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MA LE FORMICHE NON CRESCONO

E’ tornata di moda la favola della formica e della cicala. Gli italiani sarebbero le virtuose formiche e gli americani sarebbero le cicale che hanno cantato per un’estate sola. Ecco un aneddoto che spiega perché la favola potrebbe essere falsa. Spende e si indebita chi è ottimista sul futuro, risparmia chi ha paura. Il risparmio ci ha forse preservato da guai peggiori nella crisi. Ma è l’incrollabile ottimismo che farà ripartire la locomotiva americana.

 

IL FATTO

Sabato pomeriggio 18 aprile alle quattro del pomeriggio, Bruxelles, Gare Central. Sono il terz’ultimo in una fila di duecento persone in coda alla biglietteria che vende biglietti per l’estero. Spunta Brian, un americano di Seattle, che nella sua lingua va in giro a chiedere a tutti: “Qualcuno vuole dividere il costo di un autista per andare a Milano?”. Alzo la mano e chiedo: “Quando andresti? Quanto costa?” Risposta di Brian: “Partiamo tra un’ora. Il costo della macchina con l’autista è 1600 euro”. Legge sulla mia faccia un “800 euro è troppo”. E allora aggiunge: “Ho già un altro oltre a te. Se tu ci stai e trovo ancora un altro, mi date 250 euro a testa e io metto il resto dei 1600. Voglio tornare a casa da mia figlia e mia moglie a Seattle”. Affare fatto. Il biglietto del treno per Milano sarebbe un po’ meno di 200 euro, ma chissà se c’è ancora posto quando arrivo in fondo alla coda. Torno in albergo a chiudere la borsa e fare il check-out e ritorno da Brian. Alle cinque e mezza in punto saliamo su una grossa Mercedes, guidata dal nostro autista turco Iossef, assieme a Nicola, ex-studente di scienze politiche ora alla Commissione europea, e Helena, una greca che viene a Milano come tappa intermedia verso Ancona, Patrasso e Atene. Dopo una volata notturna giù per Germania – dove l’autostrada non si paga e non ci sono limiti di velocità – e Svizzera, eccomi a casa a Milano alle tre di notte. Con la sensazione di avere vinto la lotteria. Grazie a Brian.

BRIAN E GIOVANNA

Chi è, cosa fa Brian? Fa il portfolio manager. Per conto della sua azienda, si occupa di collocare titoli di paesi emergenti presso importanti clienti istituzionali come i fondi pensione. Per lavoro si fa 250 mila miglia in un anno. Nei giorni prima dell’eruzione in Islanda era stato in Lussemburgo, Olanda e Regno Unito. È a Londra che il vulcano l’ha sorpreso. Allora ha preso un treno per Bruxelles sperando di sfuggire alla nuvola e, già che c’era, anche per incontrare qualche altro cliente. Durante la volata in Germania e Svizzera, ricarica il suo Blackberry nel quarto d’ora di una sosta in un Autogrill mentre mangia una quiche. Poi, avendo capito che anche i cieli di Milano sono chiusi, sposta nuovamente la prenotazione del suo volo da lunedì a giovedì mattina. Per ora. Fino alla partenza, sarà in un albergo milanese nel suo ufficio digitale a occuparsi dei suoi clienti. Nel tempo libero, proseguirà il suo allenamento in piscina e sul tapis roulant in vista della prova da “iron man” che lo aspetta il prossimo ottobre, una prova che prevede in sequenza due miglia e mezza di nuoto, 180 chilometri in bicicletta e una maratona (sì, una maratona!). Ci tiene perché è stato così “fortunato” da essere estratto tra i 150 americani “normali” che parteciperanno alla competizione degli iron man insieme con centinaia di atleti professionisti. Uno come Brian non si fa fermare da un’eruzione vulcanica.
Nel mondo lasciato a piedi dal vulcano c’è un’altra storia che, invece, dice qualcosa sull’Italia. La figlia di Giovanna doveva andare in gita scolastica a Parigi martedì in aereo assieme alle sue compagne di scuola. Invece, tutto cancellato, a causa del vulcano. Giovanna propone agli altri genitori: andiamo in treno, per non perdere i soldi dell’albergo già pagato in anticipo. Ci voleva però il consenso di tutti. Due genitori-formichine, preoccupati di non sprecare i loro soldi e malgrado la virtuale certezza del rimborso dei soldi dell’aereo, si sono opposti. Così tutti i ragazzi perderanno i soldi della gita. E a Mauro Moretti, l’amministratore delegato di Trenitalia, non rimane che da rammaricarsi perché il treno speciale organizzato in tutta fretta per far fronte alle cancellazioni aeree per Parigi non ha avuto prenotazioni sufficienti per partire.

