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LA DEMOCRAZIA E IL FISCAL COMPACT

Le elezioni in Francia, Grecia, Italia e Germania hanno messo in evidenza che nell’’Europa in crisi gli elettori premiano chi si oppone ai tagli di bilancio. Ma la revisione delle politiche di rigore di bilancio auspicata dalla maggioranza degli elettori incontra un importante vincolo oggettivo: i governi a cui gli elettori oggi chiedono maggiore spesa pubblica sono quelli nei quali la spesa pubblica è salita di più negli ultimi dieci anni. Alle difficoltà di oggi non c’è via di uscita alternativa a quella di praticare le riforme con anche maggiore decisione rispetto a quanto fatto in passato.

 

Domenica 6 maggio è stata un Super-Sunday: tante elezioni tutte insieme in tanti paesi europei. Le elezioni presidenziali che hanno dato la vittoria a Francois Hollande in Francia, le elezioni politiche che hanno lasciato la Grecia priva di una coalizione in grado di governare e le elezioni locali in Germania e in Italia hanno messo in evidenza risultati simili: nell’’Europa in crisi gli elettori premiano chi si oppone ai tagli di bilancio. Ma la revisione delle politiche di rigore di bilancio auspicata dalla maggioranza degli elettori incontra un importante vincolo oggettivo: i governi a cui gli elettori oggi chiedono una svolta di minor severità fiscale sono quelli nei quali la spesa pubblica è salita di più negli ultimi dieci anni. Alle difficoltà di oggi, non c’’è via di uscita alternativa a quella di praticare le riforme con anche maggiore decisione rispetto a quanto fatto in passato.

LO SPETTRO DELLA RIVOLTA ANTI-AUSTERITÀ SI AGGIRA PER L’’EUROPA

In Francia il presidente uscente Nikolas Sarkozy aveva archiviato da tempo le 316 proposte di riforma della Commissione per la Liberazione della Crescita di Jacques Attali e della sua commissione di 42 saggi (tra cui il futuro premier italiano Mario Monti). Ha così perso sia pure di misura senza aver rigirato la Francia come un calzino, rincorrendo a destra all’’ultimo minuto i voti di Marine Le Pen. Il vincitore François Hollande ha fatto promesse molto generose in campagna elettorale. Qualcuno ha cominciato a quantificarne i costi in più di 20 miliardi di euro. In Grecia hanno perso i due partiti principali, i conservatori di Nea Democratìa e i socialisti del Pasok, colpevoli – agli occhi di un elettorato stanco e incerto tra il salto del buio dell’’uscita dall’’euro e il cappio dell’aggiustamento fiscale – di aver fornito supporto parlamentare alle misure di tagli di bilancio del governo Papademos, visto come l’’agente locale della troika Bce-Commissione Europea-Fondo Monetario. In Italia la massiccia affermazione del Movimento Cinque Stelle non è qualitativamente molto diversa dal successo elettorale del movimento di sinistra radicale Syriza in Grecia o da quella dei neo-comunisti del “rosso” Mélenchon in Francia. Tutti raccolgono l’’avversione dell’’elettorato verso politiche fiscali restrittive presentate come necessarie per rimanere dentro ad un euro e che sono invece sempre più identificate come la fonte della crisi e non come un ombrello di protezione. Lo stesso vale tra l’’altro per il Partito dei Pirati tedesco che ha raccolto più dell’’8 per cento dei voti nelle elezioni del Schleswig-Holstein, un land della Germania del nord con una forte minoranza danese. Anche in queste elezioni la sostanziale tenuta della Cdu di Angela Merkel e la parziale ripresa dei suoi attuali alleati liberal-democratici non sono stati sufficienti ad evitare che una coalizione di centro-sinistra conquistasse la maggioranza del land.
Nell’’insieme, l’’esito del Big Sunday mette in discussione l’’impianto del Fiscal Compact, l’’accordo raggiunto pochi mesi fa e oggi diventato l’’emblema dell’’imposizione del rigore alla tedesca sul resto dell’’Europa. Lo spettro di una Internazionale anti-austerità si aggira per l’’Europa e nessuno sa come affrontarlo.

