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CHI INVITA I POVERI AL RISTORANTE?

La povertà degli italiani non interessa alla classe politica. Quando parla di un paese benestante perché i ristoranti sono pieni, Silvio Berlusconi riecheggia una frase analoga di Bettino Craxi. E conferma quanto ampia sia la distanza fra la classe politica e i problemi legati alle condizioni di vita delle fasce più marginali della popolazione. Ma questo atteggiamento di indifferenza è antico, radicato e persistente nella storia italiana. Forse è arrivato il momento di affrontare il problema.

A noi pare che si vada confermando una sconsolante evidenza a sostegno di una tesi tanto spiacevole quanto imbarazzante: la povertà degli italiani non interessa alla classe politica. Non siamo certo i primi a denunciare questo fatto. (1) Ma in ogni caso ce lo ha ricordato e reso ben chiaro, venerdì scorso, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, quando nel corso della conferenza stampa al vertice del G-20, ha dichiarato: “Mi sembra che in Italia non ci sia una forte crisi. La vita in Italia è la vita di un paese benestante, i consumi non sono diminuiti, per gli aerei con fatica si riesce a prenotare un posto, i ristoranti sono pieni, i posti di vacanza nei ponti sono iper-prenotati (…)” .
È vero, i poveri non vanno cercati nei ristoranti e non sono soliti viaggiare in aereo, ma di fronte all’affermazione del presidente Berlusconi, è difficile sottrarsi alla riflessione di quanto sia ampia la distanza fra la classe politica e i problemi legati alle condizioni di vita delle fasce più marginali della popolazione e di quanto sia antico, radicato e persistente, nella storia italiana, l’atteggiamento di indifferenza che a tale distanza fa da riscontro.

UNA LUNGA INDIFFERENZA

Abbiamo documentato altrove il difficile rapporto fra politica, istituzioni e povertà. Abbiamo mostrato come nell’Italia liberale (diciamo dal 1861 al 1911), la lotta alla povertà non fosse uno strumento di promozione del benessere sociale, quanto piuttosto una materia di competenza dei prefetti: i poveri interessavano solo e soltanto in quanto possibile causa di problemi di ordine pubblico. (2) Durante il ventennio fascista, nonostante la nascita di istituzioni esplicitamente rivolte ai poveri (si pensi agli Enti comunali di assistenza), l’orientamento del regime fu di non enfatizzare, se non addirittura di dissimulare il fenomeno della povertà. Nel secondo dopoguerra il tabù della povertà venne meno: di fronte alle dimensioni di massa del fenomeno, furono promosse numerose indagini conoscitive, alcune delle quali anche nella forma di inchiesta parlamentare. Si trattò tuttavia di iniziative sporadiche, fuochi d’agosto. Così sottolinea anche il rapporto 2011 sulla povertà della Caritas italiana: “Non si può certo affermare che non ci siano stati interventi a favore dei poveri, negli oltre sessant’anni di vita repubblicana, ma si è trattato prevalentemente di interventi locali, settoriali, occasionali, che di fatto si sono rivelati ininfluenti nella riduzione della povertà nel nostro paese”. (3)
Qualcosa sembrò cambiare verso la fine degli anni Settanta, quando il tema cominciò ad attrarre l’attenzione della comunità scientifica italiana, anche in conseguenza degli effetti della crisi petrolifera e del rallentamento dell’economia mondiale. La prima stima istituzionale della povertà comparve nel 1979, con i risultati pubblicati nel 1982, a cura di Giovanni Sarpellon. Un ulteriore accelerazione si registrò con l’istituzione della Commissione di indagine sui temi della povertà, nata ufficialmente il 31 gennaio 1984. Si trattò peraltro di una stagione che seppur breve, testimoniò una caduta drammatica dell’incidenza della povertà assoluta nel paese, che passò da valori intorno al 20 per cento fino al 4-5 per cento).
Pochi forse lo ricorderanno, ma le parole del presidente Berlusconi riprendono, quasi testualmente, la dichiarazione che il presidente del Consiglio Bettino Craxi rilasciò a commento della pubblicazione del primo rapporto redatto dalla Commissione di indagine sui temi della povertà. Secondo i calcoli della Commissione, gli individui poveri (adottando una misura di povertà relativa) nel 1983 erano oltre 6 milioni (ovvero l’11,1 per cento della popolazione), un risultato che produsse un vivace dibattito nel paese. A margine della presentazione ufficiale del rapporto, Craxi tentò di ridimensionare l’entità del problema, ironizzando sulle conclusioni della Commissione. Secondo la ricostruzione di Ermanno Gorrieri: “Al presidente del Consiglio [Craxi] i giornalisti chiesero se riteneva possibile che ci fosse ancora della povertà nella quinta potenza industriale del mondo. La risposta fu: quando vado in giro vedo i negozi pieni di ogni ben di Dio, i ristoranti affollati, la gente che fa le vacanze all’estero… Mah, non saprei”. (4)
Pare insomma non interrompersi la linea rossa che percorre la storia del rapporto fra politica e povertà nel nostro paese. Anche se i responsabili della politica economica e sociale chiudono gli occhi, i poveri d’Italia sono sempre lì: è forse giunto il tempo di invitarli davvero al ristorante?

