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UN TICKET CHE PORTA ALLA SANITÀ PRIVATA

Il ticket di 10 euro previsto dalla manovra altera i prezzi relativi fra strutture sanitarie pubbliche e strutture private: per un gran numero di accertamenti a basso costo il ricorso al servizio pubblico si rivela più costoso. Difficile dunque raggiungere l’obiettivo di aumento delle entrate, sul quale punta la manovra. Intanto, però, si consegna al privato una parte della specialistica ambulatoriale sulla quale si concentrano molte delle aspettative dei produttori del settore e dei gestori di fondi integrativi. 

Il ticket di 10 euro sulle ricette per le prestazioni di specialistica ambulatoriale previsto dalla manovra altera i prezzi relativi fra strutture pubbliche e strutture private, rendendo più costoso il ricorso al servizio pubblico per un gran numero di accertamenti a basso costo. Il che vanifica l’obiettivo di aumento delle entrate, sul quale punta la manovra, e consegna al privato una parte della specialistica ambulatoriale sulla quale si concentrano molte delle aspettative dei produttori del settore e dei gestori di fondi integrativi. 

UNA TRADIZIONE DI APPROSSIMAZIONE E INEFFICACIA

Sin dalla loro prima apparizione in Italia, nel 1978, i ticket sono stati oggetto di un dibattito tanto vivace e acceso sul piano politico-ideologico quanto approssimativo sul piano degli obiettivi di politica sanitaria con essi perseguiti e delle conseguenze economico-sociali prodotte.
Tradizionalmente, ai ticket sono stati assegnati due ruoli fondamentali: l’uno di finanziamento (ovvero di aumento delle entrate) del Servizio sanitario nazionale, l’altro di contenimento della domanda di prestazioni. Se si esclude il caso dei farmaci, l’esperienza indica una scarsa efficacia dei ticket su entrambi i fronti. Il gettito, a maggior ragione se valutato al netto dei costi amministrativi di riscossione, appare alquanto modesto, mentre il contenimento della domanda è per lo più controbilanciato da un aumento delle richieste di servizi sanitari esenti, erogati, ad esempio, in regime di day hospital.
I ticket previsti dalla manovra appena approvata non fanno eccezione alla tradizione di approssimazione e inefficacia. Con una aggravante: per la prima volta rendono conveniente rinunciare all’utilizzo del servizio pubblico per rivolgersi alle strutture private. È il caso del ticket sulla specialistica di 10 euro per ricetta, già introdotto nel 2007, ma subito abolito. Vediamo come funziona.

UN TICKET DI INGRESSO E UN TICKET DI UTILIZZO

Il ticket di 10 euro per ricetta è una quota fissa che un assistito (non esente), al quale siano state prescritte delle prestazioni specialistiche (visite mediche, esami di laboratorio, diagnostica per immagini, terapie riabilitative, eccetera) deve pagare semplicemente per aver diritto a utilizzare gli ambulatori pubblici. Una volta pagata la quota fissa, il paziente deve anche pagare il ticket sui servizi fruiti, in base al numero e alla tipologia degli stessi. La manovra introduce cioè una sorta di tariffa composta di due parti: un “biglietto di ingresso” (per esercitare il diritto a essere assistito dalle strutture specialistiche del Ssn) e un “ticket di utilizzo” (per utilizzare effettivamente tali strutture, presentando la ricetta rosa del medico curante).
Il “ticket di utilizzo” non è modificato dalla manovra e resta perciò fissato sulla base del tariffario delle prestazioni specialistiche: ogni ricetta può contenere fino a un massimo di otto esami e l’importo complessivo dei ticket per ricetta (determinato sommando la tariffa delle singole prestazioni da erogare) non può superare i 36,15 euro.
Ma una larga parte degli accertamenti di laboratorio, ad esempio quelli del sangue, sono erogati a prezzi unitari molto bassi: qualche centinaio di esami costano meno di 2 euro, e un assistito non esente è tenuto a pagarne il prezzo fino al tetto massimo di 36,15 euro. Cosicché, per esempio, una ricetta con otto esami del sangue – ciascuno con tariffa pari a 2 euro – comporta un esborso nel pubblico di 26 euro (16 euro per le otto prestazioni e 10 euro per la quota fissa) e nel privato di 16 euro (basta non utilizzare la ricetta rosa e non si è tenuti a pagare la quota fissa). Lo stesso dicasi per gli esami radiologici e per le terapie riabilitative. Fa eccezione la diagnostica per immagini ad alto costo (una risonanza magnetica, ad esempio) per la quale l’esborso nel pubblico è ancora inferiore (nonostante i 10 euro) a quello nel privato.
Il ticket di ingresso di 10 euro comporta, quindi, soprattutto per molte delle prestazioni specialistiche più richieste (a basso costo unitario), effetti distorsivi a favore del settore privato. E lo spostamento di parte dell’attività verso il settore privato vanifica l’obiettivo di aumento delle entrate da ticket, sul quale punta la manovra. Inoltre, nel breve periodo, la minore produzione pubblica consente modesti risparmi di spesa (i costi marginali sono esigui), vanificando anche l’obiettivo di contenimento della spesa.

