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Il treno è lento? Paga un pedaggio più alto

L’Autorità dei trasporti vuole aumentare il canone per l’utilizzo delle infrastrutture ferroviarie per i treni che viaggiano al di sotto dei 200 chilometri orari. Si profila un aumento di tariffe o una riduzione dei servizi nel trasporto passeggeri sulle linee regionali e nel trasporto merci.
Sale il canone per i treni lenti
L’Autorità di regolazione dei trasporti ha pubblicato il 31 luglio la bozza di delibera 61 “Principi e criteri per la determinazione dei canoni di accesso all’infrastruttura ferroviaria”, forse conseguenza della relazione al Parlamento del luglio 2014 e delle consultazioni della prima metà del 2015.
La delibera preoccupa regioni e province autonome, titolari dei contratti di servizio per il trasporto ferroviario locale. Il nuovo sistema infatti alza sensibilmente i pedaggi per le linee “(…) con velocità massima uguale o superiore a 200 km/h (…)” assimilando ad alta velocità anche linee che non lo sono e che hanno una prevalenza di traffico regionale, con treni che viaggiano a una velocità tra 120 e 160 chilometri orari. Come se già non bastasse la precedenza attribuita agli Intercity/alta velocità sia nella progettazione dell’orario sia nella gestione della circolazione, anche nelle ore di punta di mattina e sera.
La esatta determinazione dei nuovi canoni si avrà forse nella seconda metà del 2016, a contratti di servizio in corso e gare bandite o aggiudicate da poco che poggiano su un diverso meccanismo dei pedaggi: nel Prospetto informativo della rete 2016, pubblicato a dicembre 2014 come vogliono le norme, non si parlava di nuovi canoni.
Conseguenze della rete snella
Quali saranno le conseguenze di canoni più elevati per il trasporto regionale? Si prefigurano aumenti tariffari o riduzioni di servizi, mentre è improbabile che arrivino altre risorse dal governo. Per evitare l’instabilità economica dei contratti di servizio – e aldilà dell’art. 44 del decreto legislativo 112/2015 “(…) dall’attuazione del presente decreto non debbono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (…)” – sarebbe utile un periodo transitorio (oltre cinque anni) con il vecchio sistema, mentre in parallelo si “sperimenta” il nuovo.
Oppure l’obiettivo è un altro e si vuole un finanziamento trasversale delle linee alta velocità a scapito dei servizi regionali e merci, già penalizzati dalla struttura dei pedaggi in “nodi” e “linee”? Se si sopprimesse l’extra-pedaggio dovuto ai nodi, il trasporto regionale che picchia soprattutto lì per ovvi motivi, ne avrebbe una compensazione. E perché non si permette alle imprese ferroviarie di comprare l’energia elettrica sul libero mercato, pagando al gestore dell’infrastruttura solo il trasporto-trasformazione e l’usura del filo di contatto? In Germania è così e nessuno si lamenta. I gestori delle infrastrutture diverrebbero così distributori, con le agevolazioni del caso, mentre ora sono “clienti grossisti” o “clienti finali”. Una interpretazione estensiva della direttiva UE 72/2009 lo consentirebbe.
Perché la componente C1 “Scarsità di capacità” dello schema di calcolo, qualora fosse stata indotta da demolizione di impianti fatta del gestore infrastruttura, deve essere imputata alle imprese ferroviarie? Sembra che il gestore nazionale, nella indifferenza di politici e dirigenti a Roma e nelle “repubbliche regionali”, riduca la capacità (“rete snella” dell’era morettiana) con lo scopo di limitare l’offerta di tracce, alzarne il prezzo o ridurre lo spazio dei nuovi entranti. Perfino camuffandola come velocizzazione della linea.
E ancora: la struttura di pedaggio che tiene conto “dell’usura” dell’infrastruttura (facoltativa per le norme UE) penalizza i treni merci, soprattutto quelli con le derrate più pesanti, che invece è bene viaggino per ferrovia, per non rovinare le strade. Stranamente (o forse no), il pedaggio autostradale per i mezzi pesanti non tiene conto del peso del mezzo. Molti treni merci viaggiano a velocità ridotta (linee C3L e D4L del Pir) per le caratteristiche obsolete di alcune infrastrutture, con notevole sovra-costo per le imprese ferroviarie, ma questo non dà diritto ad alcuna riduzione. Non si trova neanche lo sconto previsto dal regolamento UE 429/2015 (eppure, citato nel quadro normativo), che incentiva la modifica “silenziosa” (meno 10 dB) dei carri merci con l’obbligo di pedaggi più bassi. Compare solo una componente C2 indirizzata ai “costi ambientali” ed è vestita come ulteriore aumento di canone.
Se facciamo un confronto con gli Stati Uniti, vediamo che lì le compagnie, per il solo passaggio dei treni passeggeri locali o di Amtrak sui loro binari (le stazioni le gestiscono gli utilizzatori), richiedono qualche centesimo di dollaro al miglio; in Italia, invece, si parte da 2-3 euro al chilometro. Le società americane non fanno beneficenza: sono in parte quotate in borsa e hanno bilanci invidiabili. La nostra Autorità dei trasporti non ha preso come riferimento i pedaggi Usa, ma ha preferito usare quelli giapponesi (che hanno linee specializzate alta velocità con un livello di puntualità/regolarità e di efficienza del servizio da sogno). Solo un caso?
Si ha l’impressione che si voglia regolare (e gestire) le ferrovie e i servizi come linee aeree molto redditizie, ma i treni non volano.
Tirando qualche somma: sembra che all’Autorità dei trasporti non abbiano chiaro cosa sia una infrastruttura ferroviaria e, soprattutto, dove siano nascosti i trabocchetti che limitano l’accesso ai nuovi operatori, problema che una regolazione dovrebbe risolvere. Viene il sospetto che non si voglia analizzare in dettaglio il prospetto informativo della rete per individuare in filigrana – e stroncare – ogni tentativo di ridurre la concorrenza sia nel settore merci sia in quello passeggeri. Ma soprattutto non si capisce che cosa c’entri il price-cap, il profitto ragionevole e la remunerazione del capitale investito con le ferrovie interoperabili (cioè conformi alle Specifiche tecniche di interoperabilità della UE), attualmente tutte di proprietà pubblica. Peraltro, nella direttiva 34/2012, nel Dlgs 112/2015 e infine nel regolamento UE 909/2015 (costi diretti da imputare per i pedaggi ferroviari) non ve ne è traccia per il pacchetto minimo di accesso; c’è per alcuni servizi aggiuntivi che possono essere forniti da terzi. E visto il triste precedente di Railtrack, il price cap sarà meglio lasciarlo perdere: in campo ferroviario produce pochi vantaggi.

