Un nostro articolo sull’overeducation di tre anni fa ha riacquistato vita grazie ad un un caustico post di Michele Boldrin sul proprio profilo facebook. Sapevamo di affrontare un tema spinoso e di grande rilevanza per le famiglie italiane, per i docenti a diversi livelli e tanti altri ancora. Il nostro scopo principale era aggiungere elementi di informazione a un tema sul quale l’informazione è ancora troppo poca. Forse è tornato di attualità nei giorni in cui tanti giovani e tante famiglie si apprestano a fare la scelta fatidica della loro vita: quella del percorso universitario.
Nel nostro articolo evidenziamo che nonostante i bassi livelli di istruzione terziaria, tuttavia, molti laureati sono costretti a lavorare come diplomati, a causa del carattere troppo arretrato del sistema produttivo e delle falle del nostro sistema di istruzione terziario.
Boldrin sostiene che è poco credibile l’esistenza di overeducation – vale a dire un eccesso di istruzione – in un paese che ha il più basso livello d’istruzione nella Ue. Allora egli ipotizza che la definizione adottata sia sbagliata e che in ogni caso non sia un problema preoccupante. Meno credibile dell’overeducation è l’overskilling, cioè l’idea che i nostri giovani abbiano competenze non usate nel sistema. Inoltre, egli sostiene che il problema dei nostri giovani è semmai la bassa quantità e qualità dell’istruzione fornita ai giovani. Seguono centinaia di commenti sullo stesso tono da parte di diversi suoi contatti che richiedono una risposta.
Se mancano le competenze per l’impresa
Anche a causa della brevità e del titolo, l’articolo non può chiarire bene le nostre “teorie” a riguardo, che comunque si possono approfondire in altri lavori più ampi e dettagliati. Il titolo, del resto, è stato scelto proprio perché provocatorio e se non fosse che tende a sviare un po’ l’attenzione del lettore, andrebbe benone. Però, dobbiamo chiedere al lettore di non fermarsi al titolo per arrivare a delle conclusioni sul nostro lavoro.
Nonostante i bassi livelli d’istruzione terziaria, in termini comparati rispetto agli altri paesi, c’è stata una forte crescita della percentuale dei laureati, passati da poco più del 14 per cento a poco più del 27 per cento dei giovani sotto i 35 anni, un fattore di quasi due. Il tutto in una fase di crescita economica lenta e senza un cambiamento strutturale sufficiente a far sviluppare i settori a più alta tecnologia. Questo fa considerare un certo eccesso di offerta abbastanza prevedibile. Gli effetti si sono fatti già sentire nel crollo delle iscrizioni.
Come si accennava, però, il nostro punto chiave è che l’overeducation italiana dipenda proprio dalla mancanza, come qualcuno dei lettori più attenti ha rilevato, di competenze lavorative nei nostri giovani. Non è colpa loro, siamo d’accordo con Boldrin, e neppure solo o tanto della domanda – poiché nel lungo periodo domanda e offerta tendono a uguagliarsi – ma del sistema di istruzione.
Quindi, la nostra interpretazione è che l’overeducation italiana sia perfettamente compatibile con la teoria del capitale umano (anziché essere contro, come si diceva in passato). I nostri giovani hanno una formazione che privilegia solo alcune componenti del capitale umano (quelle teoriche e astratte), come è tipico dei sistemi d’istruzione sequenziali (anziché duali), mentre mancano le competenze work related che sono le più richieste dalle imprese.
Missione del sistema d’istruzione sequenziale è solo l’istruzione; in quello duale è il capitale umano a tutto tondo, compresa l’esperienza lavorativa generale e specifica. Nel primo tipo di sistema è più difficile per i neo-laureati trovare lavori da laureati e più tipico usare l’overeducation come modo per entrare nel mercato del lavoro, acquisire le competenze lavorative e poi iniziare la carriera vera.
Overskilling e overeducation
Per come è formulata nei dati AlmaLaurea la definizione di overskilling, va intesa pur sempre rispetto al possesso delle competenze che si acquisiscono con la laurea, in fondo in modo poco dissimile dall’overeducation: i neolaureati sentono di non usare quelle competenze (spesso solo teoriche e astratte) che la laurea fornisce. In questo senso un po’ limitato si parla di overskilling nel nostro articolo.
In conclusione, la nostra interpretazione è che l’overeducation italiana sia dovuta non tanto a un eccesso di offerta, né solo ad un’insufficiente domanda. Essa non è dovuta neppure a una bassa qualità dell’istruzione, in senso stretto, ma ad una discrasia evidente fra le competenze, per lo più teoriche ed astratte dei nostri laureati, e quelle collegate al lavoro richieste dalle imprese.
Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.
3 Commenti