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L’ABC DELLA RIFORMA ELETTORALE

I partiti che sostengono il governo Monti sembrano aver trovato l’accordo su una riforma della legge elettorale. Prevede sostanzialmente il ritorno al proporzionale e cancella l’obbligo di formare coalizioni pre-elettorali. Il rischio è rendere ancora più frammentato il quadro politico, portando all’ingovernabilità del sistema e alla moltiplicazione dei poteri di veto. Per evitarlo, servono soglie di sbarramento effettive. E va mantenuta una leva maggioritaria che spinga comunque all’aggregazione delle forze politiche. Come migliorare la qualità del personale politico.

Ci risiamo: si ricomincia a parlare di riforme istituzionali. Pressati dall’esigenza di battere un colpo e mostrare qualche grado di unità dopo le divisioni post-proposta di riforma del mercato del lavoro, i segretari dei tre principali partiti che sostengono il governo Monti (di qui in avanti ABC, da Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini) hanno licenziato una bozza di possibile accordo sia sulla riforma costituzionale che su quella elettorale. Per la prima, da quello che è dato di capire, si tratta di una riproposizione della bozza Violante, già approvata dalla commissione Affari costituzionali della Camera nel 2008, sui cui contenuti, almeno a parole, le principali forze politiche si dicono d’accordo da anni, senza peraltro far nulla per attuarli. Si tratta in sostanza di ipotesi di riduzioni del numero dei parlamentari, di superamento del bicameralismo perfetto, di revisioni dell’attribuzione di funzioni legislative tra stato e regioni, di rafforzamento del ruolo del presidente del Consiglio (vedi “Senato federale? Solo di nome“). Tutte cose bellissime e necessarie, ma che, per i vincoli oggettivi relativi ai tempi necessari per l’approvazione di riforme costituzionali, difficilmente vedranno la luce in questa legislatura.

LA RIFORMA ELETTORALE

Più realistica sembra invece la proposta di riforma elettorale, vuoi perché richiede la sola legge ordinaria, vuoi perché ci sono motivi oggettivi che spingono i segretari dei tre principali partiti ad abbandonare il sistema attuale. Per una serie di ragioni politiche convergenti, può essere conveniente per Pdl, Pd e Udc-Terzo polo abbandonare il portato più innovativo delle riforme elettorali degli anni Novanta (compreso il Porcellum), cioè l’obbligo di formare coalizioni pre-elettorali, a favore di sistemi elettorali che consentano invece di mettersi d’accordo dopo le elezioni. Lasciarsi le mani libere, a lungo un imperativo del solo Casini, è ora forse vantaggioso anche per il Pdl, per i problemi con la Lega, e per il Pd, per limitare la concorrenzialità di Sel e Idv. E questo è in effetti il contenuto centrale della proposta “ABC”. Si parla di un ritorno al proporzionale, seppure con qualche correzione che privilegi i partiti più grandi (soglie di esclusione; collegi poco ampi affiancati a collegi uninominali; mini premio di maggioranza ai partiti maggiori) e modesti contentini ai partiti più piccoli (diritto di tribuna). Molto di più non si può dire, perché mancano i dettagli specifici della proposta, e come giustamente nota Roberto D’Alimonte sul Sole-24Ore, per le riforme elettorali sono i dettagli che contano. Dunque, piuttosto che discutere della riforma che non c’è, vale la pena occuparsi invece di quello che come minimo dovrebbe esserci nella nuova legge elettorale perché  non si risolva in un passo indietro invece che in avanti.