È LA PAURA DEL FUTURO CHE FA CRESCERE POCO L’ITALIA

Si può provare a trarre una lezione dalle storie di Brian e dei genitori italiani. Se l’America uscirà per prima dalla crisi (e lo sta già facendo), è perché gli americani non si perdono d’animo. Mai. Quando Giulio Tremonti, Marco Fortis e Joseph Stiglitz sostengono che il boom americano era figlio di un’economia di carta dimenticano di considerare che l’America non produce solo i Richard Fuld e i Lloyd Blankfein, avidi Ceo di Lehman Brothers e Goldman Sachs, ma anche e soprattutto tanti Brian che fanno 250 mila miglia all’anno per cercare affari e visitare clienti, risolvendo tutti i tipi di problemi negli alberghi di tutto il mondo. Dietro alla volontà di spesa (e al debito privato) degli americani c’è un’incrollabile fiducia nel futuro. Fiducia che, evidentemente, manca alle formichine italiane, tanto spaventate dal futuro da essere spinte addirittura a risparmiare individualmente in modo miope anche i pochi soldi di un treno, a rischio di mettere a repentaglio la gita scolastica, cioè l’investimento collettivo. Il risparmio ci avrà anche preservato da guai peggiori nella crisi. Ma è l’incrollabile ottimismo che farà ripartire la locomotiva americana, mentre è la paura del futuro a frenare la crescita dell’Italia.

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DUE ANNI DI GOVERNO

32 commenti

  1. Alessandro

    Mi ha colpito il racconto economico-vulcanico. Perché anche io sono stato vittima della nube e mi sono ritrovato ad organizzarmi un rimpatrio dal Qatar a Torino che per fortuna ha portato "solo" un ritardo di 48 ore sull’ora prevista di arrivo. Riflettevo però sulle differenze con la situazione del Brian incontrato da Daveri. Io non faccio 250.000 miglia all’anno ma penso almeno 100.000 in macchina, aereo, treno girando worldwide per vendere servizi ambientali per conto di una PMI torinese. Quando incontro un collega straniero o un concorrente (contrariamente a quanto pensa Tremonti o il nostro nuovo Governatore Cota mai concorrente cinese ma USA, o Tedesco, o Francese) la differenza di salario in loro favore è di almeno il 30%, non parliamo se affronto il discorso di benefit che le loro aziende scaricano quasi integralmente, comprese quota asili nido e simili (argomento cui sono sensibile per 2 figli piccoli) . Tutti se non hanno il quoziente famigliare, hanno sostegno fiscale o detrazioni significative in quanto coppie (anche non sposate, come la mia!) con figli, insomma l’ottimismo di fronte ad un vulcano dipende anche dalle condizioni "al contorno".

  2. Fabio

    Complimenti, bell’articolo!

  3. Stefano Matteucci

    A mio modestissimo avviso un sistema/organizzazione tende a generare fiducia (e voglia di rischiare) quando è sostanzialmente credibile. In tema di economia e finanza, mi sembra che la parola "credibilità" abbia avuto un certo valore, almeno finora. Questo per dire che un cittadino statunitense ha molte più evidenze del fatto che gli slogan, le promesse, gli annunci che si sente ripetere si tradurranno in azioni (voce del verbo agire) in tempi ragionevoli, e che queste azioni comporteranno un aggiustamento, se non proprio un lieto fine. "Storicamente", su base probabilistica, mi sembra che ci sia evidenza di questo. In simili condizioni, un rischio si prende perché è sostanzialmente calcolato. Forse si è più portati ad agire anche in base ad una sorta di riflesso condizionato, senza troppi calcoli. E non mi riferisco al semplice affitto dell’auto. Doverosa conclusione: questo può essere solo uno dei tanti aspetti della questione, certamente opinabilissimo. Tralascio volontariamente l’antipatico discorso sull’influenza della disponibilità economica (e posizione sociale) in queste circostanze. Ammettiamo pure che non c’entrino nulla.