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  1. Piero Fornoni

    A) Quando vengo in Italia viaggio molto in treno e sono molto meravigliato della scorrettezza e scoordinamento degli orari ferroviari. Per esempio se si viaggia da Venezia ad una stazione intermedia tra Brescia e Milano ,uno deve cambiare treno ed aspettare circa un’ora sia che percorra il tragitto in parte con una freccia o interamente con un treno regionale . Inoltre ho notato da diverse stationi ma sopratutto a Verona che il treno arriva e la “coincidenza” e’ partita in orario da qualche minuto (da 2 a10 minuti). Quindi penso che l’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato debba intervenire e penalizzare l’ente delle infrastrutture ferroviarie .
    B) Oggi in Italia non e’ possibile trovare online un orario ferroviario completo che indichi tutti treni regionali, nazionali, internazionali etc. che vanno da una citta’ all’altra.Non e’ questo compito del l’ente delle infrastrutture ferroviarie? Un mio amico ferroviere in pensione si e’ dovuto comprare l’orario ferroviario e tuttavia non e’ sicuro che questo elenchi tutti I treni che portano da una citta’ all’altra.
    C) Inoltre vedo che i treni locali devono spesso aspettare per lasciar passare i treni veloci che hanno ritardi. Non si puo’ penalizzare chi crea ritardi ? Quanti ritardi sono causati dal l’ente delle infrastrutture ferroviarie ?

    • Amegighi

      Questo non è un paese di libero mercato, ma semplicemente un sistema al limite della truffa che favorisce, in modo subdolo e non corretto, alcuni concorrenti.
      Diventerà difficile sostenere l’utilità della TAV se, nero su bianco, si ribadisce la preponderanza del trasporto passeggeri a lunga distanza, rispetto a quello merci e rispetto a quello locale.
      Dove sarebbe la “sostenibilità ambientale” di questo trasporto se, nero su bianco, si definisce che il trasporto deve essere sostanzialmente su gomma?

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