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LUCI E OMBRE NELLE INFRASTRUTTURE

Per giudicare l’azione del governo Monti sulle infrastrutture non basta considerare i decreti legge, bisogna anche guardare alle delibere del Cipe. L’indirizzo strategico complessivo che ne emerge non è ancora molto chiaro. Le scelte sulle grandi opere non hanno forti giustificazioni. Bene il sì a una serie di piccole opere, perché capaci di generare più occupazione e in tempi più rapidi. Discutibili i contratti di disponibilità previsti nel decreto “cresci Italia” perché potrebbero rendere più opaco il varo di spesa pubblica aggiuntiva per opere di dubbia utilità.

Per le infrastrutture, oltre al provvedimento legislativo del governo Monti, occorre guardare anche alle delibere del Cipe, che di fatto costituisce il braccio operativo dell’azione politica nel settore. Non è ancora chiarissimo l’indirizzo strategico complessivo che emerge, tuttavia una serie di considerazioni sembrano possibili fino da ora.

LE DELIBERE DEL CIPE

Iniziamo dal Cipe e dalle grandi opere, pilastro del governo precedente con forti contenuti mediatici, ma molti problemi operativi, che potremo riassumere così: assenza di chiare priorità basate su valutazioni comparative, gravi incertezze sui meccanismi di finanziamento, costi irragionevoli di quelle portate a termine.
Qui certo non si scorgono molte novità, anzi. Soffermiamoci sulla “scelta” forse più vistosa: la cancellazione (o il posponimento) del ponte di Messina e l’avvio della linea alta velocità Napoli-Bari. È una buona scelta? Purtroppo non sono note analisi economiche comparative dei due progetti, ma neppure più banali analisi finanziarie, che evidenzino gli oneri attesi per le casse pubbliche dalle due opere (a parte alcune dichiarazioni fantasiose secondo le quali il ponte sarebbe stato interamente pagato dai privati). Lavoce.info ha pubblicato un’’analisi del progetto Napoli-Bari non certo confortante. L’argomento che il ponte viene posposto perché non è più inserito nei corridoi europei, mentre lo è la Napoli-Bari, appare poco credibile per chiunque sappia che quei corridoi sono semplici sommatorie dei desiderata nazionali. Sia chiaro: non si vuole certo qui difendere il ponte sullo Stretto, ma solo evidenziare la fragilità delle basi su cui poggiano le scelte.
Nelle delibere Cipe non vi sono tracce visibili di finanziamenti pubblici bloccati o, viceversa, di finanziamenti integrali: veniamo da decenni di finanziamenti parziali a pioggia, con conseguenze micidiali sui costi e sui tempi di realizzazione delle opere. Benissimo invece che vi siano tra le spese deliberate dal Cipe una serie di piccole opere, molte fuori dal settore dei trasporti, anche se qui non possiamo certo entrare in merito alle singole scelte, se non per l’apprezzamento per gli interventi contro il dissesto idrogeologico. Persino Confindustria, con un virtuoso ribaltamento delle sue scelte passate, ha lodato questa innovazione in favore di una logica più articolata della spesa nel settore. La motivazione della valutazione positiva è ovvia, e non ha nulla a che fare con le resistenze ambientaliste alle grandi opere: le piccole opere generano maggiore occupazione per euro speso, e la generano in tempi molto più rapidi. E proprio di questo c’è urgente bisogno.

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LE AGEVOLAZIONI DEL “CRESCI ITALIA”

Il decreto “cresci Italia” prevede una serie di agevolazioni fiscali volte a incentivare la partecipazione del capitale privato alla realizzazione delle infrastrutture, soprattutto in forma di “project financing”. Anche qui “il diavolo è nei dettagli” e occorrerà attendere per una valutazione più motivata. Un aspetto invece molto discutibile riguarda i “contratti di disponibilità”. In sintesi, si tratta della possibilità data a un concessionario di costruire e manutenere una infrastruttura, garantendone la disponibilità al concedente per il periodo della concessione. Lodevole intento (si tratta di una prassi già presente in Europa): il concessionario-costruttore è indotto a far sì che l’opera non generi nel tempo problemi di manutenzione eccessivi, tali da comprometterne la disponibilità per il concedente-gestore. I costi relativi sarebbero a suo carico. Si tratta cioè di una forma “attenuata” di project financing: il costruttore non si assume i rischi commerciali dell’impresa, quelli attenenti alla domanda e ai ricavi. In cambio, il concedente pubblico assicurerà un canone annuo al costruttore, per l’intera durata della concessione. In più, lo Stato potrà finanziare l’opera fino a un massimo del 50 per cento dei costi.
Qui si nasconde il pericolo di un meccanismo che potrebbe rendere più opaco il varo di spesa pubblica aggiuntiva per opere di dubbia utilità. Immaginiamo una ferrovia AV con scarsissimo traffico (cioè inutile, come è risultata la Milano-Torino): il 50 per cento è pagata a fondo perduto, e un altro 50 per cento viene pagato da Fs (meglio, Rfi, la società della rete) a titolo di “canone di disponibilità”. L’opera risulta perfettamente “bancabile”: infatti, se poi non recupererà quel canone con i pedaggi nei lunghi anni di ammortamento dell’opera, nessuno controllerà e il deficit sarà come sempre ripianato dallo Stato (certo Rfi non può fallire…). Insomma, la “bancabilità” è un concetto che entra in contraddizione fatale con l’esigenza di verificare in modo trasparente le priorità di investimento.
Ma se a pensar male si va all’inferno, anche se raramente si sbaglia, qui si vuole andare in paradiso, per cui vogliamo essere assolutamente ottimisti anche sul buon uso di questo strumento.
Infine, scorrendo daccapo il decreto “salva Italia” ci si imbatte nella seguente frase (Dl n. 201/2011 art. 42 convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214): “Al fine di assicurare il rientro del capitale investito e l’equilibrio economico finanziario del Piano economico finanziario, per le nuove concessioni di importo superiore ad un miliardo di euro, la durata può essere stabilita fino a cinquanta anni”. C’è da rimanere stupefatti, dato che l’Antitrust da un decennio raccomanda l’opposto, cioè di rendere le concessioni più brevi, per evitare fenomeni di “cattura” del regolatore. L’argomento fondato sulla necessità di consentire più lunghi periodi di ammortamento degli investimenti non appare difendibile, se non nell’interesse dei concessionari e delle banche: meccanismi di subentro con gara sono oggi perfettamente possibili anche in presenza di investimenti solo parzialmente ammortizzati.

