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Crediti deteriorati: cederli è ancora una strada in salita

Nonostante il decreto che fissa un nuovo trattamento fiscale per la loro cessione, è difficile che i crediti deteriorati possano ridursi per iniziativa delle singole banche e nel rispetto delle regole di mercato. In molti casi, la bad bank sembra l’unica soluzione per far ripartire il credito.

Un decreto per facilitare la cessione dei Npl
Una delle ragioni per cui il credito stenta a ripartire, nonostante l’abbondante liquidità introdotta nel sistema dalla Banca centrale europea, è l’eccessivo peso nei bilanci bancari dei crediti deteriorati (Npl). La loro cessione consentirebbe di riattivare il circuito, ma tra il valore netto cui i Npl sono iscritti nei bilanci e il prezzo cui gli investitori sono disposti ad acquistarli esiste un divario, stimato tra il 20 e il 30 per cento. Ed è l’ostacolo cui è attribuibile lo scarso sviluppo in Italia del mercato delle cessioni (figura 1 ).
Il decreto legge del 27 giugno 2015, n. 83 può contribuire a ridurre il pricing gap, anche se verosimilmente non nell’immediato futuro. Da un lato, infatti, rende più efficienti le procedure concorsuali ed esecutive e questo potrà portare nel medio termine a un aumento del valore di recupero del credito e pertanto a prezzi di cessione più elevati. Dall’altro, modifica il trattamento fiscale delle svalutazioni e perdite su crediti, consentendone la deducibilità in un unico anno anziché in cinque, come accadeva nel regime previgente (o addirittura in diciotto anni, prima del 2013).
La modifica sembrerebbe rendere meno onerosa la svalutazione dei Npl e per tal via ridurrebbe il prezzo al quale le banche sono disposte a cederli.
In realtà, i) già a partire dal 2013 le perdite rilevate in occasione di cessione di crediti potevano essere dedotte integralmente, ii) i benefici riguardanti la deducibilità integrale delle svalutazioni e perdite riguardano non l’ammontare delle imposte, bensì la tempistica con cui le banche le pagano e quindi solo gli aspetti finanziari delle svalutazioni (pago meno oggi, per pagare di più domani), iii) dal punto di vista contabile la nuova norma non ha alcun impatto.
Prima del decreto n. 83 il maggior onere derivante dalla deducibilità di solo il 20 per cento delle svalutazioni veniva infatti compensato con il riconoscimento di un credito verso l’erario (le cosiddette Deferred Tax Assets), portando a un risultato contabile netto di fatto uguale a quello che si otterrà con la nuova normativa. Per contro, nell’anno in cui veniva effettuata la svalutazione, l’importo delle imposte pagate era superiore a quello che si pagherebbe oggi deducendo al 100 per cento la svalutazione. Il decreto prevede peraltro un regime transitorio che impone alle banche di versare per gli anni 2015-2017 un acconto calcolato in base alla normativa previgente. Considerato che l’acconto sfiora il 100 per cento delle imposte, è evidente che il beneficio di natura finanziaria viene rinviato al 2018. Inoltre, il decreto stabilisce che l’ammontare delle Dta venga dedotto secondo un piano decennale che potrebbe penalizzare le banche che hanno effettuato le maggiori svalutazioni nel 2013 e 2014, cioè quando le Dta sarebbero state deducibili in quattro anni.
Non sembra quindi che il nuovo trattamento fiscale rappresenti un concreto incentivo per maggiori svalutazioni. Il vantaggio certo è che da qui al 2025 si annulleranno le Deferred Tax Assets per svalutazioni di crediti, sul cui computo nel Tier 1 la Commissione europea ha recentemente avanzato qualche perplessità, ipotizzando addirittura che si tratti di aiuti di Stato.
A chi conviene vendere
A ben vedere, dunque, la cessione sul mercato dei crediti detriorati rappresenta un’opzione perseguibile nel breve termine solo da quelle banche (in vero non numerose) che ricadono in queste alternative:

  1. hanno già svalutato ampiamente i Npl;
  2. hanno redditi sufficienti per assorbire il costo delle svalutazioni che, indipendentemente dal trattamento fiscale, incide negativamente su una redditività già molto bassa per l’intero sistema;
  3. hanno sufficiente capitale per assorbire le eventuali perdite derivanti da massicce svalutazioni.
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Per quanto riguarda il punto a, la situazione delle principali banche italiane è molto differenziata, come dimostra il tasso di copertura delle sofferenze (totale delle svalutazioni effettuate/valore lordo delle sofferenze), indicatore che approssima il potenziale pricing gap dei Npl e rappresenta la copertura media del portafoglio (tabella 1).
Coperture inferiori, peraltro, potrebbero essere giustificate dalla elevata incidenza di prestiti deteriorati garantiti, così come da maggiori valori delle stesse garanzie, che potrebbero consentire di realizzare più consistenti valori di recupero. Ma anche sotto questo profilo la situazione rimane variegata e non sempre per un tasso di copertura più basso si riscontra una maggiore incidenza delle esposizioni garantite da immobili (e cioè le garanzie a cui si attribuiscono più consistenti possibilità di recupero), né più elevati rapporti tra il valore complessivo delle garanzie immobiliari e l’importo delle esposizioni deteriorate.
In conclusione, nonostante le incoraggianti notizie su recenti cessioni (ma si parla di importi che al massimo potrebbero raggiungere il 6-7 per cento di un aggregato di circa 200 miliardi di sofferenze), è difficile pensare che una drastica, diffusa e repentina riduzione dei Npl possa avvenire per iniziativa delle singole banche e nel rispetto delle regole di mercato. Soprattutto per alcune di esse (quelle meno redditizie, meno patrimonializzate e con più bassi tassi di copertura) sembra che la bad bank di sistema rappresenti l’unica soluzione per poter far ripartire il credito.
Figura 1
Il mercato europeo delle cessioni di crediti: valori nominali per paese
bodiba nieri
Tabella 1
Garanzie e esposizioni creditizie deteriorate delle principali banche italiane
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* Garantite sia totalmente sia parzialmente

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  1. ale

    Ho come l’impressione che chi ha scritto questo articolo non abbia mai valutato un portfolio di crediti npl, sia di istituti di credito che di società in bonis. Se il divario tra valore nominale e corrispettivo che le finanziarie sono disposte a riconoscere fosse effettivamente solo il 20 o 30% le assicuro che alla data di oggi tutte le banche avrebbero i bilanci splendidi splendenti che nemmeno il Dixan.

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