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I VINCOLI ALLA REVISIONE DEL FISCAL COMPACT

La revisione delle politiche rigoriste auspicata dalla maggioranza degli elettori incontra tuttavia alcuni vincoli oggettivi di cui anche i governi più preoccupati dei risvolti sociali dell’’adozione di politiche fiscali rigorose non potranno non tenere conto. I dati sull’’andamento della spesa pubblica nei paesi europei negli ultimi dieci anni, cioè da quando è stato introdotto l’’euro, sono esempi eloquenti di questi vincoli. Dalla fine del 2001, infatti, nell’’eurozona a 17 paesi la spesa pubblica è aumentata da 3340 a 4665 miliardi di euro (in euro correnti), cioè del 39,6 per cento. In percentuale sul Pil, la spesa è aumentata dal 47 al 51 per cento del Pil dell’’eurozona. La crisi post-2008 è stata certamente una potente leva per questo aumento. Il punto però è che la crisi c’’è stata anche in Germania dove nel solo 2009 il Pil è sceso di più di 5 punti percentuali. Ma in Germania tra il 2001 e il 2010 la spesa pubblica tedesca è aumentata solo del 18,5 per cento, da poco più di 1000 miliardi di euro a 1180 miliardi circa. Il modesto aumento della spesa pubblica si è accoppiato con la rapida crescita del Pil e con la moderata inflazione sperimentata dalla Germania in questi anni. Il risultato è che la quota della spesa pubblica sul Pil è rimasta costante. Nonostante la crisi e i salvataggi bancari, gli aiuti alle case automobilistiche e, recentemente, i generosi aumenti salariali al pubblico impiego. La spesa pubblica tedesca rimane piuttosto elevata (essendo pari al 48 per cento del Pil), ma la sua entità è rimasta la stessa del 2001 in percentuale sul reddito prodotto dai tedeschi. Ecco, più o meno, cosa intendono i tedeschi con rigore fiscale.
I numeri sono ovviamente interpretabili ma non sono opinioni. I dati tedeschi implicano che, nel resto dell’’eurozona senza la Germania, la spesa pubblica sia invece aumentata del 41,5 per cento, da 2340 a 4480 miliardi di euro, tra il 2001 e il 2010. Si tratta di un aumento di 23 (41,5 meno 18,5) punti percentuali superiore a quello registrato in Germania, cioè nel paese che ha finanziato il fondo salva-stati temporaneo e finanzierà il fondo salva-stati permanente per più del 25 per cento del totale (come stabilito dai trattati, in proporzione al Pil e alla popolazione tedesca).

I PARADOSSI DELL’’UNIONE

Da qui, in poche parole, nasce l’’attuale insoddisfazione dell’’elettorato tedesco nei confronti dell’’euro e dell’’attuale configurazione delle istituzioni europee – insoddisfazione che spiega una buona parte dell’’atteggiamento apparentemente ondivago della signora Merkel degli ultimi anni. Al caso tedesco si può anche aggiungere quello slovacco. Come racconta il Wall Street Journal, la Slovacchia ha impegnato, tra fondi sborsati e garanzie, un totale di 13 miliardi di euro nel fondo salva-stati. La cifra è più grande delle entrate fiscali annuali del governo slovacco. E contribuisce a salvare un paese come la Grecia che nel 2010 aveva un reddito pro-capite di circa 20 mila euro, ben maggiore dei 12 mila euro degli slovacchi.
Tra tutti i paesi dell’’eurozona ci sono poi degli osservati speciali. Si tratta dei paesi che hanno causato la crisi dei debiti sovrani negli ultimi mesi. Ma anche qui si riscontrano differenze significative. Ad esempio, la spesa è aumentata “solo” del 31 per cento in Italia. E’ aumentata ben di più negli altri paesi sull’’orlo del default: del 56 per cento in Portogallo, del 72 per cento in Grecia e addirittura dell’’89 per cento in Spagna. In Francia l’’aumento della spesa è stato pari al 42 per cento. Gli aumenti della spesa in proporzione al Pil hanno oscillato tra i 5 punti di Francia e Grecia e i 9 punti percentuali del Portogallo, con il +7 punti della Spagna a metà strada.
I dati relativamente meno cattivi dell’’Italia sono un merito dei nostri guardiani della cassa pubblica (e soprattutto di Giulio Tremonti, che è stato ministro dell’Economia per la maggior parte del tempo tra il 2001 e il 2010)? Mah. A far crescere poco la spesa in Italia è stato soprattutto l’’enorme debito pubblico con cui siamo entrati nell’’euro. In Italia il debito pubblico era già il 105 per cento del Pil nel 2001, di poco più alto che in Grecia. In Francia, Spagna e Portogallo il debito era invece molto più basso, pari al 53, 59 e 54 per cento, rispettivamente. Con quel debito di partenza, gli altri paesi mediterranei hanno creduto di potere mantenere abitudini di spesa “mediterranee” sfruttando i tassi tedeschi garantiti dall’’ombrello dell’’euro. Ora stanno pagando e pagheranno il conto delle loro scelte. Con il doppio del debito pubblico degli altri, la spesa pubblica in Italia avrebbe dovuto scendere, almeno in quota sul Pil, non aumentare. E invece la spesa in euro è colpevolmente aumentata del 31 per cento. E con la bassa crescita di questi anni, la spesa in percentuale sul Pil è aumentata dal 47,9 al 50,6 per cento. E per un paio d’anni, nel 2007-08, si è addirittura discusso di come spendere un “tesoretto” di entrate fiscali che non esisteva.