SUPERARE LA FRAMMENTAZIONE

Uno dei problemi principali del quadro politico italiano è la sua eccessiva frammentazione, che conduce all’ingovernabilità del sistema e alla moltiplicazione dei poteri di veto da parte dei contraenti. Per esempio, nonostante la spinta maggioritaria introdotta dal Porcellum, nel 2006 erano presenti 14 gruppi parlamentari alla Camera (con quattro componenti nel solo gruppo misto) e 11 gruppi al Senato (con ben diciotto componenti nel solo gruppo misto). Oggi, invece, le cifre sono rispettivamente di 8 gruppi parlamentari alla Camera (ma con un gruppo misto diviso in dieci componenti) e altrettanti al Senato (tre componenti nel gruppo misto).
In astratto, ci sono diversi sistemi ipotizzabili per affrontare il problema. Come già argomentato su queste pagine, la soluzione migliore sarebbe il ricorso a un sistema di voto maggioritario a doppio turno (vedi “Il match point del doppio turno“). O forse, ancor meglio, si potrebbe scegliere un sistema di voto alternativo come in Australia (vedi “Un voto alternativo per l’Italia). Entrambi consentirebbero ai cittadini di esprimere liberamente le proprie preferenze, però convergendo su un numero limitato di partiti e candidati. Ma nel contesto italiano, nessuna di queste ipotesi sembra avere la benché minima possibilità di realizzarsi. La proposta ABC va nella direzione opposta, con la reintroduzione del sistema proporzionale e l’eliminazione del premio di coalizione, si corre così il rischio di moltiplicare ulteriormente la rappresentanza parlamentare.
Nella proposta ABC, la riduzione della frammentazione è invece affidata all’introduzione di soglie di sbarramento più alte per l’assegnazione dei seggi. Benissimo: ma se si vuole evitare il solito pasticcio all’italiana, è allora necessario che le soglie siano effettive e non facilmente aggirabili con accordi pre-elettorali tra le forze politiche più piccole. Inoltre, contro la frammentazione potrebbero essere ancora più efficaci tanto una riforma del sistema di finanziamento, che proibisca ai partiti che non ottengono seggi di accedere ai finanziamenti pubblici, quanto una riforma dei regolamenti parlamentari, che proibisca alle forze politiche che si sono presentate assieme alle elezioni di sciogliersi subito dopo. Senza questi interventi, è facile prevedere che le soglie non avranno alcun effetto nell’impedire una ulteriore frantumazione del quadro politico nel nuovo sistema proporzionale che si sta prefigurando.

LA LEVA MAGGIORITARIA

Altro elemento necessario è il mantenimento di una leva maggioritaria che spinga comunque, anche con un sistema proporzionale, a una aggregazione delle forze politiche. La bozza ABC sembra oscillare tra il sistema tedesco e quello spagnolo, senza specificare chiaramente l’obiettivo. Sistemi in realtà affatto diversi e che potrebbero condurre a risultati del tutto diversi. Una proposta interessante, che meriterebbe di essere considerata e che abbiamo già discusso in precedenza (vedi “Le conseguenze del Vassallum“), è quella avanzata dal senatore del Pd Salvatore Vassallo: consentirebbe, grazie a collegi piccoli e alla particolare scelta del sistema di computo dei voti, di mantenere una forte leva maggioritaria. Da un lato, la proposta Vassallo avvantaggia i partiti piccoli con un forte radicamento territoriale, rispetto ad altri altrettanto piccoli sul piano nazionale, ma diffusi in modo più uniforme. Dall’altro, rispetto a un sistema puramente proporzionale, la proposta Vassallo dovrebbe favorire anche i partiti grandi ben diffusi sul territorio nazionale e particolarmente forti in alcuni territori.

MIGLIORARE LA QUALITÀ DEGLI ELETTI

Last but not least, andrebbe fatto uno sforzo per migliorare la qualità del personale politico, che rappresenta davvero l’elemento più deprimente del nostro attuale quadro parlamentare. Avere politici competenti, e non solo “appartenenti”, in Parlamento e al Governo, è un obbligo per il nostro futuro come paese. Qui la legge elettorale c’entra naturalmente fino a un certo punto, perché non si può impedire ai partiti di candidare (o meglio, nominare) dei “cavalli” e ai cittadini di votarli. Ma a qualche accorgimento si può pensare. In genere, è la competizione che conduce a un miglioramento della qualità (vedi “Collegi rivisti per candidati migliori“) e perché la competizione funzioni si richiede che gli elettori conoscano gli sfidanti. Da questo punto di vista, poter contare su collegi piccoli sicuramente aiuta. Nella giusta direzione, seppur con qualche accorgimento, potrebbe andare anche la proposta di rendere obbligatorie le primarie per la formazione delle liste (o dei candidati di collegio).