UNA IMPLICITA RIDUZIONE DEI LIVELLI DI ASSISTENZA

A ben vedere il comportamento della sanità pubblica appare paradossale: nella speranza di aumentare i ricavi (da ticket) aumenta i prezzi, senza accorgersi che così facendo consegna alla ”concorrenza” (i centri privati) una parte dei propri assistiti. Nessuna azienda sana di mente commetterebbe lo stesso drammatico errore.
A parte i modesti effetti sui saldi della sanità pubblica, il ticket di 10 euro dà un altro preoccupante risultato: diminuisce di fatto la copertura assistenziale assicurata dalla sanità pubblica a favore dei non esenti. Un modo implicito per ridurre i livelli di assistenza e favorire la graduale fuoriuscita dal Ssn di alcune categorie di cittadini con riguardo a un settore, la specialistica ambulatoriale, sulla quale le pressioni dei produttori del settore (diagnostica, tecnologia, eccetera) e dei gestori di fondi integrativi sono particolarmente elevate. Senza alcuna attenzione all’appropriatezza dei percorsi diagnostico-terapeutici, riconosciuta a livello internazionale alla base di qualunque miglioramento delle performance dei sistemi sanitari moderni.

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16 commenti

  1. maiden

    Anzitutto complimenti per l’articolo che mostra con una pregevole chiarezza espositiva i probabili inconvenienti dell’introduzione del ticket di 10 euro. Credo che il rischio adombrato (cioè favorire la sanità privata) sia molto concreto e soprattutto non sia casuale visto che il centro destra ovunque abbia governato ha una tradizione di favore verso i privati (si veda il caso emblematico della Lombardia).

  2. luigi

    Il problema fondamentale è che non ha senso la convenzione, praticamente “a vita”, con le strutture sanitarie private. Il Privato nella sanità dovrebbe fornire i servizi che il Pubblico non fornisce o dovrebbe fornire servizi in competizione con il Pubblico (senza il vantaggio della convenzione).

  3. Andrea Dolci

    Mi pare che nel decreto l’indicazione del valore unitario del ticket serva solo a definire il gettito che le Regioni verseranno allo Stato. Saranno poi loro a decidere se e come applicarlo, se farlo in maniera indifferenziata o modularlo in funzione del costo delle prestazioni. Al di la’ di segnalare il rischio storture ogni volta che si varano provvedimenti come questo che incidono apparentemente in maniera lineare, mi sembra che il voler a tutti i costi attribuire valori di indirizzo politico puzzi un po’ di dietrologia a tutti costi.

  4. Flavio

    C’è anche un altro elemento: il privato accreditato riceve finanziamenti pubblici per le prestazioni fornite, per cui si arriva al paradosso che il pubblico continua a pagare come prima le prestazioni se sono effettuate dalla struttura privata mentre aumenta i costi per gli utenti se nella struttura pubblica. Sarebbero per lo meno da rivedere le convenzioni coi privati accreditati riducendo il rimborso per prestazione. Da un lato, il privato dovrebbe alzare le tariffe all’utente, cosa che avvantaggerebbe le strutture pubbliche. Dall’altro, si taglierebbe così la spesa pubblica (quella sanitaria è una delle più elevate e fuori controllo) anziché tentare di innalzare le entrate con l’introduzione dei ticket. In un momento di emergenza finanziaria, battere questa strada ove possibile sarebbe più sano e più equo.

  5. rosanna bettella

    …macché senza accorgersene, io sono maliziosa, credo che l’abbiano fatto proprio per favorire il privato, così un po’ alla volta stanno smantellando il Ssn.

  6. marco

    L’analisi è corretta, ma esiste anche un altro problema. Molte regioni impongono alle strutture private dei tetti di finanziamento, dei budget. Aumentando la compartecipazione (ticket) dei cittadini, il finanziamento pubblico ai privati per singola prestazioni diminuisce (paga di più il paziente e meno la Regione), quindi a parità di tetto il privato sarà autorizzato a erogare maggiori volumi di attività. Quindi il privato potrà appropriarsi di una fetta ulteriore di “mercato”, oltre naturalmente a “richiamare” tutte le prestazioni che hanno una tariffa inferiore ai 46 euro, come spiegato nell’articolo.

  7. michele

    Con l’introduzione di una contabilità a costi standard per il servizio sanitario nazionale, se la stessa prestazione erogata da privati convenzionati con SSN ha un costo minore di una analoga effettuata intra moenia, dovrebbe accadere automaticamente che il Centro unico di Prenotazione indirizza i pazienti direttamente verso strutture private. E in secondo luogo, più nel medio termine, che le strutture pubbliche imitano e introducono le apparecchiature e l’organizzazione di quei privati che sono più competitivi, per portare il costo della prestazione nelle strutture pubbliche ai livelli delle best practice convenzionate. Dove questo non è possibile (esempio budget di acquisto insufficiente, volumi insufficienti ad ammortizzare il costo), la prestazione viene del tutto esternalizzata. Qualcosa non funziona se il ticket costa più che pagarsi la prestazione interamente da privati, perchè dovrebe essere il Servizio Sanitario, non i singoli cittadini, a ottimizzare i costi e cercare il miglior servizio per la salute al costo più basso. Dovrebbe essere il settore pubblico a cercare di convenzionarsi con le migliori strutture private, senza attendere che queste si propongano.

  8. carla

    Sono totalmente d’accordo! Nella regione Lazio, dove già si pagava una quota fissa di 4 euro, è stata immediatamente recepito l’aumento del ticket di ulteriori 10 euro per ricetta. Una ricetta che contenga prestazioni per un massimo di 36,15 euro, ora è arrivata a 50,15 euro! Ho sentito donne a inizio gravidanza molto preoccupate su come far fronte alle spese per le numerose analisi di routine, che non sono esenti se la gravidanza non è a rischio. Tutti gli effetti che l’autrice descrive sono davvero reali e credo per niente casuali

  9. calandrino

    Sanità pubblica? Settimana prossima avrò una visita intramoenia presso un ospedale pubblico al costo di 230 euro. Alla faccia della sanità pubblica. Non la vuoi intramoenia? Allora aspetta 5 mesi

  10. Anna Bula

    In un paese come l’Italia con una pervicace evasione fiscale, qualsiasi manovra risulta iniqua. Legare il ticket al reddito risulta quindi imposssibile. Abito in una cittadina del Sud dove ci si conosce più o meno tutti e quindi si sa bene di che reddito godano i commercianti e le varie categorie di autonomi che vediamo spesso non pagare le prestazioni sanitarie perchè esenti. La nostra è una Sanità che garantisce i trapianti gratis a persone il cui reddito non risulta da nessuna parte. Io credo che la misura sia colma e, sinceramente, non capisco la mancanza di ludibrio sociale verso questa gente che si cura a spese della colletività senza contribuire con le tasse. Ho dovuto dire a mio figlio, quando il primo anno di università si è reso conto che pagava il doppio delle tase del figlio di un macellaio industriale, di tenere la lingua a freno poichè i figli forse non sapevano dei maneggi dei genitori. D’altra parte la mia masarda di 50 mq valeva come una casa di 100 mq nel calcolo Isee.

  11. Michele Citarella Presidente Adusa

    In relazione al centrato articolo sulla Sanità, vorrei portare il mio contributo sullo stato della Sanità nazionale. Non c’è il peggior sordo di chi non vuol sentire. La sanità pubblica ha sempre fatto acqua da tutte le parti, costi eccessivi, ingiustificati legalizzati, finanziamenti dispersi in mille rivoli di pseudo progetti e un servizio scadente, dove la malasanità commette errori gestionali, procedurali arrecando danno all’utenza bisognosa. Non è mai esistito nella nostra sanità pubblica un sistema integrato socialmente utile. Esistono a macchia di leopardo delle eccelenze situate in alcune regioni virtuose, ma il resto e da distruggere e ricostruire da zero con un sistema più dinamico razionale intelligenze. Per fare tutto ciò, occore che la Plotica si faccia da parte, dando carta bianca ai manager sanitari, fino a prova contraria, sono gli unici, capaci e responsabili di costruire un sistema di strutture sanitaria con spese oculate. Non dobbiamo dimenticare quello che sta succedendo nella Regione Lazio, tagli alla spesa pubblica del Ssn, alcune di esse sono state abolite, come il San Raffaele di Velletri e il S.Lucia di Roma.

  12. giovanni

    Per prima cosa farei osservare che la norma che introduce il ticket addizionale di 10 euro fu introdotta nella finanziaria del 2007 del governo Prodi, dall’allora ministro della salute Livia Turco (“the Genius”). Ogni dietrologia circa il favoritismo verso i privati mi sembra quindi fuori luogo. Inoltre, secondo me il cittadino che paga il ticket, se il totale della prestazione è al di sotto di 36,15 euro, è di fatto un privato, e non un convenzionato, libero quindi di fare le scelte che vuole. Vorrei poi far notare un fatto che molti non conoscono: i prezzi degli esami diagnostici (visite, esami di laboratorio e radiologia) sono diversi,e anche di molto, da regione a regione. Un TSH costa 19 euro a Roma e 9 euro a Milano. Secondo un’analisi dell’Agenas (vedere il loro sito), fatto 100 il costo medio ponderato degli esami in Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Umbria (tariffario nazionale), l’analogo costo sarebbe di circa 110 in Lombardia e Piemonte, 130 nel Lazio, Puglia, 140 in Campania, 150 in Veneto, Calabria e SIcilia. Difficile capire perchè un cittadino di Rovigo debba pagare il 50% in più dei suoi omologhi di Ferrara, a 30 km, ma nell’Italia dei comuni tutto è possibile.

  13. Giuseppe

    Io posso solo confermare che i ticket porteranno verso il privato e lo faccio con quello che mi è accaduto. Lunedì mattina scorso il primo giorno di entrata in vigore del provvedimento, con 30 persone in attesa del prelievo si è presenatta una signira dell’Ospedale che ha informato dei ticket e ha detto che avrebbero fatto due conti a tutti. Uno in solvenza (a pagamento coem privati) ed uno mutuato. Con il SSN. La sorpresa è che l’hanno detto in una struttura pubblica. Io gli sono tutt’ora grato perchè da privato ho pagato 52 euro e con il SSN 72 avendo due “ricette”. Morale con l’entrata del provvedimento andando da privato ho risparmiato 20 euro. Ma il bello è che gli esami me li hanno fatti da privato in ospedale. Ospedale di Crema.

  14. Ezio Magi

    Il ragionamento che ci viene proposto nell’ articolo induce ad una riflessione più generale. E’ logico ricorrere a un terzo pagante per prestazioni del costo di poche decine di euro? Il ricorso a un terzo pagante, nel caso della polizza assicurativa, aggiunge costi amministrativi e quelli legati al rischio morale, è quindi irrazionale acquistare una copertura per rischi di scarsa entità. Purtroppo lo stato ci impone coattivamente una polizza che copre rischi che potremmo facilmente affrontare con le nostre forze in un libero mercato delle prestazioni che si è cercato in ogni modo di distruggere. Il ragionamento proposto nell’articolo, più che dimostrare l’ inutilità del ticket, dimostra l’ inutilità del servizio sanitario nazionale.

  15. Maurizio Nazari

    Come sempre la Dirindin è convincente. Se ha dimostrato in modo chiaro come i cittadini, non esenti, sono spinti a rivolgersi alle prestazioni dei laboratori privati, mi sfugge come secondo Lei, con questa manovra, questo possa avvenire per le visite specialistiche, che sono decisamente più costose dei 24 0 29 euro che si paga già qui nel veneto. Di fatto i cittadini sia esenti che non esenti sono già in gran parte spinti verso la prestazione privata, per le lunghe liste d’attesa o perché la scelta dello specialista non è consentita con l’impegnativa. La scelta della Rnm nel privato, a spese della Regione già avviene, sempre per i lunghi tempi d’attesa nel pubblico.

  16. gfranco

    La recente manovra della Regione Lombardia per assestare il bilancio della sanità regionale colpisce ancora i redditi fiissi dei dipendenti aumentando l’aliquota regionale Irpef e inasprendo I tichet sulle prestazioni, aumnetando quindi il carico fiscale sui ceti medio-bassi, un’altra mazzata dopo quella dell’ultima manovra del goverrno. Si è scelto una strada ancora recessiva eviatndo le spese totalmente improduttive e gli sprechi della Regione Lombardia in questo settore, Dove andremo a finire ?

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