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UNA RIVOLUZIONE COPERNICANA PER IL RATING

12 commenti

  1. A.

    Ringrazio il Prof. Ponti degli elementi informativi offerti nella seconda parte del suo articolo. Noto con un certo dispiacere invece che c’è chi si occupa di prendere la temperatura agli investimenti: “caldo”, “freddo”. Forse è un nuovo approccio “comunicativo-psicanalitico” alla valutazione degli investimenti pubblici che non conoscevo ancora a fondo.. Non si finisce mai di imparare…. Tutti pensiamo che le scuole siano importanti, per ciò che vi si insegna, per come lo si insegna, e certamente anche per la tenuta dell’edificio (e le sue “dotazioni” esterne e interne). Sarebbe onesto però cercare di fare meno confusione possibile: si contribuirebbe a migliorare veramente la cultura generale (e a volte anche specifica) del paese, invece di condurlo alla propaganda per l’una o l’altra soluzione (tecnica) e allocativa. L’allocazione dovrebbe forse guardare sia all’efficienza sia all’equità, ma tanto più si confondono gli “oggetti” tanto più diventa impossibile ragionare..

  2. Marco Giovanniello

    L’ AV Milano – Torino ha scarso traffico perché è un ramo terminale, un po’ isolato. Quando ci sarà anche la Milano – Venezia sarà molto più utilizzata.

  3. Silvio Riva

    Il prof. Conti ha una tale competenza, buon senso e credibilità che è un peccato non vederlo associato all’ équipe di Passera.

  4. Galliano Di Marco

    Concordo con molte delle cose che scrive Marco Ponti, che ho conosciuto quando ero COO di Autostrade per l’Italia. Sul project financing, la storia di progetti autostradali e ferroviari dimostra che molte opere non stanno in piedi senza un adeguato contributo pubblico. Di questi tempi, visto che non ci sono soldi, il tempo di concessione può essere allungato anche se poi non è che ci sia un grande beneficio in termini finanziari. Il vero problema è stabilire quanto deve essere la giusta remunerazione per il privato che mette equity in un progetto. Oggi che gli spread sono a 600 basis point e quindi i tassi sono intorno all’8% ,non credo ci siano molti progetti greenfield finanziabili. E qui servirebbe un intervento sulla BEI o istituti simili per agevolare il finanziamento di queste opere a tassi del 3-4%, che solo la BEI o la CDP in Italia si possono permettere. Il Governo dovrebbe intervenire sulle banche per far sì che facciano la loro parte in questi momenti difficili. Se prendono soldi dalla BCE all’1%, devono poter applicare dei tassi non superiori al 4%. Monti-Passera stanno operando bene.

    • La redazione

      Mi sembra che il nocciolo del problema sia la selezione delle priorità tra progetti alternativi in base ad analisi costi-benefici confrontabili, poi da questi risultati la quota di finanziamento a fondo perduto, e solo poi quello della loro “bancabilità”. Invece attualmente l’ordine sembra capovolto, e inoltre si finanziano a pioggia opere di dubbia o ignota priorità. Di alcune non si conosce neppure il piano finanziario… Cordialmente

  5. Piero Rubino

    Una precisazione sul canone di disponibilita’ per il prof. Ponti – che saluto con stima e simpatia. Credo che la formula sia pensata ( o comunque sia utile per ) opere di medio-piccola taglia, tendialmente “fredde” o al max “tiepide” nelle quali cio’ che e’ davvero cruciale e’ assicurare la continuita’ di fornitura del servizio al pubblico, non tanto intercettare la domanda, che e’ qui rigida o predeterminata (es. classico: una scuola, che deve rimanere aperta e in condizioni “decenti” nei giorni di scuola). Pur se attenuata, l’operazione e’ cmq un PF “vero” perche’, se ben costruita, rispetta i criteri fissati da Eurostat per rimanere prudentemente “off balance”. Saluti cari, PR.