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25 commenti

  1. ANTONIO ROMANO

    Una possibile soluzione potrebbe essere un sistema elettorale originale italiano adatto alle esigenze del Paese e non delle singole forze politiche o delle singole coalizioni. Sarebbe utile coniugare le diverse posizioni presenti oggi nel dibattito politico su questo tema, soprattutto quella di chi vuole un sistema proporzionale con sbarramento al 5% e chi il maggioritario all’inglese. La sola legge che può conciliare le due posizioni estreme è una legge maggioritaria proporzionale “corretta”. E’, infatti, necessaria una legge elettorale che garantisca la governabilità sia in linea teorica sia nella pratica, senza premio di maggioranza e senza coalizioni “coatte”; una legge elettorale che rappresenti tutte le liste elettorali che abbiano ottenuto almeno l’1% di consensi a livello nazionale e garantisca la libera scelta dei candidati. Esempio del tutto teorico elezione di 630 deputati con sistema proporzionale maggioritario e sbarramento all’1% calcolati su collegio unico nazionale e successivamente ripartiti a livello regionale. si presentano le liste (o coalizioni omogenee) con i relativi candidati ed è possibile esprimere una sola preferenza.

  2. Francesco

    Mi sembra che il Prof. Sartori, nel suo libro Mala Costituzione, già spiegava bene tutti i tentativi di una riforma all’italiana prendendo un po’ da tutti. Il sistema tedesco proporzionale puro con soglia al 5% è il più adatto al nostro Paese o se vogliamo percorrere un’altra strada dobbiamo andare sul semi-presidenzialismo francese, tutte le altre strade cercano il meglio da tutti e non è detto che sempre funzioni. L’indicazione del premier l’hanno provata in Israele con pessimi risultati.

  3. emilio vistoli

    e considerazioni ineccepibili, darei molto risalto all’ultimo argomento, che mi sembra essere il vero “primo argomento”; occorrerebbe rivoluzionare i criteri ed i metodi seguiti nel reclutamento del personale politico, ma i reclutatori, cioè gli attuali dirigenti, non appaiono adeguati, nè motivati a questo pesante compito, non vi è la consapevolezza o forse vi è il “timore” che “persone serie potranno fare solo cose serie”

  4. luigi verderio

    siamo alle solite. si vuole uscire dal pantano senza riconoscere pienamente la vera rappresentanza espressa in termini proporzionali. evidentemente i proponenti hanno vissuto altrove gli ultimi decenni e non si sono accorti che tutti i puntelli di premio maggioritario, comunque espressi non hanno certamente aiutato a governare meglio.

  5. marco

    Il problema è creare un sistema di reclutamento efficace della classe politica che deve essere scelta direttamente dai cittadini, con voto di preferenza; meglio i piccoli collegi e un rapporto il più possibile diretto in modo da responsabilizzare e rendere più trasparenti le decisioni-Bisogna togliere i soldi pubblici ai partiti, che all’opposto sono organizzazioni private, facendo una legge sul finanziamento alla tedesca- Per quel che riguarda la riforma costituzionale si potrebbe fare un’unica camera di 250 parlamentari e introdurre forme di democrazia diretta e di voto diretto della cittadinanza sfruttando la rete e le nuove tecnologie, in modo da ridurre drasticamente i costi-ma allo stato attuale, considerato l’incapacità e il tasso di disonestà dei partiti, tale ipotesi rientra più nel campo della fantascienza! Sarebbe già molto inpedire che vengano rieletti condannati e pregiudicati; ricordo che attualmente sono circa un 100 i pregiudicati ovvero i fuorilegge che fanno le leggi all’interno del parlamento! Più ovviamente quelli sotto processo ma non ancora condannati; una concentrazione così non si trova in nessun quartiere italiano, ma solo in carcere!

  6. Carlo Turco

    A me sembra che nei commenti alle proposte ABC si riveli la solita schizofrenia all’italiana, ogni qual volta si parli di sistema elettorale. Fino a ieri sembrava che la priorità assoluta, in proposito, fosse quella di liberarsi della vigente “legge porcata” – per motivi sui quali non vale neppure la pena di tornare. Da una situazione in cui – dati i rapporti di forza in parlamento – quest’obiettivo pareva irraggiungibile, sembrerebbe che oggi un compromesso sarebbe possibile. Non è la soluzione migliore possibile? Certamente! E perché mai ci si potrebbe aspettare da un Parlamento eletto come è stato eletto la migliore delle leggi elettorali finora adottate dalla Repubblica? Invece di sparare a zero sui compromessi “per fini di parte” (ohibo’, come mai qualcuno persegue fini di parte?!), cerchiamo di organizzare ed esercitare pressioni perché si apportino i miglioramenti possibili – possibili – a quel compromesso. In quanto alla frammentazione… Be’, qui c’è anche un grosso lavoro da fare verso, e da parte, dell’elettorato: che dovrebbe imparare (magari aiutato da un’informazione meno votata alla fantapolitica) a fare scelte di voto utili ad obiettivi realistici.