  4. Marcello Battini

    Il risparmio è la fonte di ogni "capitale". Il capitale è indispensabile per produrre. Non dobbiamo vergognarci d’essere risparmiatori e di demonizzare il risparmio tassandolo più del necessario (anche una bassa tassazione è troppo perchè rischia di prosciugare il risparmio). Il pericolo è un altro: quello di tesaurizzare il risparmio, comprando a prezzi disastrosi degli appartamenti destinati a restare vuoti, invece di investirlo in attività produttive. Ma su quest’ultimo punto deve soccorrere una diversa organizzazione del mercato finanziario, perchè non è possibile che uno stesso sogetto possa essere, da solo, contemporaneamente risparmiatore e imprenditore.

  5. Fulvio Volpe

    Stiamo già vedendo dove stanno finendo le cicale greche. A chi tocca salvarle? Alle formichine tedesche. Casomai la vera questione è quanto si è disposti ad accettare il rischio. Gli americani hanno mostrato di avere un’alta propensione al rischio e una scarsa disciplina in termini di regolazione, e infatti hanno causato la peggiore crisi finanziaria degli ultimi 100 anni che ha trascinato tutto il mondo verso il basso. Resta da capire perché si continua a dare credito a un modello che ha mostrato ormai tutti i suoi limiti.

  6. Agostino De Zulian

    Mi permetta, sig. professore ritengo che l’aver fatto riferimento alla favola della cicala e della formica non calza proprio con quanto Ella afferna nella conclusione del suo scritto. A prima vista Lei vorrebbe dire che se sono cicale i vari enti pubblici anche i privati cittadini in Italia dovrebbero anch’essi assumere il comportamento spavaldo della non curanza dei "conti della serva"? Chi sono le cicale nel suo aneddoto? Dal mio punto di vista non posso altro che pensare che siano i due genitori dei compagni di Giovanna che introdotti in un affare a metà piantano tutto incuranti di cosa abbiano perso. I due genitori prima hanno fatto una scelta e poi al primo ostacolo l’hanno ritrattata senza riflettere che a iniziativa avviata la scelta economica più vantaggiosa era quella di fare prendere alla ragazze in gita un treno al posto dell’aereo. Le formiche fin dalla primavera intraprendono le scelte di costruirsi i nidi per l’inverno, quindi investono, se per caso viene distrutto sono capaci di ricostruirlo. In Italia purtroppo non si è ne cicale ne formiche. L’incertezza come lei dice fa solo stare immobili aspettando l’inverno che ad esempio potrebbe arrivare ad aprile del 2011..

  7. PMC

    In realtà il suo aneddoto mette in evidenza il fatto che se Bryan si muove da solo in libertà, le famiglie degli studenti sono, invece, costrette a coordinare le loro mosse. Difficile, allora, pensare al futuro nella prospettiva che i propri progetti possano poi venire frustrati da veti altrui (per di più involontari come probabilmente accade per quelli descritti dal suo aneddoto).

  8. Barbara B.

    Da noi c’è una diffidenza atavica verso tutto quello che non ci è "abituale", che non controlliamo. Senza un gruzzolo da parte i nostri nonni e i nostri genitori erano "persi", senza la "terra" sotto i piedi. Anche famiglie abbastanza benestanti pur di risparmiare vivevano molto modestamente. Oggi chi guadagna, benino o bene, non rinuncia a viaggi, telefonini, qualche capo griffato, o al ristorante, per risparmiare qualcosa in vista dei tempi bigi. Spende meno che in altri paesi in libri e simili, ma non per risparmiare. Gli altri, la maggior parte, non risparmiano perchè guadagnano poco e se lo devono far bastare. Non serve più rimproverare le "formiche": il risparmio italiano è quello dei nonni e dei genitori, formiche che lavorano, e risparmiano ora, ce ne sono pochine. Lo dico senza giudicare nè le formiche di ieri, nè le cicale di oggi: con la media dei redditi da lavoro dipendente che sono "usciti" dalle ultime rilevazioni Istat penso che molti consumino meno perchè hanno poco, e per forme di prudenza molto sane e mirate al presente: poco o niente somiglianti alla compulsione all’accumulo nell’attesa e nella paura che tornino, in futuro la fame, la povertà già visti. Intendo, per semplificare, redditi da lavoro dipendente, perchè mi riferisco a una categoria molto numerosa rispetto a cui i dati sui redditi denunciati al fisco hanno un alto grado di attendibilità. Mi interessa mettere in evidenza delle condizioni economiche certe, molto diffuse, che influscono in maniera significativa sul livello dei consumi (come sul gettito fiscale). La categoria non esaurisce sicuramente il numero delle persone che fanno i conti per arrivare a fine mese, l’impossibilità di "risparmiare" riguarda anche tanti altri.

