Da molti anni le detrazioni fiscali previste per la ristrutturazione degli edifici rappresentano un rilevante volano economico e un ottimo strumento per ridurre inquinamento e consumo di territorio. Ma per sfruttare appieno le opportunità della buona edilizia occorre rivedere la catena decisionale.

La riconferma degli incentivi

La legge di stabilità per il 2016 (legge 208/2015) ha prorogato fino al 31 dicembre le detrazioni “potenziate” per gli interventi di recupero e di efficientamento energetico del patrimonio edilizio. Si tratta di incentivi che, seppur soggetti a rinnovo annuale, sono ormai in vigore da anni con un buon livello di successo, come mostra la Tabella 1.

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Anche per tutto il 2016, quindi, le spese sostenute per il recupero del patrimonio edilizio danno diritto a una detrazione Irpef nella misura del 50 per cento, su un importo massimo di 96mila euro (la detrazione è ancora maggiore, il 65 per cento, per gli adeguamenti antisismici). È detraibile al 50 per cento anche il 25 per cento del prezzo di acquisto di abitazioni in fabbricati interamente ristrutturati. Inoltre, le spese sostenute per gli interventi di efficientamento energetico sono detraibili nella misura del 65 per cento su importi massimi variabili in base al tipo di adeguamento effettuato. I contribuenti della “no tax area” possono cedere il credito spettante ai fornitori che hanno eseguito l’intervento.

I vantaggi della “buona” edilizia

Numerosi studi (Confindustria; Nomisma; Cresme) confermano che la riqualificazione del patrimonio esistente produce risultati importanti sotto molti punti di vista:

  1. la riduzione del fabbisogno energetico degli edifici, un risultato molto positivo per un paese come l’Italia, fortemente dipendente dalle importazioni di energia e in cui il settore delle abitazioni appare tra i più energivori (38 per cento del totale energia impiegata nel 2013, secondo dati Enea);
  2. il calo delle emissioni inquinanti, tenuto conto del fatto che il riscaldamento degli edifici è, insieme al traffico, tra le principali cause dell’inquinamento urbano (41 per cento delle Pm10, secondo dati Ispra- Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale);
  3. il miglioramento della qualità della vita sia dei diretti fruitori degli immobili, sia dei principali poli urbani nel loro complesso, aumentando così anche la loro capacità di attrazione. La qualità della vita è infatti un fattore cruciale di competitività soprattutto per le città di medie dimensioni, che caratterizzano il tessuto insediativo del nostro paese;
  4. il rilancio della filiera dell’edilizia, che è tra i settori che producono i maggiori effetti economici e occupazionali, limitandone tuttavia gli effetti indesiderati in termini di consumo di suolo e di impatto ambientale. L’Istat stima infatti almeno 2 milioni di edifici vetusti e in cattivo stato di manutenzione (dati Istat 2011);
  5. l’effetto di stimolo per la ricerca e l’innovazione tecnologica, da cui derivano importanti opportunità di apertura di nuovi mercati qualificati e di formazione di nuove professionalità;
  6. la valorizzazione immobiliare degli edifici, anche perché è lecito attendersi che in futuro si creino due diversi segmenti di mercato, quello più competitivo degli edifici energeticamente efficienti e quello residuale degli edifici obsoleti, con perdite di valore stimate fino al 20-25 per cento.
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Quale strumento per quale livello di governo

I settori dell’urbanistica e dell’edilizia sono normati in termini generali su scala nazionale, ma spetta alle regioni sia la disciplina del governo del territorio sia la programmazione delle politiche per la casa, mentre i comuni sono i titolari degli strumenti di pianificazione locale (piano strutturale e regolamento urbanistico). Nel caso degli incentivi per la riqualificazione del patrimonio, l’estrema varietà delle procedure locali crea un ostacolo burocratico alla realizzazione degli interventi. In materia di ristrutturazioni, in particolar modo, infatti, si va da piccoli interventi che non richiedono alcuna segnalazione, a quelli per cui è sufficiente la comunicazione dell’inizio dei lavori, per arrivare ai più importanti che necessitano di segnalazione certificata di inizio attività (Scia), denuncia di inizio attività (Dia) o permesso di costruire. La classificazione degli interventi è spesso molto variabile nei regolamenti comunali, con effetti negativi sulla chiarezza del quadro normativo. Sarebbe auspicabile, quindi, che all’interno di un quadro normativo nazionale certo, gli enti locali potessero eventualmente prevedere misure tese a favorirne l’applicazione o ad amplificarne gli effetti. Potrebbe allora essere compito dei governi locali (le regioni) rimuovere gli ostacoli economici che impediscono l’accesso alle misure di incentivo nel territorio, ad esempio anticipando le risorse per le famiglie a basso reddito, quando è questa la ragione che blocca i recuperi dei condomini delle periferie urbane. Ancor di più, potrebbe essere un compito dei governi locali (questa volta i comuni) prevedere premialità (anche nella forma del sostegno progettuale e procedurale) per i microinterventi privati che si coordinino all’interno di un quartiere, in modo da trasformare il recupero e l’efficientamento dei singoli edifici in una vera e propria politica urbana.

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