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LE OPZIONI PER L’’ITALIA E PER L’’EUROPA

Con in mano i dati comparati sulla spesa pubblica europea del dopo-euro, è obiettivamente difficile e anche ingiusto chiedere alla signora Merkel di rinegoziare un trattato come il Fiscal Compact che mette la stabilità fiscale al centro dell’’attenzione. È difficile perché sarebbe come chiedere alla signora Merkel di suicidarsi politicamente. Ma è anche ingiusto perché i tedeschi, sottoposti alle stesse dinamiche demografiche e agli stessi shock economici degli altri, hanno controllato la spesa pubblica con molta maggiore efficacia di quanto abbiano fatto gli altri paesi europei.
È invece possibile e doveroso sfruttare la strada lasciata aperta dal Fiscal Compact nella sua attuale formulazione che consente deviazioni dal rigore fiscale a fronte di comprovato successo nell’adozione di misure che favoriscano la crescita economica. Abbandonare ora la strada delle riforme economiche di modernizzazione delle economie europee appena intraprese sarebbe un grave errore che l’’unione monetaria nel suo complesso pagherebbe molto caro.

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SPESA PUBBLICA EUROPEA

21 commenti

  1. Riccardo

    Molto interessante. Ho una domanda: dati alla mano è corretto sostenere che paesi come la Slovacchia o la Germania, mettendo risorse e garanzie nel fondo salva-stati ci perdono? Alcuni dati sostengono invece che si tratti di soldi ben remunerati e che più che di perdite si tratti, dal punto di vista finanziario, di ottimi investimenti. Credo si tratti di un punto essenziale nel dibattito politico. Grazie mille in anticipo per il chiarimento.

  2. marcello corongiu

    Non sarà che il voto è stato determinato anche dalla crescente indisponibilità a farsi carico dei costi proprio della spesa pubblica, che si trasformano, in ottica di ripianamento dei bilanci, in crescente pressione fiscale? Voglio dire, non è che probabilmente (direi sicuramente in Italia, forse anche in Francia) una componente del voto è mossa dalla speranza in una riduzione della spesa pubblica più che in un suo aumento?

  3. SAVINO

    Non facciamoci illusioni che si possa derogare all’austerità, che non ha alternative e che è l’unica portatrice di crescita nel medio periodo. Hollande farà giustamente una politica riformista, tentando un approccio con la Germania per un rigore socialmente sostenibile, ma senza imprimere stravolgimenti. In Italia ed in Grecia, invece, non si potrà prescindere da soluzioni di Governo tecnico, in continuità con gli attuali esecutivi in carica. Il voto evidenzia per noi, come per gli ellenici, uno stato di confusione ed ingovernabilità. Teniamoci stretto Monti ( che in questa situazione è rafforzato come soluzione tecnica emergenziale e non certo come premier di una grossa coalizione ABC) e cerchiamo di essere più costruttivi nei confronti della sua persona, l’unica degna di rappresentarci nel mondo.