  9. moreno

    In uno stato che non "sospetta" a priori della tua fedeltà fiscale, che ti dà reali pari condizioni di accesso al credito e alle professioni, in uno stato dove le leggi sono poche e chiare anche gli italiani, credo, sarebbero propensi al rischio e all’imprenditorialità. Ma sappiamo quanti amicizie, nepotismi, "ordini professionali" e incertezza legislativa fanno propendere i più , comprensibilmente, verso attività poco rischiose sia sul piano lavorativo che su quello finanziario. La riprova l’hanno data i tanti bravi e "spericolati" emigrati italiani nel mondo. L’ambiente Italia è davvero poco aperto ad una vera cultura "liberale".

  10. shyver64

    Abito a Padova nel ricco nord est, ora ricco di aziende che falliscono, chiudono. L’italiano e’ un individualista. Il bravo operaio e’ diventato imprenditore, ma nella maggior parte dei casi ha sempre la mentalita’ di operaio. Lavorava 24 ore al giorno come operaio per imparare il lavoro, ora imprenditore lavora le stesse 24 ore con la pressione della responsabilita’ che prima non aveva, di paura di non aver lavoro, senza rendersi conto molte volte che il guadagno finisce in interessi da versare alle banche. L’americano ha la cultura del rischio, dell’investimento. Io faccio oggi qualcosa che mi portera’ avanti domani. Hanno una capacita’ di visione. L’italiano oggi lavora come imprenditore ex operaio, ma lavora per mantenersi il lavoro domani, continuando a fare l’operaio, non avendo mai avuto la cultura imprenditoriale, forse l’unica cultura e’ stata quella di votare Lega nord, contro il pericolo degli exstracomunitari, che vanno eliminati, dimenticando che forse gli extracomunitari sono quelli che lavorano per lui e che gli hanno dato la possibilita’ di diventare imprenditore, di un lavoro che lui faceva e che ora fanno solo gli extracomunitari.

  11. Paolo Greco

    E’ vero, la paura del futuro si unisce alla grettezza delle idee e alla mancanza di orizzonte. Così preferiamo il federalismo fiscale: mantenere i nostri soldi in casa e bearci della nostra superiorità sugli extracomunitari. Mi sembra una delle sindromi dei nuovi ricchi dopo la fame atavica, conservare i sodi sotto mattone per paura di perderli o che altri ce li rubino; così perdiamo tutte le occasioni mentre il mondo cambia e la ricchezza passa di mano.

  12. Giri Federico

    Mah… Un paese indebitato fino al collo come gli Stati Uniti potrà continuare a essere la locomotiva mondiale? Ne dubito, a meno che non vogliamo ricominciare la scorciatoia del credito facile, delle carte di credito date ai primi che capitano, della cartolarizzazione dei titoli spazzatura, etc… insomma la storia sappiamo già come va a finire. La vera ripresa avverrà solamente quando i paesi che sono veramente in possesso di ricchezza (vedi Cina) decideranno di redistribuirla in giro per il mondo e non di accumularla nelle proprie casseforti sotto forma di pezzi di carta. Tutte le altre strade sono solo scorciatoie che ci porteranno inevitabilmente alla prossima crisi.

  13. PDC

    Un po’ troppo bianco e nero ma… credo ci sia del vero, paura (pusillanimità?) e pessimismo cinico sono parte integrante della nostra cultura.

  14. Giovanni Mazzoleni

    Analizzando quanto Lei ha detto attraverso la teoria dei giochi, emerge l’invidiabile posizione statunitense di riuscire a plasmare un gioco Lose-Lose in uno Win-win. Citando il classico "Bonnie & Clyde" si può, a mio avviso, notare come le aspettative per il futuro modifichino completamente l’esito. Una mentalità "all’Americana" conduce alla collaborazione e alla cooperazione per un domani migliore. Una mentalità "all’Italiana", invece, dove aleggia una perenne ombra sull’avvenire, porta inevitabilmente al risparmio. In altri termini: non mi conviene spendere perché se risparmio e qualcun altro spende per me, domani avrò i miei risparmi e l’economia andrà meglio. Se riportiamo questo discorso al dilemma del prigioniero emerge quanto segue: non mi conviene stare zitto perché se l’altro confessa io perdo. Quindi meglio perdere tutti piuttosto che perdere solo io. E’ in definitiva questo il male atavico dell’Italia. O mi sbaglio?