  7. Maurizio Pezzolo

    La legge elettorale è lo strumento per ottenere assemblee legislative in grado di “funzionare” in un determinato assetto istituzionale di tipo democratico garantendo due preminenti qualità: la governabilità e la rappresentatività. Purtroppo si constata anche che si tratta di qualità in competizione fra loro, in relazione al grado di proporzionalità della legge elettorale. Una camera delle “istituzioni” (il Senato?) eletta con una legge proporzionale che abbia competenza sulla Costituzione, sulle nomine (Presidenza della Repubblica, Corte Costituzionale, CSM, RAI, Autorities…), sulla giustizia e quant’altro, magari con poteri assimilabili a quelli di democrazia diretta (es. referendum abrogativo) affiancata da una camera del “governo” eletta con una legge maggioritaria che conceda e revochi la fiducia ed abbia competenze in fatto di bilancio, fisco, economia, istruzione, difesa, rapporti internazionali e così via: questo assetto consentirebbe di cogliere il massimo di opportunità offerte dalle tecniche elettorali e istituzionali. Naturalmente con buona pace del “Senato delle Regioni”

  8. Bruno

    Si predono a riferimento vari modelli, mi chiedo perchè non se ne adotti uno in toto, senza stravolgimenti, visto che si prendono, penso, a quanto ci dicono, a riferimento in quanto funzionano. Altrementi non si prenderebbero come riferimento, anzichè andare alla ricerca di ibridi che non si sa se funzionino. Un pezzo qua, un pezzo là, in un mix all’Italiana, cioè uguale ma perchè no? un poco diverso. Non capisco perchè non si possa prendere come riferimento la legge elettorale per i Sindaci. La mia preferenza, come cittadino, un sistema a doppio turno con collegi uninominali con elezione del rappresentante con primarie. Con una legge che non permetta di cambiare schieramento/partito dopo elezione, salvo dimissioni del parlamentare eletto.

  9. bob

    la democrazia per essere tale deve avere pesi e contrappesi! Ma attenzione i contrappesi non si creano con le leggi e con le regole, si creano con la cultura e con l’abitudine a utilizzare i mezzi che la cultura mette a disposizione. Non condivido molto il “populismo” di Grillo ma è la cartina al tornasole che una % ( anche se minima) di cittadini legge e utilizza i mezzi che la cultura gli mette a disposizione. La Lega evidenzia esattamente l’opposto analfabetismo, populismo da bar. In un Paese dove non si leggono libri, dove 1% delle aziende utilizza Internet, dove per cercare lavoro cerchi prima un amico che ti raccomanda, dove il voto di scambio è un fatto normale da lustri, dove 4 milioni di persone vivono di “politica”, dove sei promosso per anzianità, etc. Quali leggi facciamo se non c’è il supporto di uno spirito critico che solo la cultura può formare?15 anni fà scrivendo una lettera a Ilvo Diamanti dissi che quando il nostro sistema si sarebbe confrontato con il mondo sarebbe miseramente crollato. I fatti di queste ore circa il crollo di un Clan ( non riscontrabile in nessun Paese civile) è l’ennesima conferma che senza le fondamenta solide non si costruisce niente!