    • La redazione

      Sono perfettamente d’accordo che quello che illustri sia l’uso fisiologico del canone di disponibilità. Il problema è che lo ho visto proporre con molta forza per grandi opere ferroviarie, e in un contesto di fortissima sovrastima della domanda da parte di FS, con le prevedibili conseguenze a cui accennavo. Tantissimi saluti anche a te.

  6. Marco Spampinato

    Il confronto tra la tratta Bari Napoli e il Ponte sullo Stretto non mi sembra avere molto senso. Sulla linea da Caserta a Foggia ci sono tratte a binario unico, e progetti di raddoppi, come su altre importanti tratte del Mezzogiorno più meridionale. Il Ponte sullo Stretto, ovviamente invece, lo capisce chiunque, non è una “tratta” o “linea” da raddoppiare, ma un “collegamento”. Però è vero che sul sito di Italferr si leggono cose incredibili, come il fatto che la linea Caserta Foggia sarebbe, testuale (dove l’espressione “maglia ferroviaria europea” sembra scappata via da un libro di “taglio e cucito”). Non so se si tratti di una provocazione (su cui ridere), o se Italferr decida da sola quali regioni italiane sono in Europa, e quali no…. Forse è una burla. Non può non sapere Italferr che esistono tratte con lavori di raddoppio di binari (avviati dagli anni 50) anche sulla Messina-Palermo (solo un esempio). Chissà a che punto stanno… Credevo che la Sicilia fosse ancora una regione italiana ed europea, ma forse non è più così. Il mondo cambia così rapidamente: basta distrarsi un attimo, e un’isola intera se ne va

    • La redazione

      Io credo che quando i soldi pubblici sono scarsissimi come ora, qualsiasi progetto deve essere valutato e confrontato, non ce ne sono per tutti. Il rischio maggiore è la distribuzione a pioggia di fondi parziali, per aprire cantieri che non si chiuderanno mai, e far contente tutte le lobby locali. Ogni opera, una volta decisa, dovrebbe avere contratti e finanziamenti “blindati”, pena l’incredibile spreco di risorse che ha generato, per esempio, l’Alta Velocità. Cordialmente

  7. pasquale marasco

    Il presupposto del contratto di disponibilità è che l’opera da realizzare sia di proprietà del privato. Tale presupposto dovrebbe escludere le “opere demaniali” o da realizzare sul demanio (strade, autostrade, porti, etc). Pertanto a una prima lettura mi sembra che tale forma di PPP sia applicabile a uffici pubblici, centri direzionali (operazioni di piccola/media taglia) così come “suggerito” da Piero Rubino. Infine temo che vi possano essere difficoltà di natura applicativa, nel caso in cui siano necessari espropri per mettere a disposizione del privato aree su cui realizzzare opere di pubblica utilità. cordialmente pm

  8. mc

    Ponti è molto cauto nel trarre le consguenze di ciò che scrive. forse perchè vuol lasciarle a noi. E allora io, per conto mio, le tiro. Non c’è una sostanziale discontinuità con le politiche precedenti, anzi: alcune iniziative, anche se da precisare maggiormente, sembran rafforzare il malcostume. Che dire, ad esempio, di quelle che utilizzano il criterio della bancabilità? o dell’allungamento della durata delle concessioni? Ponti scrive genericamente che a pensar male si sbaglia ma a volte si indovina, a me vien davvero da pensar male, se si fa mente a chi sono alcuni dei componenti di questo governo. E non credo ci si sbagli, purtroppo. Si parla tanto di fare una doverosa spending review (si tratta di un normale consuntivo che vien nobilitato dall’anglicismo, chissà perchè) ma si apprestano le basi perchè la spesa continui in modo dissoluto, attenta più a dove incanala i guadagni per costruir le infrastrutture che a quel che ne ricava, in termini di sostenibilità ambientale ed economica, la collettività.

  9. Rosalba Cori

    Grazie al Prof. Ponti per le riflessioni sulla politica delle infrastrutture che, ad oggi, pare porsi in una logica di continuità con quella del precedente Esecutivo. Sembra si sia convinti, soprattutto per quanto attiene ai temi del partenariato pubblico-privato, che il solo legiferare sul tema, aggiungendo tipologie contrattuali o ridisegnando istituti giuridici, possa favorire il coinvolgimento dei capitali privati per la realizzazione delle opere pubbliche e/o tutelare l’amministrazione pubblica da eventuali errori legati alla complessità degli strumenti… Ma poco si dice su “come fare” per implementare correttamente tali norme e nuovi istituti e come monitorarne l’adeguata utilizzazione e gli effettivi vantaggi sia per la PA sia per il cittadino-utente-contribuente. R.

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