  15. STEFANO

    Condivido la linea politico-economica del sito, un laboratorio culturale prodigo di idee, di fecondi contributi e di interessanti e documentate analisi, ma non posso non ravvisare in questo commento un abbaglio, un investimento emotivo dettato da un’interpretazione distorta e irrazionale della realtà. Personalmente sono disoccupato, incontro enormi difficoltà nel trovare lavoro e vorrei tanto affidare a un incrollabile ottimismo la risoluzione dei miei problemi. Individuare nell’adozione dell’arrembante, famelico e irresponsabile modello "americano" la soluzione della crisi costituisce un’imperdonabile reiterazione di errate e miopi valutazioni e scelte del passato fragorosamente e clamorosamente smentite, travolte e incenerite dalle spietate "repliche della storia". E’ assolutamente necessario un radicale ripensamento degli stili di vita e dell’idea di sviluppo economico contestualmente ad una visione politica lungimirante e libera dal giogo di interessi economici autoreferenziali e circoscritti. Con immutata stima e gratitudine per il prezioso e ammirevole servizio che rendete alla qualità e alla libertà dell’informazione.

  16. cassini

    Non è tanto la paura per il futuro, quanto la diffidenza nei confronti dell’altro – e non mi riferisco al lavavetri marocchino – e l’assoluta mancanza di curiosità. Tra le cause: la "santificazione della famiglia" a uso di Stato e Chiesa, al di fuori della quale sunt leones; una concezione della cultura come erudizione umanistica e non come esercizio critico – in senso Kantiano – della ragione; non ultima l’assoluta certezza, data dall’esperienza di ogni giorno, che in caso di qualsivoglia fragilità improvvisa, le leggi del nostro stato non ci tuteleranno dall’affannarsi di profittatori di ogni genere sul nostro "cadavere". Piuttosto della consueta santificazione degli US – che se la caveranno, certo, ma quante rovine si sono lasciati, e si lascieranno, dietro? – preferirei prendere esempio dai più prossimi (solo fisicamente, purtroppo) Stati del Nord Europa. Che anche se la crisi colpisce partono da standard talmente alti…

  17. Janko

    L’aneddoto è interessante, specie per la parte di Brian; come tutti gli aneddoti, è statisticamente non-significativo, anche se una buona provocazione. Per i due genitori, in specie, mi chiedo: 1. Due formichine su quanti? Venti, trenta? Ma genitori di due alunni o due genitori di un alunno? 2. Non poteva succedere anche negli USA? Intendo, una pecora (o formica) nera può capitare. 3. Tutti gli altri genitori erano a favore (americanizzanti?). Quindi il punto non è forse invece la rigidità che consente a una piccola minoranza di formiche di bloccare gli altri? E qui forse vedrei di più il problema della società italiana.

  18. PAOLO

    Guardi Prof. Daveri, è vero quello che lei dice, ma le faccio presente che anche in Italia ci sono tanti Brian. Quei pochi che ci sono, sono anche più bravi del Brian americano, perchè affrontano le stesse sfide pur avendo un contesto economico, politico, fiscale, infrastrutturale cento volte peggiore di quello di Brian. Io faccio il libero professionista (commercialista societario), in questi due anni calo almeno del 50% sugli introiti, insolvenze dei clienti, piagnistei, ma non mi sono fermato un secondo, lavoro il doppio, utilizzo criteri di efficienza che talvolta mi spaventano, tenendomi pronto per il momento in cui si vedrà la fine del tunnel. Ce ne sono tanti altri.

  19. Alessandro

    L’Italia non è l’America. Gli italiani hanno buoni motivi per dubitare del futuro e c’è chi, come i giovani, il futuro non ce l’ha proprio.