  4. giorgio mascitelli

    Resta il fatto che le politiche restrittive hanno aggravato e reso irreversibile la situazione debitoria della Grecia e in prospettiva anche degli altri paesi. In secondo luogo è stucchevole parlare dell’indebitamento pubblico in termini moralistici, quando ci sono paesi come l’Olanda che hanno un tasso di indebitamento privato pro capite superiore o simile alla somma procapite dei debiti pubblici e privati di italiani, spagnoli e anche greci prima del ‘salvataggio’. Questa massa di debiti privati è la fonte di vera instabilità finanziaria internazionale.

  5. Marcello

    Credo questo articolo sia utile approfondire cosa significa debito pubblico

  6. Riccardo Fabiani

    Mi sembra un pezzo molto ideologico – l’idea che non esistano alternative allo status quo è tipico di un certo pensiero neoliberista. Eppure per contrastare lo strapotere dei mercati finanziari (o perlomeno ridurlo) basterebbe che la politica economica fosse coordinata a livello europeo – eurobonds, Tobin Tax, politiche anticicliche garantite dall’UE/Germania o almeno politiche fiscali coordinate con aumento della spesa interna tedesca per ottenere un apprezzamento del tasso di cambio reale e rallentare gli aumenti di produttività tedeschi rispetto alla periferia ecc. E invece, tutto questo è tabù – gli elettori votano contro tutto questo, ma noi dobbiamo farlo comunque. La domanda è puramente politico/filosofica: chi deve governare, i mercati finanziari o gli elettori? La democrazia è un esercizio di equilibrio fra queste due forze, ma è ora di ribilanciare quest’equazione e uscire da 30 anni di neoliberismo finanziario per andare verso un federalismo europeo che sia capace di resistere alla pressione della finanza globale. L’Europa deve essere solidale, non competitiva: i nostri sono stati democratici, non aziende in competizione fra di loro per ridurre i costi.

  7. Piero

    Proprio la democrazia dovrebbe fare riflettere Monti, gli italiani non hanno premiato ABC, quindi l’attuale governo di fatto non è democratico, Monti si dovrebbe dimettere, Napolitano scioglie le camere e si va a votare a luglio, il resto è solo dittatura. Penso che i sacrifici delle persone debbano fare riflettere Napolitano, Monti, Alfano,Bersani. Oggi si sono suicidati altri due imprenditori, io non ho mai visto questi accadimenti in Italia.

  8. PDC

    La mia impressione è che gli elettori sarebbero disposti a farsi carico di tagli molto ma molto più onerosi di quelli di cui si discute, se solo i governi in cambio facessero delle politiche coraggiose ed esemplari, per esempio dimezzando il numero dei politici richiesti complessivamente dal nostro sistema a tutti i livelli e mettendo una patrimoniale pesantissima su redditi e ricchezze del 5% più abbiente. La storia insegna che, a torto o a ragione, i popoli sono sempre stati disposti a far sacrifici quando non hanno avuto la netta sensazione di essere semplicemente fregati da chi li comandava. Ma come chiedere alle classi dominanti di colpire se stesse? In nome di cosa? Pensiamo di aver eletto degli autolesionisti? Non ci pensano affatto.

  9. paolo rosa

    Pensare di abolire il fiscal compact a me sembra una pretesa velleitaria quanto tardiva dato che la nostra costituzione è già stata modificata , come per vero pochi ancora sanno, con la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 che ha introdotto nello art. 81 lo obbligo del pareggio di bilancio sia pure con alcune condizioni che andrebbero sfruttate per atenuarne il rigore.

  10. Giuseppe

    Bene le riforme economiche di modernizzazione e le misure che favoriscono la crescita. Ma dovrebbe essere ben chiaro ai cittadini europei che una elevata spesa pubblica, di cui approfittano spesso furbi e privilegiati, si accompagna inevitabilmente a una soffocante pressione fiscale ,che opprime chi produce ricchezza e dalla quale sanno difendersi solo altri furbi e privilegiati. Allo spettro della rivolta anti-austerità dovrebbe sostituirsi lo spettro della rivolta anti spesa-pubblica. Per favorire la crescita e diminuire ingiustizie sociali.