Leggi anche:  Misure contro la povertà: c'è chi ne ha diritto, ma non lo sa

(1) Marco Revelli afferma, ad esempio: “So benissimo che la povertà interessa poco. Lo so per averlo sperimentato giorno dopo giorno nel triennio in cui mi è capitato di presiedere la commissione d’indagine sull’esclusione sociale (Cies) (…) È spiacevole a dirsi, ma è così. Interessa poco al sistema dei media, perché essendo cosa grave e preoccupante, non lascia spazio al gossip. E interessa poco anche alla politica (…) perché in assenza di politiche sociali credibili, di contrasto e di risposta, la povertà non è un item quotabile alla borsa del consenso politico.” (Revelli M. (2010), Poveri noi. Einaudi, pag. 34-35).
(2) Si veda Amendola, N., F. Salsano e G. Vecchi (2011), “Povertà”, in G. Vecchi, “In ricchezza e in povertà. Il benessere degli italiani dall’Unità a oggi”, Il Mulino, Bologna.
(3) Caritas Italiana – Fondazione “E. Zancani” (2011), Poveri di diritti Rapporto 2011 su povertà ed esclusione sociale in Italia. Il Mulino, Bologna, pag. 19.
(4) Carattieri, M., Marchi, P. e Trionfini, M. 2009 Ermanno Gorrieri (1920-2004). Un cattolico sociale nelle trasformazioni del Novecento, Bologna, Il Mulino.

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DEBITO A VALANGA, IL SENTIERO SI STRINGE

14 commenti

  1. Giorgio Massarani

    Al tempo di Craxi eravamo, o almeno ci vantavamo di essere, la quinta. Ai tempi di Berlusconi diciamo ora la settima. Ma quando sarà tenuto conto del sorpasso del Brasile saremo l’ottava. Verso la metà del decennio si verificherà il sorpasso dell’India ed allora la nona non sarà più chiamata potenza ma con meno prosopopea economia. E sorpasso dopo sorpasso i poveri continueranno a non contare nulla. Speriamo nella futura generazione di governanti e in una loro maggiore consapevolezza sociale.

  2. maurizio

    Nella legislatura tra il 1996 ed il 2001 fu approvato un Decreto Legislativo che introduceva in via sperimentale l’istituto del “reddito minimo di inserimento” . Questa legge è in vigore ma il governo si è dimenticato di applicarla

  3. AM

    Quantunque non del tutto infondate (lo si può controllare a vista), le dichiarazioni di Berlusconi sono state decisamente inopportune. In Italia la povertà è in aumento anche a seguito dell’immigrazione. Vi sono oltre 5 milioni di residenti stranieri, la grande maggioranza dei quali non vive certo in condizioni di benessere. Si deve tuttavia ricordare che l’Italia si trova in posizioni di testa nella graduatoria della longevità e che il differenziale di sopravvivenza tra ricchi e poveri per gli over 50 è inferiore in Italia rispetto a quello degli USA e di molti paesi europei. Dipende sicuramente anche dal clima e dal cibo, ma un fattore importante è rappresentato dal sistema sanitario.

  4. Roberto A

    Cosa mi rappresenta questo pezzo? Non vi è contenuta nessuna analisi seria sul fenomeno,mi pare un pezzo di costume. Mi interesserebbe sapere come si è evoluta la situazione in questi anni di crisi,rispetto alla povertà e mi sarei aspettato, appunto, un analisi seria da parte di due studiosi.

  5. Elio Capriati

    Gli autori non ricordano, mi pare, come la prima Commissione di indagine sia stata istituita dal primo centrosinistra, e segnatamente proprio da Bettino Craxi nel 1984. L’illustre studiosa Chiara Saraceno partecipò a quella Commissione, voluta, appunto, dall’allora presidente del consiglio Craxi, molto sensibile, da buon socialista, al tema dei bisogni e delle nuove povertà. Quel commento di Craxi , estrapolato da un commento più vasto e ricordato dagli autori, va inserito nel contesto degli anni 80, quando gli italiani non stavano malaccio come oggi. Il peggioramento è avvenuto dagli anni 90 in poi tanto è vero che in Italia nel 2010, sono 2 milioni 734 mila le famiglie in condizione di poverta’ relativa ovvero 8 milioni 272 mila individui poveri:il 13,8% dell’intera popolazione, ben oltre l’11% del 1984. Insomma, cerchiamo di contestualizzare e analizzare correttamente i dati storici sulla povertà peggiorati nettamente nel corso della cd 2^ repubblica.

  6. Bruno Stucchi

    Se ci basiamo sulla dichiarazione dei redditi, tutti i ristoratori della zona (almeno una ventina, per difetto) sono al limite della povertà, perché dichiarano un reddito inferiore a quello dei loro camerieri stagionali.