  20. Paolo Bizzarri

    "Ma è l’incrollabile ottimismo che farà ripartire la locomotiva americana". Io ero convinto fosse l’enorme debito creato dal governo USA, che ha garantito un minimo di liquidità (vedi salvataggi bancari e simili). Certo, se facciamo nuovo debito e viaggiamo a un deficit del 12% la nostra economia trotta che è una bellezza. L’Italia degli anni ottanta era esattamente così. Poi ci siamo svegliati con il 120% di rapporto debito/PIL.

  21. Maurizio

    Dai commenti vedo che anche in Italia abbiamo i nostri eroi anche che si lamentano ma portano avanti loro malgrado il Paese avanti. Per completare il racconto andrebbero aggiunti i pidocchi e le sanguisughe, due insetti molto diffusi. I primi sono piccole menti volte a succhiare preziosa linfa al sistema possibilmente ammorbandolo con malattie come corruzione, distruzione di valori ed etica. Intere generazioni che non hanno prodotto nulla e hanno rubato ricchezza ai loro figli (prepensionati, dipendenti pubblici, sindacalisti ecc). Le sanguisughe le identifico con le grandi menti volte a succhiare grandi quantità di sangue per diventare sempre più grandi, può essere che abbiano qualche effetto benefico (vd salassi) ma di certo vivono solo per arricchirsi sempre più a spese del sistema (medici, primari, prof universitari, ecc). Per i politici sto cercando l’insetto giusto, accetto consigli.

  22. Giancarlo Perasso

    Tutto vero e mia moglie, americana, ha fatto esattamente le stesse cose di Brian per tornare da Milano a Londra in quei giorni proprio perche’ non aveva voglia di "perdere tempo" stando ferma a Milano. Una precisiazione, pero’: Brian scarichera’ tutti i costi aggiuntivi sull’azienda in quanto e’ via per lavoro, non ha, cioe’, un vincolo di bilancio, il che e’ cruciale per poter cambiare destinazione/mezzo di trasporto a piacere. Non tutti hanno questa possibilita’.

  23. Franco Mannoni

    oOttimo articolo che coglie, in relazione a un evento tanto imprevisto quanto incontrollabile, la reattività diversa che nasce da diverse culture. L’americano deve cavarsela da solo e si industria ad arrangiarsi. Il rischio fa parte della sua storia, quella della frontiera. La locuzione formiche mi pare adoperata in senso ironico, per sottolineare la mancanza di ardimento. L’opposto non è la cicala, che compare in molti commenti. Il welfare europeo, quando non il vantaggio della spesa pubblica, ha tolto nerbo e iniziativa. Ora però, dinnanzi alla crisi, occorrerebbe risvegliare iniziativa e coesione. Ma è un messaggio che non viene, nè dal governo, nè dall’opposizione.

  24. giancarlo c

    Una cosa mi chiedo: ma dove dovrà arrivare questo Brian alla fine, per andare così di fretta? Una volta dalle mie parti (prima che i dialetti cominciassero a ridursi a stupidi slang), quando uno non riusciva a stare fermo, si soleva dire: ten a rtet’k ! PS: ammetto che la mia un po’ stupita curiosità è figlia della mia cultura e della mia genetica tipiche del sudest europeo (sono campano, nda).

  25. mauro musetti

    Questa vicenda legata all’ eruzione vulcanica può essere interpretata in molti modi. Certo, uno può essere quello che porta alle sue conclusioni Prof. Daveri. A me però, sembra che lei non abbia tenuto conto di molte possibili variabili: e se l’americano fosse stato un semplice lavoratore in trasferta senza grandi possibilità economiche? E se i genitori italiani fossero stati, che so, Berlusconi o Marchionne? Sarebbe finita alla stessa maniera? E poi la cicala americana non è la stessa che ha prodotto lo sfacelo economico di questi ultimi anni? In Italia ci sono state e ci sono le stesse condizioni sociali, politiche per permettere uno sviluppo di tipo americano? Comunque ottima provocazione, grazie professore.

  26. Davide Prandi

    L’articolo pone l’accento sullo spirito e l’intrapendenza. Lasciamo stare le possibilità che ha Brian al confronto di Giovanna, non c’entrano nulla e servono come al solito a chi ama la cultura del lamento. Negli anni del boom economico in Italia, i nostri genitori avevano meno possibilita’ ma molto più coraggio, voglia di rischiare e fiducia. I figli hanno mille opportunità economiche, culturali e tanto altro ma non hanno coraggio. Questo è il punto meravigliosamente sollevato dall’articolo e che condivido integralmente.