  10. Cinzia

    Partiti senza seguito e legittimazione propongono una legge elettorale studiata a misura del mantenimento del loro posto in politica. Chi uscirebbe da quello sciagurato progetto più malconcio sarebbe l’elettorato di sinistra del PD che dovrebbe concedere il voto al buio per rendersi conto solo ad elezioni finite che nella mente dei leader c’è come unica opzione formare una coalizione con Casini che garantirebbe anche l’alternanza dei poli maggiori, spostandosi opportunisticamente da una parte all’altra. D’altra parte con il primo porcellum il PD dovrebbe mettersi a capo di una coalizione di centro sinistra, area che dimostra di non sentire più come sua naturale collocazione

  11. Piero

    La vera riforma elettorale parte da tali concetti: – i partiti devono essere in anziati dai cittadini in modo palese, ogni partito deve rendere pubblico il suo bilancio con i nomi dei sostenitori e l’elenco delle uscite; – il rappresentante deve essere scelto dai cittadini; – i partiti devono proporre un programma scritto al momento delle elezioni; – si deve rafforzare il sistema bipolare, in fin dei conti il sistema negli ultimi anni ha funzionato, abbiamo avuto il governo PIU lungo della repubblica, ricordiamoci dei governi che duravano sei mesi, sono stati i principali responsabili del debito pubblico italiano delle pensioni baby. Nell’ultimo ventennio i cittadini hanno compreso benissimo le scelte politiche di chi ha governato, premiandolo in alcuni casi e punendolo in altri casi. La legge ABC e’ un ritorno al passato, e’ legge di Casini, così i partiti centristi possono tornare a gestire la cosa pubblica, una volta con la destra e una volta con la sinistra, Popper dice che la vera democrazia e’ riuscire a mandare a casa chi governa, cosa impossibile quando un partito vuole fare l’ago della bilancia.

  12. Massimo Matteoli

    I greci dicevano che gli dei accecano con la superbia coloro che vogliono perdere. Il problema più grave è l’ assoluta mancanza di rappresentatività degli eletti e la loro totale dipendenza dai vertici dei partiti. Un’ altra legislatura come l’attuale può dare un colpo mortale alla democrazia italiana Al contrario gli “esperti dei partiti”, che evidentemente non hanno il sentore dei sentimenti degli italiani nei confronti dei “politici”, pensano che si possa continuare a riempire impunemente il Parlamento di nominati. Con i 500 deputati ipotizzati le circoscrizioni, anche con mini-liste di 4/5 candidati, ovviamente bloccate, supererebbero il milione di abitanti; anche gli pseudo collegi uninominali che li dovrebbero affiancare avrebbero ciascuno più di 200.000 abitanti. Con questi numeri parlare di “controllo diretto” degli elettori è solo una pia illusione. Le primarie obbligatorie per legge potrebbero essere una soluzione, ma c’è qualcuno che pensa veramente che la “politica” potrebbe accettarle? Il problema prioritario è ricostruire il rapporto tra eletti e cittadini e non ci sono che due strade: o collegi uninominali o liste con il voto di preferenza

  13. carlo g. lorenzetti settimanni

    Poco da aggiungere all’articolo che illustra in modo corretto il senso e le conseguenze del progetto sul quale A,B, C avrebbero trovato una convergenza.Sembra di essre tornati indietro di vent’anni e per un vecchio referendario che si è battuto con Segni per il passaggio al maggioritario è davvero scoraggiante vedere come i partiti continuino ad ignorare pervicacemente le chiare preferenze espresse a larghissima maggioranza dagli elettori. Si continua inoltre nella deprecabile abitudine di voler costruire a tutti i costi per l’Italia un modello originale , frutto di inverosimili ibridazioni ( un po’ tedesco, un po’ spagnolo) senza tener conto del fatto che i sistemi elettorali sono dei meccanismi delicati e che sarebbe assai più saggio adottare modelli già sperimentati in altri paesi e di cui si conoscono, almeno a grandi linee,gli effetti. In estrema sintesi, il sistema maggioritario è buono per governare; quello proporzionale per rappresentare. Difficile combinare in modo soddisfacente le due esigenze.

    • La redazione

      Aggiungiamo inoltre che gli effetti delle leggi e elettorali sulla struttura dei partiti (le “leggi” della scienza politica, come per esempio le proposizioni di Duverger) hanno naturalmente bisogno di un certo periodo prima di realizzarsi. Perché una legge elettorale produca effetti strutturali di medio-lungo periodo oltre che strategici di breve periodo, questa dovrebbe essere soggetta a una certa stabilità.

