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IL PAESE DI POLLICINO

Il nostro paese è ai primi posti della classifica europea sul rischio povertà minorile. Una situazione certo peggiorata dalla crisi economica, ma frutto soprattutto di politiche carenti e frammentarie, molto lontane da quelle degli altri paesi europei. Un piano strategico di contrasto alla povertà minorile richiederebbe un progressivo adeguamento delle risorse destinate all’infanzia dall’attuale 1,3 per cento del Pil al 2 per cento entro il 2020. Non andrebbe considerata una spesa che crea debito, ma un investimento sul capitale umano e sullo sviluppo e la crescita dell’Italia.

 

Si chiama “Il paese di Pollicino” il nuovo dossier di Save the children-Italia e mostra una fotografia della povertà dei minori che ci pone ai  primi posti della classifica europea sul rischio povertà minorile.

QUANTI SONO I BAMBINI A RISCHIO

Un minore su quattro oggi, pari al 22,6 per cento dei bambini, è a rischio povertà. Vive cioè in famiglie con un reddito troppo basso per garantirgli ciò di cui avrebbe bisogno per un sano e pieno sviluppo psichico, fisico, intellettuale e sociale. Una realtà in contrasto con il tasso di fecondità più basso d’Europa (1,4 figli per donna rispetto alla media dei paesi europei di 1,9 figli) e il più alto numero di famiglie con un figlio solo, che mette i figli italiani nella categoria dei beni rari.

Ma la situazione è ancora peggiore quando guardiamo:

– i figli di madri sole – per i quali l’incidenza di povertà sale al 28,5 per cento;
– i figli di genitori giovani in cui il capofamiglia ha meno di 35 anni: in questi nuclei 1 figlio su 2 è a rischio povertà (47,8 per cento);
– i figli di genitori che vivono al Sud e Isole: queste sono le aree del paese a più alta incidenza di povertà, che raggiunge rispettivamente quasi il 40 per cento (con quasi 2 minori ogni su 5 a rischio povertà) e il 44,7 per cento;
 i figli di famiglie di origine straniera. in cui l’incidenza di povertà sale al 58,4 per cento. I bambini di cittadinanza straniera hanno un tasso di povertà di tre volte il valore che si registra tra gli italiani.

I dati ci mostrano infatti che negli ultimi quindici anni la povertà ha colpito più di tutti e con crescente intensità i bambini. Se la povertà minorile dunque è costantemente aumentata negli anni, e molto più di quella degli adulti, in coincidenza con la crisi economica è in notevole aumento anche l’intensità della povertà, passata dal 28,1 per cento del 2006 al 35,1 per cento del 2010. Nelle famiglie senza minori, invece, la povertà è cresciuta nello stesso arco di tempo di appena un punto e mezzo (dal 25,1 al 26,7 per cento).
Altri indicatori di deprivazioni materiali Eurostat mostrano che nel 2010, in quasi tutte le Regioni del Sud più di una famiglia con minori su due non poteva permettersi una settimana di ferie rispetto alla percentuale di deprivazione assai più bassa della Lombardia (2,5 per cento). (1)
Il 5,5 per cento delle famiglie con minori dichiaravano di avere “difficoltà a fare un pasto adeguato almeno ogni due giorni”. Inoltre l’incidenza dell’obesità nei bambini italiani è triplicata negli ultimi venticinque anni ed è in continuo aumento a causa della cattiva alimentazione e di stili di vita sedentari.

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LE POLITICHE DELLE BRICIOLE

Le povertà minorili sono solo state aggravate dagli effetti della recessione mondiale, ma sono il frutto di politiche carenti e frammentarie, “le politiche delle briciole”.
Nel 2009 l’Italia investiva nelle pensioni quasi 5 punti percentuali di Pil in più rispetto alla Germania (l’unico paese europeo ad avere un indice di vecchiaia più alto del nostro), e appena l’1,4 per cento nel settore famiglie (contro una media UE del 2,3 per cento).
Le iniziative a sostegno delle famiglie con minori varate negli ultimi anni (assegni di sostegno per le famiglie numerose, al nucleo familiare, bonus Bebé, deduzioni fiscali per famiglie povere anche con bambini) hanno avuto una portata molto limitata e scarsa efficacia. (2) Il dossier riporta i risultati di elaborazioni Eurostat che mostrano come la quota di minori usciti dalla soglia del rischio grazie all’intervento pubblico sia salita solo dal 3 per cento del 2009 al 3,8 per cento del 2010 – un dato molto lontano da quello di Inghilterra (14,5 per cento), Francia (13,5 per cento) o Germania l’11,1 per cento, dove i trasferimenti sociali sono riusciti a far uscire dalla povertà un numero tre-quattro volte maggiore di bambini. Certo, non si tratta di politiche a costo zero. Sono stati fatti notevoli investimenti per aiutare le famiglie con figli minori.
All’opposto, in Italia negli ultimi anni c’è stata una costante riduzione dei finanziamenti destinati a famiglie, infanzia e maternità. Il fondo nazionale delle politiche sociali è passato da 1 miliardo di euro nel 2007 a 45 milioni nel 2013. I recenti dati Ocse mostrano inoltre che l’Italia spende molto meno di altri paesi per i bambini in età pre-scolare, relativamente alla spesa per i bambini più grandi (che è invece circa la stessa della media Ocse).
Le misure proposte nel dossier di Save the Children comprendono interventi per il sostegno alle famiglie in condizione di povertà, come ad esempio la previsione di ulteriori sgravi fiscali per ogni figlio a carico o di voucher per l’acquisto di beni essenziali; servizi per il sostegno della genitorialità, quale un piano di investimenti straordinari per gli asili nido, per la creazione di ulteriori posti entro il 2020; misure di sostegno al lavoro femminile e per favorire la conciliazione fra lavoro e famiglia. Per l’attuazione del piano sarebbe necessario un progressivo adeguamento delle risorse destinate all’infanzia agli standard degli altri Paesi europei, passando dall’attuale investimento dell’1,3 per cento del Pil al 2 per cento entro il 2020.