  27. Gianlugi Nocella

    Sinceramente l’articolo non mi trova d’accordo. Esalta la figura di un uomo che pretende di vivere tre vite in una (quella dell’uomo d’affari, quella dell’iron-man, quella del padre premuroso), con i limiti evidenti che ciò comporta. La frenesia che caratterizza la sua esistenza, a mio giudizio, sta spingendo sull’orlo del precipizio non un’economia, ma un sistema sociale, che è qualcosa di leggermente più complesso di un insieme di numeri (che spesso e volentieri, sappiamo bene, non la dicono tutta su ciò che descrivono). Tutto si risolve in un individuo che paga 1000€ di taxi per ritrovarsi esattamente nella stessa situazione qualche parallelo più a sud: mi viene da dire che spende e s’indebita chi, tra le troppe cose che pretende di fare, non trova il tempo di ragionare su quello che sta facendo. Ma il problema non si pone se, contrariamente a quanto accade nella favola, ci sono sempre formichine insignificanti da spremere per mettere una pezza agli sperperi delle cicale (vedi commento di Paolo Bizzarri). Ahimé, un mondo di sole cicale, non ci sarebbe chi paga. E questo potrebbe essere un problema.

  28. Michele Martelossi

    Sig. Daveri, da buon americanofilo quale sono anch’io mi permetta di muovere un’umile osservazione al suo articolo che nulla aggiunge al solito stereotipo “gli americani sono più avanti di noi italiani, eterni sfigati!”. A parte il fatto che questo Brian davvero sembra essere uscito da un episodio tutto a stelle e strisce de “L’uomo da cento milioni di dollari” perchè dubito che i nostri cugini d’oltreoceano siano tutti delle raffinatissime macchine da guerra come il suddetto, ma quando impareremo finalmente a evitare paragoni così masochistici tra due culture che sono ovviamente imparagonabili per ovvi motivi geografici e storico culturali? Lasci all’italiano medio la fortuna della sua arte di arrangiarsi e non lo privi della sua proverbiale fantasia, nei momenti di difficoltà. Con immutata simpatia.

  29. francesco torcello

    Ha ragione Daveri. L’italia è bloccata dalla paura del futuro. Infatti, io sono un uomo di 36 anni che lotta ogni giorno per il suo futuro e si sente dire dagli altri: Chi te lo fa fare? Io penso che se invece ci dessimo da fare diventeremmo una delle migliori economie!

  30. Giovanni Medioli

    Fa riflettere, non c’è dubbio. Ma di dubbi ne restano parecchi. Per esempio sull’informazione: negli USA i media spingono a osare, a impegnarsi. Da noi l’accento è sul fatto di quanto stiamo bene, infondo non siamo come i greci (o no?), non facciamo parte dei PIGS (caso mai dei PIIGS), lo dice la nostra stampa (ma quella degli altri cosa dice?). L’impressione che questo paese si senta "ai materassi" (vietato mettere al testa fuori) è diffusa, ma non quella che sia ora di tornare nelle strade, a vedere che cosa si può fare, complici la popolazione più vecchia del mondo e il sogno italiano, che non è quello a stelle e strisce. Altro che "cultura del fare", qui è sempre "de Francia o de Spagna". E se qualcuno parla di futuro, prego, si accomodi fuori dalla maggioranza…

  31. Davide

    Vero. Ci manca quella spinta vitale che porta a guardare al futuro con ottimismo. Il nostro basso tasso di fertilità è un indicatore di questa paura nel domani, di preferire un’attenta e oculata gestione dei propri risparmi (del proprio tempo) ed averi (non si sa mai!). Penso sia invece il caso, proprio per questi tempi difficili che stiamo vivendo, di traguardare al domani con l’ottimismo della volontà di gramsciana memoria.

  32. lucio tinari

    Condivido profondamente. Aggiungerei tre affermazioni: le imprese e i lavoratori, in genere, hanno il medesimo comportamento difronte al rischio; non è l’impresa che si arricchisce ma l’imprenditore; a fronte di un precariato a 500 € mensili, e non sempre, si preferisce il "nero" e il "posto fisso". Più che riserve e timori occorrono parole chiare e riforme vere. Insomma siamo tutte formiche che cantano (cicale) di nascosto.

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