  14. AM

    Poco servono le riforme della legge elettorale se non si cambia la testa dei politici. I nostri politici hanno la capacità di snaturare e vanificare ogni riforma per ritornare sempre al mercato delle vacche. Il passaggio al maggioritario sembrava un passo avanti nella governabilità rispetto alla pioggia di governi stagionali della 1a repubblica. Ma poi sono sorte maggioranze eterogenee che condizionavano l’azione del governo paralizzandola. In UK con Blair la coalizione comprendeva anche l’estrema sinistra, che però non creava problemi, mentre il governo Prodi è stato messo in ginocchio. A Berlusconi non è andata tanto meglio. Tutti tiravano acqua al loro mulino dal Nord, dal Sud e dal Centro. L’eliminazione delle preferenze poteva avere il merito di eliminare le manovre mafiose sulle preferenze, ma poi sono entrate in parlamento le veline nominate dai vertici. Purtroppo anche le primarie in Italia possono portare a risultati deludenti a causa di interferenze sul territorio.

    • La redazione

      Le regole elettorali non possono risolvere un problema. E in generale, nessuna legge può cambiare la “testa” dei politici o degli elettori. L’ambizione dei ricercatori è però quella di trovare meccanismi incentivanti ottimali che portino a comportarsi bene nonostante preferenze divergenti di elettori ed eletti. In fin dei conti, se i politici fossero tutti “bravi”, il dibattito sulla legge elettorale sarebbe davvero poco interessante.

  15. Zia gabri

    La paternità della proposta delle primarie per i parlamentari risale a un paio di anni fa circa ed è di Pippo Civati che forse andrebbe citato.

    • La redazione

      Grazie della segnalazione. In ogni caso, assegnare la paternità di una proposta nel campo delle scelte elettorali è sempre una questione scivolosa. Per esempio, di primarie per le liste ne parlavo già qui nel 2008.

  16. Carlo Fusaro

    Balduzzi e Bordignon incorrono in un equivoco, raccogliendo i mistificanti input degli autori del progetto ABC (Alfano, Bersani, Casini): affermano anche loro che la nuova legge elettorale abolirebbe l’obbligo di coalizione pre-elettorale della legge Calderoli. Ma un simile obbligo non c’è e non c’è mai stato. La legge vigente è criticata perché incentiverebbe le coalizioni troppo ampie; ma non obbliga proprio nessuno. Tanto che nel 2008 il Pdl si alleò con la sola LN e il Pd di Veltroni si alleò con il solo Di Pietro. Infatti l’attuale Parlamento è il MENO frammentato della storia patria. Se poi Berlusconi non ha saputo impedire una scissione, questo è un altro discorso. La legge elettorale non c’entra proprio nulla. Evitiamo di cadere nell’equivoco propalato da ABC: che vogliono le mani libere per il dopo elezioni.

    • La redazione

      Grazie della precisazione. L’obbligo a cui ci riferiamo non è certamente un obbligo “legale” ma un obbligo strategico: anche con il Mattarellum nessun partito era obbligato a coalizzarsi prima delle elezioni. Ciononostante, ogni qualvolta si preveda un premio maggioritario, l’incentivo a formare coalizioni (per quanto varie esse possano essere al loro interno) è una strategia obbligata.