  11. Giorgio

    Vorrei sommessamente ricordare che dalle crisi di iperindebitamento o si esce con lo sviluppo economico o con l’inflazione, tertium non datur.

  12. Roberto

    In effetti, Paul Krugman, citato in un differente articolo pubblicato dal vostro sito – Come dare ossigeno all’economia italiana – afferma che l’attuale situazione spagnola è determinata non tanto dalla mancanza di rigore nella finanza pubblica, quanto dalla bolla immobiliare finanziata in ultima analisi dalle banche tedesche. Quanto al “fiscal compact” recentemente approvato a livello UE, penso che ben pochi cittadini ne conoscoano il contenuto. Da una parte quindi abbiamo la diffusa impressione che i debiti delle banche, originati dalle loro pratiche spericolate ma lucrative siano stati trasferiti al debito pubblico. Dall’altra, la risposta politica alla crisi non è pienamente condivisa coi cittadini e viene percepita come ingiustamente punitiva rispetto al trattamento privilegiato riservato al settore bancario.

  13. Lorenz

    Condivido l’analisi e ne apprezzo l’intento. E’ molto difficile spiegare ai cittadini quanti benefici l’euro abbia portato in termini di stabilità dei prezzi. E’ stata un’enorme occasione sprecata il non averne approfittato per fare le dovute riforme, in tema di debito pubblico, certo, ma anche in tema fiscale e di spesa. Stress da sondaggio per i governi passati si, ma anche irresponsabilità da parte dei vari stakeholders nel difendere a tutti i costi lo status quo. Ci si dimentica in fretta dell’inflazione a doppia cifra dell’era della svalutazione allegra, che colpiva soprattutto lavoratori dipendenti e pensionati (a reddito fisso). Adesso é tutta colpa degli “altri”, di questi fantomatici “burocrati” di Bruxelles. Nella confusione, si arriva a giustificare di tutto, pure i suicidi. Dare a questo atto privato una valenza sociale é poi l’ennesima riprova di quanto l’ignoranza porti a strumentalizzare di tutto.

  14. Riccardo

    Leggendo i dati pubblicati dalla Bundesbank – e relativi al 2011 – emerge che i soldi messi dalla Germania nel fondo salva-stati sono stati remunerati (regolarmente) ad un tasso medio del 4 – 4,5%. Ora, dal momento che la Germania “paga” circa l’1,5% per ottenere soldi in prestito, ciò significa che la storia secondo cui la “buona” Germania paga per salvare i “cattivi” del Club-Med non è solo falsa, ma nasconde una realtà opposta: il salvataggio è un investimento tedesco sulle spalle dei paesi in difficoltà.

  15. marco

    A mio giudizio l’esperienza dell’euro può considerarsi conclusa. Anche Monti ha detto che la differenza di competitività tra noi e la Germania è un fatto culturale. per diventare competitivi quanto i tedeschi bisogna riscrivere la storia di questo paese! Quindi come l’Islanda, stato fallito nel 2008, anche la Grecia uscendo dall’euro non pagherà i suoi di debiti, però potrà usufruire della svalutazione della moneta come mezzo importantissimo per ritornare a crescere con tutti i suoi pregi e difetti…….

  16. Domenico

    Qui si dice cose un po diverse… Il lavoro poco pagato deprime la domanda interna in Germania e destabilizza l’Eurozona.

  17. Piero P.

    Solo un cieco non capisce che il fiscal compact ha rovinato l”area euro e la moneta unica che e’ diventata il marco, penso che a questo punto sia da fare due aree valutarie in Europa, solo una manovra decisiva della Bce puo’ salvare tutto, si deve annunciare un programma di acquisto pro quota dei titoli dei stati euro di almeno il 50% in un decennio.

