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Repubblica-Stampa e Corriere: terremoto in edicola

Dopo l’uscita di Fca dai quotidiani, nasce un nuovo gruppo editoriale proprietario de La Repubblica e La Stampa. Quello dei media è però un mercato particolare. E l’analisi degli effetti su concorrenza e pluralismo dovrebbe essere svolta a livello regionale e provinciale. Le prospettive di Rcs.

L’industria della stampa

Il gruppo Fca ha deciso di cedere le partecipazioni nella società Itedi, editrice di La Stampa e Il Secolo XIX, che procederà alla fusione con il Gruppo Espresso, editore di La Repubblica e di molti giornali locali. E contemporaneamente ha scelto di uscire dall’azionariato del Gruppo Rcs, editore del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport, di cui oggi è il principale azionista. Due notizie che hanno agitato come uno tsunami il mondo dell’editoria e della politica nell’ultima settimana.
Proviamo allora a cogliere le dinamiche industriali sottostanti alle due decisioni e a chiederci quali riflessi potranno avere in un settore delicato come quello della stampa e per le tematiche del pluralismo.

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(Elaborazioni lavoce.info su dati ADS)

Dall’inizio della crisi economica nel 2008 il numero di copie diffuse dai quattro giornali coinvolti nell’operazione si è fortemente ridotto, e più marcatamente per i due quotidiani leader, Corriere e Repubblica. Analoga contrazione si è osservata nei proventi pubblicitari. L’intrecciarsi di una crisi economica che dura ormai da oltre sette anni – e che ha ridotto il numero di lettori e di inserzionisti, erodendo le due fonti di ricavo dei giornali tradizionali – non è fenomeno solamente italiano. Così come non è specifico del nostro paese, che casomai vede una incidenza minore rispetto ad altre aree economiche, la riduzione di attenzione e di proventi pubblicitari dovuta al mondo di Internet, non solo per quanto riguarda i siti on-line di informazione ma anche osservando la geografia variegata e in continua evoluzione del mondo “social”, oggi principale arena di confronto, scambio, informazione e intrattenimento. Come avviene in altri settori dell’economia, di fronte a una continua contrazione della domanda (di copie e di spazi pubblicitari) il numero di imprese (editoriali) che possono operare nel mercato tende a ridursi. E le fusioni appaiono una delle forme attraverso cui il processo di contrazione può essere governato con intelligenza, sfruttando sinergie, laddove esistenti, e razionalizzando alcune fasi e risorse comuni a più quotidiani.

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(Elaborazioni lavoce.info su dati FCP)

Le nuove quote di mercato

Se tutto ciò non sorprende, occorre tuttavia chiedersi se un processo di concentrazione in un settore tanto importante per la formazione dell’opinione pubblica e per il pluralismo non debba essere guardato con preoccupazione. In questa prospettiva, l’analisi dell’impatto sulla concorrenza, affidata per tutti i settori economici all’autorità antitrust, deve combinarsi con una parallela considerazione degli effetti sul pluralismo.
I dati inizialmente riportati sulla stampa, che individuano per la nuova aggregazione una quota di mercato attorno al 20 per cento su scala nazionale, appaiono fuorvianti. I quotidiani, infatti, in Italia come negli altri paesi, hanno una circolazione prevalentemente locale. Il Corriere della Sera nel 2014 vendeva il 41 per cento delle sue copie in Lombardia e il 10 per cento in Lazio, con percentuali molto più basse nelle altre regioni. La Stampa, considerata un quotidiano di opinione di importanza nazionale, nello stesso anno vendeva il 66 per cento delle sue copie in Piemonte. Solamente La Repubblica, tra i grandi quotidiani, ha una diffusione relativamente più uniforme, raggiungendo la quota di copie più alta di Lombardia, con il 15 per cento. Anche applicando un indice di concentrazione di Herfindahl alla distribuzione delle copie del quotidiano tra le diverse regioni si ottiene un quadro simile, con La Stampa che ottiene un valore estremamente elevato (4547, su un massimo teorico di 10mila), Il Corriere su livelli comunque alti (2039) e La Repubblica che conferma la sua minore concentrazione (1039).
L’analisi degli impatti sulla concorrenza, e sul pluralismo, in altri termini, dovrà essere svolta a livello regionale e provinciale, dal momento che su questi mercati i lettori tendono a concentrare le proprie scelte su un numero molto limitato di quotidiani. Dalla disamina potrebbe emergere che alcune province, ad esempio, vedrebbero una concentrazione elevata delle copie in capo al nuovo gruppo Stampa-Repubblica, considerando anche il peso dei giornali locali del gruppo Espresso. In questi casi, la cessione di alcune testate locali potrebbe essere raccomandabile in una prospettiva di concorrenza e pluralismo.

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Le prospettive di Rcs

L’altro elemento che andrà tenuto in conto riguarda la posizione del gruppo Rcs, il maggiore concorrente della nuova aggregazione. Da questo punto di vista numerose appaiono le differenze: il gruppo Espresso porta con sé, oltre ai quotidiani, prodotti di successo nei periodici, una presenza importante nelle radio, il sito on line più visitato. Il gruppo Rcs, per contro, dopo la cessione di Rcs libri, appare sempre più imperniato sulle due grosse corazzate, Il Corriere e La Gazzetta, con una debole diversificazione negli altri media. Un concorrente di grande tradizione, ma bisognoso di una prospettiva strategica più ambiziosa e articolata e di soci in grado di leggere le prospettive del mondo dei media nei prossimi anni.

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Glass-ceiling index: quando le discriminazioni sono dure a morire

  1. davide445

    Il bacino potenziale dei giornali in lingua italiana è di fatto fortemente limitato, motivo per cui la loro concentrazione sarebbe un vero problema se fossero l’unica fonte di informazione disponibile.
    Per fortuna non è così, considerando le fonti online e la carta stampata straniera.
    Il vero problema è semmai la scarsa diffusione della conoscenza dell’inglese in Italia, a livello del Vietnam e dietro per dire la Spagna ma anche Lituania o Repubblica Dominicana.
    Piuttosto che fornire supporti ad una industria agonizzante e spesso espressione di gruppi più o meno schierati, sarebbe meglio spingere come fanno altri paesi nel definire uno standard di conoscenza dell’inglese per tutta la popolazione attiva.
    I giornali italiani sopravviveranno, spinti ad innovare per rivolgersi ad un pubblico si spera sempre più consapevole ed informato.

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