo dopoguerra. Uno studio suggerisce che l’effetto sull’occupazione di quegli anni sia stato modesto.

L’esperienza delle gabbie salariali – il sistema di differenziazione territoriale delle remunerazioni in vigore nel nostro paese nel secondo dopoguerra – viene chiamata in causa (ad esempio qui) ogni qual volta si discute dell’opportunità di assetti contrattuali che prevedano la possibilità di una diversificazione dei salari a livello locale. È un richiamo un po’ curioso, non solo perché le opzioni regolatorie in discussione oggi sono diverse da quelle adottate nel 1945, ma anche perché nulla si sa se quello schema salariale abbia contribuito o meno a sostenere l’occupazione di quegli anni.

L’effetto delle gabbie sull’occupazione

In un nostro lavoro recente (“The Impact of Local Wage Regulation on Employment: A Border Analysis from Italy in the 1950s”, in corso di pubblicazione sul Journal of Regional Science) abbiamo utilizzato alcune moderne tecniche statistiche per verificare gli effetti delle gabbie salariali. Si sono confrontate per gli anni Cinquanta le dinamiche occupazionali di comuni di province adiacenti, sottoposte però a diverse zone salariali in base alle regole allora vigenti. Studiare territori contigui permette di meglio isolare l’impatto delle regole salariali, rispetto a quelli relativi agli innumerevoli fattori che possono influenzare il funzionamento del mercato del lavoro. Allo stesso tempo, consente di focalizzarsi su quello che accade nelle vicinanze del confine tra due diverse zone, che in linea di principio rappresenta, per via dei più ridotti costi di mobilità rispetto a trasferimenti di più lunga gittata, l’area che maggiormente potrebbe riflettere le conseguenze dell’aver fissato retribuzioni diverse.
I nostri risultati mostrano che:

  • per i settori del comparto industriale soggetti alle regole delle gabbie nella provincia con salari più bassi e limitatamente ai territori più vicini al confine, si è avuta una maggiore crescita occupazionale. Ad esempio, all’interno di una fascia di 15 chilometri dal confine provinciale, un salario dell’1 per cento più basso determina una maggiore crescita del 2,25 per cento (misurata su un intervallo decennale);
  • l’effetto di riallocazione si indebolisce man mano che ci si allontana dal confine. Si esaurisce sostanzialmente entro 45 chilometri;
  • ulteriori evidenze suggeriscono che per l’occupazione privata (non agricola) complessiva, che comprende sia i settori inclusi nella regolamentazione sia quelli non inclusi non vi sarebbe alcun effetto, neanche al confine.
Leggi anche:  Il decreto Lavoro non aumenta il precariato

L’effetto delle gabbie sembra quindi essere stato limitato solo ai settori oggetto della regolamentazione e ai territori prossimi al confine provinciale.
Una conferma arriva dalla dinamica della popolazione residente, per cui non troviamo mutamenti significativi: è quindi probabile che lo spostamento di parte dei posti di lavoro tra aree contigue abbia aumentato semmai solo il pendolarismo.
I nostri risultati continuano a valere se si tiene conto delle circostanze per cui: a) forme di regolamentazione salariale esistevano pure nel settore agricolo; b) i territori meridionali furono oggetto negli stessi anni di significativi programmi di sviluppo (come quelli finanziati attraverso la Cassa per il Mezzogiorno); c) le dinamiche occupazionali di quel periodo hanno risentito delle migrazioni dalle campagne alle città.

* Le idee e le opinioni sono quelle degli autori e non investono la responsabilità delle istituzioni di appartenenza.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Bilancio positivo per l'occupazione nel 2023

Precedente

Nord e Sud divisi anche dalle infrastrutture

Successivo

Perché il bail-in è costituzionale

  1. Antonio Aquino

    Secondo “eurostat pressrelease” del 1° aprile 2016″, nel 2015 il costo medio per le imprese industriali di un’ora di lavoro è stato circa 60 euro in Norvegia, 43 euro in Danimarca, 38 euro in Francia, 38 euro in Germania, 28 euro in Italia, 26 euro nel Regno Unito, 23 euro in Spagna, 11 euro in Portogallo, 9 euro in Polonia, 5 euro in Romania …….. . Se le differenze nel prezzo del lavoro non hanno alcuna influenza sulla localizzazione delle attività produttive a localizzazione non vincolata (la cui mancanza è la causa principale della fortissima disoccupazione nel Mezzogiorno), sarebbe interessante capire la ragione di queste differenze nel prezzo del lavoro fra i paesi europei. Perché non portare in tutti i paesi il prezzo del lavoro al livello di quello della Norvegia, eliminando così queste inutili “gabbie salariali” in Europa?
    Cordialmente,
    Antonio Aquino

    • Roberto

      Per Antonio Aquino: nella fonte da Lei citata e nel documento più ampio da cui è tratta, non vedo il valore della Norvegia. Le differenze sono certo MOLTO ampie e suscitano molte questioni….

  2. La gabbia salariale è servita a mantenere un parallelismo tra produttività e salari. Utile a scongiurare disoccupazione, povertà e bolle speculative. Come descritto ampiamente nel concetto del GAP-SALARIALE, di Ravi Batra (www.irprout.it).
    L’impiego viene incrementato con l’attuazione dell’autosufficienza produttiva, che porta alla massima occupazione.
    Contro i dettami tendenziosi del WTO, della liberalizzazione, la filosofia dei ricchi.
    E questo gli economisti dovrebbero saperlo.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén