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SE LE QUOTE ROSA DIVENTANO MIMOSE

L’8 marzo di ogni anno ci si interroga sulla condizione femminile. Una soluzione per ridurre il divario tra i sessi nel mondo del lavoro è utilizzare le quote. Le prevede ad esempio un disegno di legge che impone di riservare alle donne il 30 per cento dei posti nei consigli di amministrazione delle società quotate entro il 2015. Nel breve periodo, il rischio è quello di cooptare donne non preparate che potrebbero finire per confermare eventuali stereotipi negativi. Né va scartata del tutto l’ipotesi che le quote siano come le mimose: l’omaggio di un solo giorno.

 

L’8 di marzo ci porta ogni anno a riflettere sulla condizione femminile e sui progressi fatti nella direzione di ridurre il divario tra i sessi. In molti ambiti lavorativi è facile vedere che siamo lontani da una vera parità di condizioni.

SPRECO DI TALENTI

Nella mia università, ad esempio, su circa novanta professori ordinari solo cinque sono donne, quindi poco più del 5 per cento. E l’università non è certo il solo ambito lavorativo in cui vi è una ridotta presenza femminile ai vertici delle organizzazioni. Il problema è acuito dal fatto che non è necessaria un’esplicita discriminazione contro le donne per creare evidenti sperequazioni. Semplicemente, anticipando la scarsa probabilità di arrivare a occupare ruoli di vertice, molte donne di talento potrebbero decidere di limitare il loro impegno nelle imprese in cui lavorano. Il ridotto investimento nelle attività lavorative porterebbe poi a un oggettivo svantaggio femminile nel raggiungere posizioni al vertice delle organizzazioni.
È quindi importante agire affinché la discriminazione tra i sessi sia ridimensionata perché essa implica un grande spreco di talento. Uno strumento tipico usato per affrontare possibili problemi di discriminazione è quello delle quote riservate alle minoranze. Un esempio di applicazione della politica delle quote è la legge su cui si è arrivati all’accordo in commissione Finanze del Senato, ispirata a norme simili promulgate in Norvegia e Spagna, che prevede che entro il 2015 il 30 per cento dei posti nei consigli di amministrazione delle società quotate sia riservato alle donne. Per le aziende che non si adegueranno, dovrebbe scattare una procedura che prevede la diffida di quattro mesi, poi una sanzione, un’altra diffida di tre mesi e infine la decadenza del Cda.
Secondo i dati di uno studio Cerved, riportato dal Corriere Economia del 7 marzo, solo il 12 per cento delle società quotate italiane soddisfa oggi tale requisito. Lo studio citato riporta anche altri risultati: nel triennio 2007-2009 le imprese con un Cda “rosa” hanno avuto migliore redditività e una minore probabilità di insolvenza rispetto a quelli con una più ridotta partecipazione femminile.

UNA QUOTA FORSE ECCESSIVA

Il problema di tali studi è che la correlazione tra redditività o solvibilità e partecipazione femminile ai Cda non implica in alcun modo causalità. Potrebbe essere vera una causalità inversa, cioè che la maggiore redditività consenta alle imprese di avere un numero più elevato di donne nei Cda o ci potrebbe essere una terza variabile, non considerata nell’analisi, che spiega sia la maggiore redditività che la maggiore quota femminile nei Cda.
Non avendo a disposizione lo studio Cerved, non ho potuto controllare se affronti tali questioni. Nella letteratura accademica, il lavoro più rilevante scritto di recente è quello di Renée Adams e Daniel Ferreira. (1) I risultati confermano che le donne si comportano in modo diverso dagli uomini nei Cda. Ad esempio, hanno un maggior tasso di presenza alle riunioni e partecipano a un maggior numero di comitati. I Cda con più donne sostituiscono più facilmente gli amministratori delegati nel caso di performance negativa. Tuttavia, una volta che si sia controllato per la possibilità di causalità inversa e di possibili variabili omesse, Adams e Ferreira trovano che le imprese con un rapporto più paritario tra uomini e donne nei Cda hanno una performance peggiore. Gli autori scrivono esplicitamente che i loro risultati suggeriscono che l’imposizione di quote obbligatorie per i consigli di amministrazione possa, in alcuni casi, ridurre il valore delle imprese.
Ovviamente, lo studio di Adams e Ferreira non è la parola definitiva sul tema, ma suggerisce almeno due tipi di considerazioni. La prima è che passare dall’assenza di quote al 30 per cento, anche se in tre-quattro anni, è forse eccessivo. Il rischio che si corre nel breve periodo, come già sottolineato, tra gli altri, da Luigi Zingales, è quello di cooptare donne non preparate che potrebbero avere l’effetto di confermare eventuali stereotipi negativi sulla loro presenza nei Cda. Meglio un approccio graduale con delle quote crescenti nel tempo.
La seconda è che non è stata invece avanzata la proposta di applicare delle quote anche al top management delle imprese. È probabile che ciò sia dovuto alla difficoltà di rendere operativa una simile proposta. Ma è anche possibile una lettura più maliziosa e cioè che le quote nei Cda siano viste come accettabili perché tanto i consigli di amministrazione, specialmente in Italia, hanno un impatto limitato sull’operatività delle imprese. Insomma, le quote sarebbero come le mimose: l’omaggio di un solo giorno.

(1)Renée Adams e Daniel Ferreira, “Women in the boardroom and their impact on governance and performance”, Journal of Financial Economics 2009, 94(2), pp. 291-309.

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SULLA LINEA NAPOLI-BARI CORRE LA PERDITA

20 commenti

  1. elio candussi

    Le quote rosa a mio parere sono una presa in giro e nel concreto di difficile applicabilità. Bisogna risalire alle cause, rimuovere gli ostacoli che stanno a monte, sia quelli di carattere "tecnico" che quelli culturali. Il che è complicato finchè il potere è dei maschi, il quali (nei fatti) lo esercitano discriminando o ricattando le donne. Per prima cosa occorre liberare le donne dai suoi "tipici ruoli" familiari, il che significa ad es. avere asili nido gratuiti (o soluzioni simili) o una reale assistenza pubblica agli anziani. Liberare la donna dai suoi compiti familiari significa renderle accessibile il mondo del lavoro; perchè l’emancipazione passa attraverso l’indipendenza economica. Il piano culturale è (specie oggi) ancora più importante: perchè nei fatti e nei comportamenti tutte le Istituzioni considerano le donne cittadini di serie B, da usare? A cominciare dalle istituzioni religiose (non solo nel cristianesimo..) dove il potere è detenuto per legge solo dai maschi.

  2. Angela Gregorini

    Condivido la sua preoccupazione circa il rischio che vengano "cooptate donne non preparate" mi chiedo però come mai questo della competenza sia sempre e solo un problema al femminile. Nessuno mai si sognerebbe anche solo di pensare che oggi, altrettanto probabilmente, sono stati cooptati in molti CdA uomini non preparati. Le donne hanno sempre l’obbligo di essere più che all’altezza, in caso contrario ecco lo stereotipo negativo. Gli uomini possono essere inadatti, impreparati, inadeguati o anche controproducenti e peggiorativi per il CdA, ma nessuno ne fa un problema di genere né di stereotipo. Me lo sa dire lei perché?

  3. Emanuela Marchiafava

    Sono basita che La Voce scelga di uscire con un articolo del genere proprio l’8 marzo (non che un altro giorno qualsiasi cambierebbe qualcosa, beninteso). Ma vi rendete conto dell’assoluto disprezzo e della discriminazione certa insiti nell’espressione "cooptare donne impreparate"? Date per scontato che si possano cooptare solo donne impreparate! Perché, sotto sotto, si pensa che le donne davvero brave sarebbero già lì, nel cda. E il passaggio in cui si dice che "le imprese con un rapporto più paritario tra uomini e donne nei Cda hanno una performance peggiore"? Ma è mai possibile esprimere un’affermazione così grave basandosi su di un solo studio?

  4. Chiara

    Condivido ciò che è stato scritto. Personalmente, mal sopporto le donne che mi fanno gli auguri (le reputo superficiali e irreali) e gli uomini che mi mandano mimose o messaggini (penso che così si vogliano discolpare). Gli altri giorni lotto quotidianamente per farmi rispettare. Oggi sono particolarmente polemica, perchè penso a quanto potrei ottenere, con l’energia e la voglia di fare e di vivere che ho, se fossi un uomo.

  5. alessandra del boca

    Devo dire che nella mia vita ho letto molte cose irritanti e ipocrite su come rallentare il progresso verso la parità di genere nel nostro paese, ma questa di oggi le batte tutte. Al collega Panunzi rispondo: dateci le quote e poi a non far brutta figura ci pensiamo noi, comunque grazie della premurosa paternalistica preoccupazione. Per quanto rigarda le "quote come mimose". Ci pensiamo noi a non farle appassire.

  6. Gianfranca Fois

    Chi mi assicura che invece il 70 per cento degli uomini sarà preparatissimo? Detto ciò le quote rosa non mi convincono, non siamo panda: le donne hanno le capacità e la cultura per arrivare nei posti più importanti, il problema è il disperato tentativo degli uomini di non lasciarsi sfuggire il potere. Il problema è politico e culturale e, quanto prima uomini e donne si metteranno insieme per risolverlo, tanto meglio sarà per la società italiana, lasciando perdere le commissioni pari opporunità che sono state un fallimento e hanno fatto credere che il problema fosse risolto.

  7. Chiara Saraceno

    Questo modo di ragionare è veramente insopportabile. Senza alcuna prova empirica sono date per scontate due cose: che non ci siano abbastanza donne con le competenze necessarie per entrare in consigli di amministrazione; che tra gli uomini invece il problema della competenza non si pone. Il problema, invece, è proprio la quota monopolistica maschile. Il rischio di reclutare persone incompetenti c’è, ovviamente, ma forse più per gli uomini che per le donne. Le chiuse reti maschili che detengono i poteri decisionali e di scelta hanno di fatto trascurato criteri universalistici, reclutando all’interno delle proprie cerchie ristrette con motivazioni che non sempre hanno a che fare con la competenza. Ciò non va necessariamente a favore delle aziende, così come il semi-monopolio di genere maschile in politica non ha fatto bene alla politica stessa e ancor meno ai cittadini. Non basta il riferimento ad un’unica ricerca, ignorando le altre che danno risultati opposti, per argomentare la necessità di usare cautela nel porre fine ad un monopolio dai risultati dubbi.

  8. Nadia Urbinati

    D’accordo con i commenti critici di chi mi ha preceduta, ai quali vorrei aggiungere che l’autore rivela uno straordinario pressapochismo scientifico (solo una sua minima conoscenza varrebbe a mostrare l’anacronismo di questo articolo): le quote non sono usate per idiote che altrimenti sarebbero disoccupate, ma per ‘egualmente meritevoli’ che, a causa della maggioranza maschile negli organisimi decisionali, non riescono a far valere le loro competenze. C’è da chiedersi come sia passato al vaglio della redazione una madornale affermazione come questa: "la discriminazione tra i sessi sia ridimensionata"? Se c’è discrimiazione essa va combattuta: la legge lo chiede; per quanto riguarda la "discriminazione" di tipo ‘morale’ e ‘culturale’, essa va combattuta con i mezzi dell’educazione e della discussione. Ma va combattuta in ogni modo, non "ridimensionata"! Fino a che punto, del resto, la si dovrebbe ridimensionare? Quale e’ la soglia oltre la quale non dovrei accettare di essere fatta oggetto di discriminazione? E che giuria imparziale può decidere il "quanto" di discriminazione sopportabile? Nadia Urbinati

  9. donty

    Veramente incredibile, non c’è limite agli stereotipi maschili riguardanti i criteri di efficienza lavorativa delle donne. Peccato che ogni giorno noi donne (e quelle molto intelligenti/preparate/efficienti ancora di più) ci scontriamo con una massa di uomini di medio-basso livello pagata profumatamente per fare la metà del lavoro svolto da noi. Non c’è bisogno di andare nei CdA per vedere la mediocrità maschile, è sufficiente guardarsi attorno. E’ pieno di maschi che a scuola sarebbero valutati 6– (sei meno meno) eppure nelle aziende italiane (tipicamente maschiliste) fanno carriera, a discapito delle donne in gamba lasciate sempre come fanalini di coda sia dal punto di vista degl’incarichi, sia da quello dello stipendio. E lascio perdere la politica, perché relativamente ad incompetenza e anche ad una buona dose d’ignoranza di una percentuale altissima di parlamentari, si potrebbe scrivere un romanzo di 1000 pagine.

  10. AM

    L’articolo, come i giornali (anche 24 Ore), parla di quote rosa e di un 30% dei posti riservati alle donne. Non conosco la precisa formulazione della legge, ma se parlasse di posti riservati alle donne vi sarebbero evidenti caratteri di incostituzionalità. In Italia siamo avvezzi a leggi imperfette, ma in questo caso si tratterebbe di un errore macroscopico, impensabile. Non sono affatto preoccupato per la copertura dei posti nei CdA dove penso che molti degli amministratori attuali potrebbero essere facilmente sostituiti, dato che non occorrono in genere specifiche competenze, e i mariti grandi azionisti potrebbero essere sostituiti dalle loro mogli; rimarrebbe tutto in famiglia. Mi preoccupano invece i collegi sindacali dove sono necessarie specifiche competenze, l’iscrizione a un Albo e, in base art. 2399 C.C. vi sono rigidi criteri di ineleggibilità in relazione alla parentela con amministratori anche di altre società. sia controllanti che controllate o sotto comune controllo. Vi sarebbe carenza di candidature valide.

  11. Samanta Colli

    Alcune osservazioni sembrano avere un fondamento, altre molto meno. Sul "donne impreparate" siamo ben oltre il luogo comune "donna al volante". Mi ricorda anche certi atteggiamenti disgustosi degli "antisuffragio" femminile e di quanti volevano precludere certe professioni alle donne, ultimo caso in Italia la magistratura, o il fatto che nel cantone di Appenzell Sued le donne posssano votare solo una decina di anni. Nei concorsi pubblici per soli esami noi andiamo meglio, a qualsiasi livello. All’Università andiamo mediamente meglio, perlomeno come voti se non come quantità (a Ingegneria eravamo pochine, ma in crescita). Comunque i CdA non bastano, anche nel top management serve. Citare un solo studio, fatto per giunta da maschi mi sembra poco professionale. In una società ancora maschilista e misogina dobbiamo conquistare ancora molto, e le quote sono un mezzo per accelerare i tempi, anche se a qualcuno/a può sembrare antipatico. In ogni caso per me dovrebbe essere a tempo, diciamo per trenta anni, per raggiungere un riequilibrio dopodichè credo proprio che non ce ne sarebbe più bisogno perchè a quel punto dovremmo aver fatto massa critica. Ma forse sono troppo ottimista.

  12. AM

    Il compito dei sindaci oggi, soprattutto negli intermediari finanziari, è diventato quasi un lavoro a tempo pieno. Gli adempimenti sono numerosi e complessi, la normativa è in continuo divenire, pesanti le incompatibilità e rigidi i requisiti. Dove si troveranno le candidate?

  13. Gio

    Cara redazione, sul merito dell’articolo non aggiungo altro rispetto a quanto già scritto dalla Prof.ssa Saraceno, lasciatemi aggiungere che sono davvero sconcertata dal fatto che possiate pubblicare certi articoli, che sono offensivi… e non provocatori come vorrebbero. Saluti G

  14. Giulio

    Non sono completamente contrario alle quote rosa, sebbene la promozione per via sessuale non risponda esattamente al criterio meritocratico, oggigiorno così in voga (a parole). Non posso non notare il rancore delle femministe che sono intervenute, quando parlano di discriminazioni, complotti, ecc.: non mi sembra che tutti i maschi del pianeta, nottetempo, con il favor delle tenebre, si riuniscano per tramare contro le femmine. Altro segno di rancore è nei commenti in cui il maschio viene tratteggiato come un incompetente parassita. Si prevedono quote anche a difesa di coloro che hanno un aspetto fisico sfortunato, quindi svantaggiati nell’ottenere un lavoro? Quote per gli/le obesi/e? Per quelli/e di statura bassa? Forse per quelli con la pelle olivastra, da fanatico islamico dinamitardo, o da zingara dedita all’accattonaggio e alla chiromanzia?

  15. Marco P

    Consiglierei di andare a vedersi anche: Carter, D’souze, Simkins e Simpson (2010) su Corporate Governance, 2010 sul tema. L’effetto ‘donne’ e ‘minorities’ è endogeno, ossia non causa performance.

  16. Andrea Colombo

    Vorrei garantire la competenza scientifica del Prof. Panunzi, se mai ce ne fosse bisogno. Un’occhiata al suo CV basterebbe. Detto questo, mi considero un progressista con la ferma fiducia nell’enorme contributo che le donne porterebber a tutto il mondo del lavoro. Tuttavia considero, come il Prof. Panunzi, le quote rosa una trappola. Fissare una quota significa che verrebbero spinte nei CdA anche donne incompetenti (lo stesso problema ci sarebbe con delle quote "azzurre" per gli uomini, non crediate). Esempio: durante le primarie di qualche anno fa l’On. Veltroni, allora segretario del PD, impose la regola "una donna per ogni uomo" tra i candidati. Il risultato fu una corsa assurda a completare le liste infilando individui (uomini ma anche donne) assolutamente incompetenti, senza un briciolo di esperienza, a scapito di gente più preparata. Forse, anziché le quote, bisonerebbe elaborare dei sistemi che rendano il mercato del lavoro più aperto e trasparente ad una vera competizione fra uomo e donna, l’unica soluzione possibile che concili quantità e, soprattutto, qualità.

