Quando le due nuove linee della metropolitana milanese saranno completate, il comune dovrà iniziare a pagare i consistenti canoni pattuiti. Come? Oltre agli aumenti dei biglietti e ai tagli nel servizio di superficie, esiste anche una terza via: la riduzione dei costi. Le esperienze straniere.
Due linee da pagare
Sopite le furiose polemiche scatenatesi con l’avvio dei cantieri di M4 (la linea 4 della metropolitana milanese), il problema più grave è tornato alla ribalta: come trovare un accettabile equilibrio economico e finanziario per sostenere i costi aggiuntivi che la realizzazione di M5 (la linea 5) e, poi, di M4 faranno gravare sul bilancio del comune di Milano. Stando a Repubblica, è stata la Corte dei conti a sollevare la questione al comune.
Nei prossimi anni vi sarà un consistente allontanamento dal precario equilibrio attuale, grazie all’ingresso di due nuove voci di costo: le rate dei project financing di M5 e, dal 2022, di M4, pur con una sostanziale parità di entrate.
Il modello finanziario a suo tempo scelto per le due nuove metropolitane prevedeva infatti che circa un terzo dei costi di investimento e la totalità dei costi di esercizio fossero anticipati dalle società di progetto e ripagati annualmente dal comune attraverso “canoni”. Purtroppo, il momento del pagamento delle prime rate è arrivato e ammontano a varie decine di milioni per la sola M5 (in parte per l’esercizio e il resto per l’investimento), ma sono probabilmente destinate a raggiungere i 200 milioni nel 2024, con M5 e M4 completate. Oggi l’intero contratto di servizio (che segue la formula del gross cost) tra il comune e Atm (Azienda trasporti milanesi) ammonta a circa 650 milioni più Iva (le entrate tariffarie, attualmente 390 milioni, vengono introitate dal comune). I denari per le due nuove linee metropolitane farebbero dunque lievitare i costi di un quarto, mentre le entrate tariffarie sarebbero destinate a crescere di una percentuale molto più bassa, anche considerando l’aumento dei passeggeri trasportati. Si tratta dunque di numeri capaci di far saltare tutto, nonostante l’ottimo rapporto odierno tra ricavi tariffari e costi (a Milano attorno al 50 per cento, dunque ben più alto del 35 per cento previsto dalla legge nazionale).
Non solo aumenti dei biglietti
Secondo Repubblica, le soluzioni prospettate sarebbero due. Da una parte, l’aumento di biglietti e abbonamenti per una cifra variabile tra il 10 e il 50 per cento. Dall’altra, la riduzione dell’offerta dei servizi di superficie, meno necessari in una città sempre meglio servita dalle metropolitane. Nei mesi scorsi abbiamo provato a fare un po’ di conti e simulato diversi scenari, ciascuno caratterizzato da vari mix di possibili interventi. Sarebbe troppo complicato riassumere qui i risultati; ma possiamo certamente affermare che è necessario allargare lo sguardo oltre i limiti delle due misure finora indicate. È necessario, innanzitutto, realizzare il Piano urbano della mobilità sostenibile (Pums) che, con costi contenuti (è stato presentato un Piano concreto e non infarcito di opere inutili), garantisce una serie di benefici anche sui conti – dall’aumento della velocità commerciale dei mezzi di superficie, alla crescita degli introiti della sosta – che contribuiscono a ridurre lo squilibrio nel “bilancio della mobilità” milanese.
Poi, certo, ci sono gli aumenti tariffari, perfettamente concepibili se distribuiti in una prospettiva decennale e accettabili in una città sempre più servita. L’importante però è non intenderli in maniera rigida. In primo luogo, perché aumentare del 50 per cento i biglietti non farà certo aumentare i ricavi del 50 per cento: la domanda non è così rigida. In secondo luogo, perché questa dovrebbe essere l’occasione per mettere mano a una struttura tariffaria piena di contraddizioni, garantendo aumenti totali senza colpire troppo i cittadini e gli utenti abituali.
La riduzione del servizio, invece, è più delicata. Una ristrutturazione del servizio di superficie avviene comunque, con l’apertura delle nuove metrò, ma i risparmi sono di un ordine di grandezza inferiore ai costi aggiuntivi. Il Pums del comune di Milano afferma di voler migliorare l’efficacia (e dunque anche l’efficienza) dei servizi di superficie, oggi lentissimi e perciò poco amati dagli utenti. La strategia è corretta, anche perché un aumento della velocità commerciale genera risparmi significativi nei costi di esercizio. Un puro taglio delle frequenze e delle linee, invece, renderebbe sempre più inutili e inutilizzati quei servizi, già molto ridimensionati negli anni scorsi (varie linee tranviarie hanno ormai frequenze di 8-9 minuti durante il giorno e una bassa regolarità). Praticamente come buttare via il bambino con l’acqua sporca.
Vi è una terza via, apparentemente ignorata dalla Corte dei conti, e che invece speriamo il comune faccia sua: l’aumento dell’efficienza, cioè la riduzione dei costi. Secondo una presentazione di Atm dell’8 giugno 2012, i servizi di superficie oggi costano dai 4,8 ai quasi 7 euro a veicolo-km, compresi quelli a vuoto. Si tratta di valori molto alti, oltre che ovvi per una rete che ha una velocità commerciale bassa – 15,2 chilometri l’ora, che si riducono addirittura a 12,6 in città negli orari di punta (dati Pums) – e per una azienda con una produttività certo non tra le peggiori d’Italia, ma nemmeno tra le eccellenze europee.
Il modo con cui tutta Europa ha affrontato questo problema è quello delle gare competitive: i servizi, decisi dal comune, vengono affidati al miglior produttore, naturalmente nel rispetto dei contratti dei lavoratori e della qualità del servizio, iniziando dai più contendibili (quelli di superficie). Per aumentare l’efficacia e ridurre i rischi, gli affidamenti avvengono per lotti relativamente piccoli e non in blocco per tutti i servizi storici.
La riduzione dei costi è una cura radicale, ma possibile. A molti non piacerà, ma superare lo status quo sembra proprio l’unica via possibile se si vuole evitare il crollo di tutto il bilancio del comune di Milano negli anni post Expo.
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