  7. alessandro

    Ci sono, non si vedono e soprattutto non si sentono i poveri che stanno aumentando nelle nostre città. E’ vero che al ristorante, come nei contri commerciali, come nelle sale di cinema, nulla sembra cambiato, ma per chi opera nelle caritas, in parrocchia (ma penso anche nelle altre realtà sociali di assistenza) l’aumento delle persone che chiedono aiuto per pagare le bollette o per generi di prima necessità specifici (latte bambini, abbigliamento pensate) è veramente impressionante. E posso garantirvi che non sono solo extracomunitari. I poveri, oggi, occorre cercarli perchè si nascondo.

  8. carlito

    Berlusconi ha ragione: i ristoranti sono pieni, sebbene a chi gli rema contro faccia comodo affermare il contrario. L’economia italiana non è messa così male come risulta dei numeri che vediamo ogni giorno perchè quasi la metà di essa non è ufficializzata, ma naviga nei numeri dell’illegalità, del sommerso, del lavoro in nero e dell’evasione fiscale. Sì è vero che ci sono un sacco di poveracci, ma ciò che gli illustri economisti, compresi quelli de La voce non hanno capito, è che i veri poveri sono quelli che dichiarano tra i 20000 e i 40000 euro all’anno, mentre i ricchi sono quelli che stanno sotto i 20000 o sopra i 40000. La tassazione IRPEF deve essere progressiva per i dipendenti (più guadagni, più paghi) e riduttiva per gli autonomi (più guadagni, o meglio più dichiari, meno paghi progressivamente). Vedrai che saranno incentivati a dichiarare. Io non capisco come sia possibile non vedere che i dati ufficiali non corrispondono alla realtà: con tutta l’evasione che c’è, la gente che sta bene è molta di più di quella che risulta e fa la vita da nababbi.

  9. SAVINO

    Vedo che si sta facendo l’elogio del craxismo. Ma il debito pubblico non ha cominciato a superare ogni ragionevole limite proprio negli anni ’80? Nella dicotomia tra meriti e bisogni (tanto cara a quel PSI) non si è preferita, forse, la terza via di penalizzare sia gli uni che gli altri, dando vita alla politica delle clientele? Craxi non è lo stesso che si precipitò da Londra a firmare il decreto per le frequenze tv per l’amico Silvio? E non è lo stesso dei nani e delle ballerine che ha dato il via all’epoca del ciarpame senza pudore? Berlusconi cade e ci risolve metà dei problemi. L’altra metà ha un’origine storica e nasce dalla faccia tosta della classe politica di questi decenni. O si cambia mentalità o si muore.

  10. Giampiero Fabbri

    Sono il capo famiglia di una famiglia di 4 persone, monoredditto, casa in affitto; da alcuni anni uso il car sharing al posto dell’auto di proprietà. Ho uno stipendio normale da quadro. Fino a tre anni fa una volta al mese si andava al ristorante, poi solo in pizzeria, poi abbiamo iniziato a comprare le pizze d’asporto, ora ce le facciamo in casa. Se il presidentissimo vuole fare un passo a Genova, sarò lieto di offrirgli una pizza precotta del discount.

  11. ndr 60

    Se i ristoranti sono pieni, i voli idem e sui Freccia Rossa si trova con difficoltà un posto perchè gli illustri sociologi che snocciolano statistiche da Vespa & c. non fanno una piccola indagine? Potrebbero intervistare 100 persone a caso e chiedere loro che lavoro fanno e quanto hanno dichiarato nell’ultimo 740…

  12. giulio

    In presenza di un sistema che non funziona, nei periodi travagliati i poveri diventano più poveri e i ricchi diventano più ricchi. I primi perché non esistono leggi eque che li difendano, i secondi perché esistono leggi inique che permettono loro di sfruttare gli altri. Chi ha conoscenze, amicizie, ecc., potrà sempre accedere a posti ben remunerati e incrementare la propria ricchezza. Chi non ha i contatti giusti potrà al max aspirare a 700 € in nero, senza TFR, né tredicesima, ecc., ecc. e al trascorrere del tempo sprofonderà sempre più nella povertà.

  13. Elio Capriati

    Debito pubblico retaggio della prima repubblica? Falso. Questa magistrale lectio di Oscar Giannino dimostra il contrario e sconfessa la bufala secondo cui la 2^ rep. è vittima del debito accumulato nella prima.. Da notare che Giannino non può essere accusato di antiberlusconismo.

  14. ferdinando palermo

    Prima ancora di ricordare analoghe sparate di Craxi la frase sui ristoranti pieni denuncia l’eterna incapacità del potere malato di ocmprendere la realtà. “Date loro delle briosce” disse Maria Antonietta a chi le comunicava che il popolo era affamato. Nelle Mille e una notte si racconta, invece, del saggio califfo che si travestiva da povero mendicante nello sforzo di comprendere come vivesse realmente il suo popolo.

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