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UN INVESTIMENTO SUL FUTURO

Di fronte a questi dati, le risorse necessarie per attuare il piano strategico di contrasto alla povertà minorile non devono essere considerate una spesa che crea debito, ma un investimento sul capitale umano e sullo sviluppo e crescita del paese.
Come è stato dimostrato dagli studi di James Heckman e dei suoi coautori, l’investimento in capitale umano fatto nei primi anni di vita ha rendimenti molto più elevati rispetto a un investimento fatto più tardi. (3) I loro studi hanno dimostrato che, in mancanza di politiche di “early intervention”, più a lungo i minori sono in condizioni di povertà, più è alta la probabilità di scarsi rendimenti scolastici, comportamenti criminali, obesità e altri problemi di salute. Più a lungo si aspetta a intervenire, infatti, più costoso è rimediare a esiti scolastici o comportamentali negativi. Da un lato quindi gli investimenti nel periodo prescolare hanno costi inferiori, perché non devono modificare situazioni problematiche già consolidate, cioè non includono i costi dei “rimedi”; dall’altro sono più efficaci sia perché le capacità individuali sono più malleabili nei primi anni di vita sia perché possono avere un effetto cumulato nel tempo, possibilità preclusa agli investimenti fatti in età più avanzate
Non solo, già nei primi anni di vita emergono differenze nei rendimenti scolastici dovute alle diverse risorse familiari e opportunità dei bambini. In quest’ottica, l’investimento nel capitale umano dei bambini da parte dello Stato è giustificato anche da un punto di vista redistributivo: programmi mirati per i bambini possono contribuire a dare uguali opportunità a bambini provenienti da contesti svantaggiati e per l’integrazione dei bambini stranieri nel nostro paese.

(1) Eurostat, 2011. Il tasso di deprivazione materiale è calcolato annualmente da Eurostat in base al conteggio del numero di persone impossibilitate ad accedere a un minimo di 3 beni su una lista di 9 (indagine Eu-silc).
(2) Per una discussione dell’efficacia delle politiche a sostegno delle famiglie con figli piccolo Del Boca D. A. Mancini “Child Poverty and Child Well Being in Italy” in Family Well being Social Indicators Research Series Springer 2012-05-16.
(3) Carneiro P. e Heckman J. (2003), Human capital policy, Cambridge (MA), National Bureau of Economic Research.

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SCELTE POCO STRATEGICHE

  1. Jennifer

    E’ una vera vergogna che in un paese del G8 ci siano tanti studenti che non possono neanche comprarsi i libri ed il materiale scolastico. Poche scuole hanno attivato il comodato d’uso che, comunque, si basa sul reddito dichiarato. Capita così di dover dare i libri a studenti figli di evasori fiscali e non a chi ha effettive necessità. Scorrere gli elenchi dei rimborsi comunali, poi, è terribile. Vivo in una piccola città e quindi conosco parecchie persone ed il loro reddito. E’ desolante che niente cambi nonostante mille proclami.

  2. marco

    Purtroppo questa situazione andrebbe cambiata con misure drastiche, istituzione del reddito minimo di cittadinanza e investimenti nella scuola e nei servizi sociali che andrebbero potenziati. Tali politiche permetterebbero anche di risparmiare molti soldi nelle politiche di contrasto alla delinquenza che verrebbe prevenuta a monte, oltre a diffondere maggior felicità e benessere sociale-Purtroppo la nostra classe politica ladra e miope si trincera dietro la scusa che non ci sono i soldi. Nel frattempo però continuiamo a sperperare soldi in guerre e violenze internazionali, spendiamo 23 miliardi in spese militari ogni anno, oltre ai 10 stanziati per la costruzione di minchia-caccia-spacca er culo; 240 milioni di euro per mantenere un palazzo e far vivere il nostro presidente della repubblica come un principe rinascimentale che deve convincere gli italiani che i sacrifici e la povertà sono utili e fortificano lo spirito.

  3. michele

    E’ aberrante valutare l’infanzia in termini di costi-benefici! La povertà infantile deve essere vinta perchè è una battaglia di civiltà e una questione di vita umana. Non solo di pari opportunità, integrazione, investimento efficiente in capitale umano. Perchè i bambini e gli anziani sono i pià deboli da proteggere, sono quelli che umanamente più soffrono dalla povertà e mancanza di cibo.

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