  17. BOLLI PASQUALE

    E’ ora di dire tanti basta per i contrasti: tra Nord e Sud; tra uomini e donne; tra Magistratura e Politica; tra vecchi e giovani; tra meritevoli e raccomandati; tra onesti e disonesti; tra chi rispetta Istituzioni e Carta Costituzionale e chi non ritiene di farlo. Il Popolo è volutamente tenuto in condizione di disaggregazione per meglio essere controllato, manipolato e strumentalizzato dai pochi per fini personali. La società italiana deve democraticamente essere protagonista della sua ricomposizione strutturale, per sua identità e dignità nel consesso delle nazioni evolute. E’ urgente, quindi, bandire egoismi e favoritismi per creare una società più giusta, non opportunista, più onesta e più altruista. Le donne, nella nostra attualità sociale, esprimono la parte migliore perchè più oneste, più dignitose, più razionali e meno servili. Lo scarso inserimento delle donne nell’apparato economico e quindi nelle governace aziendali è dovuto soltanto alla loro colpevole poca solidarietà di genere. Le quote rosa sicuramente diventeranno mimose perchè, se ciò non avverrà, la nostra società sarà più povera, meno dignitosa, senza profumo e senza colore.

  18. Lo Scimmione

    Il Senato ha approvato il disegno di legge che impone la presenza di almeno il 30% di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate. Mi sembra una decisione assurda e, da parte del governo, un cedimento alla demagogia. Ha un senso logico – se accettiamo il principio che le ragioni della solidarietà debbano prevalere su quelle dell’interesse – imporre alle imprese, che sarebbero naturalmente portate a preferire l’assunzione di uomini anzichè di donne a causa delle prevedibili assenze per maternità e cura dei figli, di non attuare discriminazioni. Ma che senso ha imporre ad un azionista di affidare la tutela dei propri risparmi in base a criteri di questo tipo? Tanto varrebbe disporre che le persone non possano scegliere liberamente il proprio consulente finanziario, il proprio medico o il proprio avvocato. E poi, cos’è questo complesso di inferiorità delle donne? Dobbiamo pensare che la Marcegaglia e la Camusso siano state scelte non perchè gli elettori avevano fiducia in loro ma in quanto donne? E la cancelliera Merkel? E, a loro tempo, Golda Meir e la Thatcher? E Condoleezza Rice era stata nominata perchè donna o perchè nera?

  19. Porcu Silvana

    Premetto che non ho mai creduto, neanche in gioventù, che le donne siano migliori degli uomini. E’ proprio solo una questione di opportunità. Quando i mafiosi sono in carcere le donne li sostituiscono "degnamente" mandando avanti l’impresa criminale. Se se donne fossero migliori le scuole sarebbero un paradiso e non un mezzo inferno di superficialità, inerzia e sporcizia. Le ragazze ottengono risultati migliori perchè da loro si pretende di più anche a scuola non perchè siano intrisecamente migliori. Per quanto riguarda le quote rosa io sono d’accordo con Zingales. Alle donne bisogna dare effettive pari opportunità. Basterebbe stabilire che tutti i bambini hanno diritto ad un posto all’asilo così come a scuola. Le donne che oggi vanno avanti nei settori che contano o non hanno figli o sono ricche. Molte si sono tenute lontane apposta dalle gravidanze ben sapendo che sarebbero state un sicuro impedimento.

  20. Samanta Colli

    Per un moto di stizza non avevo verificato con attenzione gli autori. Trattasi infatti di una donna e di un uomo. Faccio pubblica ammenda. In compenso aggiungo un link ad un articolo molto interessante di cui è co-autrice Renee Adams che mi sembra molto più significativo sul perchè le donne non riescono a “sfondare” il soffitto di cristallo. Tra le righe si legge (almeno io ce lo ho letto) un giudizio più cauto sulla presenza delle donne nei CdA di aziende quotate rispetto all’articolo citato da Panunzi, evidenziando che esiste una differenza di comportamento dei board e delle società. http://www.ecgi.org/wp/wp_id.php?id=409. Dato che il principale confronto è tra Svezia e USA, e che non mi sembra che l’economia Svedese ed il suo Welfare facciano schifo, anzi, vista la situazione attuale del bilancio USA direi che la Scandinavia ha qualcosa da insegnare, perlomeno sul piano delle pari opportunità.

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