  18. Enrico Motta

    Finalmente un economista, per fortuna non l’unico, che non è iscritto al Partito del Debito Pubblico, come lo sono invece Krugman, Fitoussi e molti altri. Secondo me il PDP ha fornito la base ideologica, “scientifica”, ai politici di quasi tutto il mondo occidentale per arrivare vicino alla bancarotta. Ho messo “scientificamente” tra virgolette dopo avere letto che dal 2001 al 2010 la spesa pubblica in Germania è cresciuta meno degli altri, mentre il PIL è aumentato di più. Dunque non c’è correlazione. La sinistra non dovrebbe battersi contro il pareggio di bilancio, e infatti qualcuno a sinistra non lo fa, ma lottare per spostare la ricchezza dai più ricchi ai meno abbienti, in tempo di recessione o bassa crescita inevitabili.

  19. Massimo Tosatto

    Questo grafico non è chiaro. indicando una crescita percentuale rispetto al Pil, avrebbe dovuto indicare anche di quanto il PIL sia sceso in un paese e di quanto le componenti di crescita di spesa pubblica siano dovuti al sostegno delle banche troppo esposte nei derivati. C’è nella spesa pubblica una componente emergenziale che si sostanzia nel sostegno alla disoccupazione e alla copertura delle sofferenze bancarie. I tedeschi sono intervenuti meno nell’economia, per merito loro certo, ma è una buona ragione per dire che la loro spesa pubblica, già molto alta perchè molto garantiti i tedeschi, non ha componenti di crescita “strane” rispetto al PIL? Insomma, la Germania rappresenta un esempio e il fiscal compact è importante, soprattutto in un paese come il nostro affetto da macro stato, ma temo che questa non sia la ricetta. O non l’unica. Occorre far girare denaro nell’economia evitando le banche. Se si farà ancora un prestito allo 0% alle banche, quei soldi non finiranno all’economia e verranno mangiati da investimenti a breve termine in derivati (vedi JP Morgan oggi) e in titoli di stato, saltando le aziende.

  20. Giovanni Medioli

    Molto chiaro il testo di Daveri che condivido. Manca, a mio avviso un tassello: c’è una relazione obbligatoria fra crescita del debito pubblico e condivisione dello stesso a livello di moneta unica? Mi spiego meglio: mi pare che la speculazione finanziaria deprima i mercati e le economie del continente (Germania esclusa) in base allo spread fra bund e altri titoli di debito. Malgrado il debito pubblico stellare non era così in passato. Il dubbio è che questo effetto sia in larga parte dovuto alla mancanza di una politica monetaria unica, alla presenza di euro bond a fronte di una sola moneta e non (solo) al livello e alla qualità dell’indebitamento dei singoli stati. Se ci fosse un governo univoco della moneta probabilmente l’euro finirebbe per svalutare rispetto a dollaro e valute asiatiche, la Grecia rimarrebbe in default ma a livello continentale sarebbe come il default di una regione come il Molise per l’Italia. All’interno di un sistema più coeso potrebbe al limite essere anche più efficace la “moral suasion” della Germania sul contenimento del debito degli altri stati, il fiscal compact potrebbe essere visto meno come un’imposizione esterna e più come una politica condivisa.

  21. Johann Gossner

    Il limite del Fiscal Compact è lo stesso di quello del Trattato Europeo: è fondato sulla speranza che esso venga attuato da parte dei singoli Stati e dei singoli Governi che si succedono, impostando una serie di parametri tecnico-contabili da rispettare nella gestione economica-finanziaria del Bilancio. Manca una visione di contrapposizione tra tassato e impositore, dove il tassato non ha alcuna forma di rappresentanza attraverso cui esprimere il suo consenso o la sua opposizione a provvedimenti fiscali e di spesa che ritiene eccessivi. Accentrando in un unico soggetto potere di spesa e potere di tassazione, la spesa prevarrà sempre su una gestione oculata delle uscite, portando ad un aumento senza controllo del prelievo fiscale atto ad alimentarla. Ogni incremento di tassazione oltre una certa aliquota e l’introduzione di nuove forme di tassazione deve avere il consenso dei contribuenti. Se lo Stato è il padre-padrone delle risorse di chi produce ricchezza con pieni poteri di appropriazione e spoliazione che senso ha il rigore di Bilancio prospettato dal Fiscal Compact ?

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