  17. Davide Vittori

    Spesso si sente dire che la legge elettorale stabilisca le regole del gioco. Frase giusta, ma incompleta. La legge elettorale esprime le regole del gioco in un dato contesto sociale e in un preciso momento storico. Per questo quando sento parlare di “modelli” importati dall’estero sono piuttosto scettico. Spiego perchè:
    Modello australiano: ipotesi che mi ha sempre affascinato, ma impraticabile da far accettare specialmente al PD,che non vorrà fare harakiri accettando un sistema che premia la vicinanza ideologica dei vari partiti. Per semplificare: al Nord accadrebbe che il PD potrebbe essere il primo partito se Lega e PDL corressero separati, ma al contempo, votandosi a vicenda, magari utilizzando il voto vicendevole PDL-UDC, il PDL uscirebbe quasi sempre vincitore; il pericolo di votare “i comunisti” è sempre presente; lo stesso dicasi per regioni quali la Sicilia o la Calabria. Spagna: totalmente avulso dalla realtà italiana; è vero che favorisce il bipartitismo, ma in casi di maggioranza non assoluta non è raro vedere i leader del PP o del PSOE cercare accordi con i partiti delle autonomie. In Spagna gli accordi hanno sempre retto, nel bene e nel male; in Italia senza un vincolo di mandato (art. 67 Costituzione) e con una tradizione di pendolarismo giolittiano, il risultato sarebbe doppiamente negativo: parlamentari che appoggiano in cambio di favori il partito più forte e automatico annullamento della rappresentanza vocalista. In Italia, poi, circoscrizioni elettorali piccole favoriscono il campanilismo politico, permettendo non già di aumentare la competizione (il dato sull’istruzione maggiore o le esperienze amministrative degli eletti lascia il tempo che trova: Mastella ha entrambe, così come Lombardo e non mi pare si possano considerare due esempi di parlamentari modello), quanto semmai di dare ancora più potere a quei personaggi in grado di muovere ampi pacchetti di voti (non solo i mafiosi lo fanno). In questa situazione non è il miglior candidato che viene eletto, ma solo quello più fedele al potente di turno o il potente di turno stesso. Inoltre i partiti maggiori, i pigliatutti, sono costretti, in una società tendenzialmente avversa ad abrupt change, a imbarcare pacchetti di voti da chiunque, puntando più sull’usato sicuro che sul “nuovo”.
    Ergo: nella situazione italiana sono collegi più grandi che potrebbero permettere una maggior possibilità ai nuovi arrivati di raccogliere quel consenso minimo per arrivare in Parlamento per distinguersi.
    Modello Tedesco: bel modello, se la tradizione italiana di totale ingovernabilità delle istituzioni a causa della creazione e disfacimento delle coalizioni non fosse uno sport nazionale. Lasciar determinare ai partiti prima e ai parlamentari poi dove sistemarsi politicamente in Italia non hai mai funzionato benissimo. A mio avviso la soluzione passa attraverso la revisione dell’art. 67 (che però richiede tempo per essere modificato); il mantenimento di collegi abbastanza ampli, con l’introduzione delle preferenze e un sistema proporzionale con sbarramento del 5% per i partiti singoli per Camera e Senato (il che ridurrebbe la competizione a 6 partiti, che non è per forza un male) e premio di maggioranza alla coalizione o partito che vince ottenendo il 40% dei voti. Anche tale sistema ha delle debolezze evidenti, però potrebbe essere il più adatto alla peculiare situazione italiana.

    • La redazione

      Commento molto lungo. Ci soffermiamo solo sulla riflessione sulla qualità dei politici. In effetti i tentativi di misurare la qualità “ex ante” dei politici utilizzando indicatori osservabili (come il titolo di studio e la professione) appaiono buoni tentativi ma ancora insufficienti. È un campo di ricerca molto affascinante e aperto a nuove esplorazioni.

  18. Ubaldo Muzzatti

    Ho approfittato dei link messi a disposizione nell’articolo di Balduzzi e Bordignon per fare una carrellata sulla questione della riforma elettorale. Mi sono letto anche i commenti e le risposte degli autori. L’insieme è molto interessante e di ottimo il livello. La conclusione è agrodolce: le conoscenze e le competenze c’erano e ci sono, però non prevalgono, chi ha il potere decide pro domo suo, incurante delle esigenze generali. Noto poi che il dibattito si concentra sulla configurazione finale che dovrà avere la legge elettorale e se ne discutono, da subito, i vari aspetti (proporzionale/maggioritario/misto; uninominale/plurinominale; preferenze/liste bloccate; circoscrizioni/collegi; …). Credo, invece, che bisognerebbe far precedere un dibattito volto a fissare tutti i requisiti che la legge dovrà avere e tutti gli obiettivi e le finalità che essa persegue. Sino alla “formulazione del problema e alla definizione delle richieste e delle esigenze da soddisfare”, che guideranno la stesura dell’articolato e permetteranno di verificare in che misura gli “obiettivi definiti e perseguiti” sono stati raggiunti dal “disegno di legge” proposto e, infine, approvato.

  19. Alberto Migliore

    A me sembra che il modello utilizzato per le elezioni regionali (Doppio turno) funzioni bene e potrebbe essere applicato a livello nazionale.

  20. SAVINO

    e sistema bipartitico con origine dal compattamento delle coalizioni. Maggioritario con collegi uninominali secchi e primarie obbligatorie (a quel punto il doppio turno può anche non servire). Questa è la volontà degli italiani dal 1993 sempre puntualmente elusa.

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