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LE DUE FACCE DEL CARO-CARBURANTE

Nella periodica polemica sul caro-carburanti si sovrappongano continuamente due diversi aspetti della questione: il livello del prezzo dei carburanti e la sua dinamica. E si mescolano così anche le proposte di intervento. Ma da un’analisi dei dati che metta in evidenza il ruolo e il peso delle varie componenti sotto i due aspetti, si può vedere che la fiscalità pesa in maniera determinante sul prezzo, mentre la razionalizzazione della distribuzione dovrebbe contribuire a rendere più simmetrici i movimenti dei prezzi dalla materia prima al prodotto finale.

 

Nei giorni scorsi è riesplosa, puntuale, la polemica sul caro-benzina. Della silenziosa ripresa delle quotazioni del petrolio fino agli 80 dollari a barile (il 15 aprile scorso il Brent ha chiuso a 86,02 dollari per barile, un livello che non veniva toccato da un anno e mezzo), i consumatori e le associazioni che li rappresentano si sono all’improvviso accorti quando, una decina di giorni fa, il prezzo della benzina è salito fino a 1,44 euro al litro, ai massimi da settembre 2008. Da allora, il prezzo del greggio ha mostrato segni di ripiego senza però ripercussioni sulle quotazioni dei carburanti.

CHI SONO I COLPEVOLI

È partita così la consueta ricerca del colpevole. Già cinque anni fa avevamo evidenziato che il primo accusato è il mercato della distribuzione troppo capillare, il primo accusato è il mercato della distribuzione troppo capillare, ma anche molto concentrato nelle mani di venditori che sono verticalmente integrati fino all’upstream del business petrolifero.(1) I troppi distributori e la concentrazione dei venditori rendono più vischioso il mercato, ostacolando la trasparenza e favorendo l’asimmetria di “razzi e piume” nella relazione ascendente-discendente tra prezzo del petrolio e prezzo dei carburanti.
Per ovviare a tutto ciò si invoca da tempo una riforma: l’ultimo atto è in calendario per mercoledì 21 aprile con la riunione del “tavolo sui carburanti” voluta dal ministro Scajola, dove verrà presentata la proposta del governo sulla riforma della rete dei carburanti e dei meccanismi di prezzo. In vista dell’appuntamento le associazioni dei gestori (Faib, Fegica e Figisc) hanno già reso noto un proprio piano.
Ma vi è un altro ricorrente accusato, ed è il governo stesso, per il ruolo della fiscalità sui carburanti e del meccanismo amplificatorio dei rialzi del greggio determinato dall’Iva che si applica percentualmente sulla somma di accisa e prezzo “ex-fabrica”. Sul banco degli imputati, il governo dovrebbe dunque mettere anche se stesso e proprio per questo nei giorni scorsi l’esecutivo ha risfoderato il tema della sterilizzazione dell’Iva. Al di là dei problemi tecnici e delle ragioni di opportunità di un simile provvedimento – temi sui quali siamo già intervenuti – lo stato attuale delle nostre finanze pubbliche fa ritenere improbabili concessioni che portino a minori entrate e a un aggravio del deficit. La notizia dei giorni scorsi, poi, secondo cui è stato il caro-carburanti a spingere l’inflazione a marzo su livelli di incremento (+1,4 per cento anno su anno) che non si erano visti da febbraio 2009, crea malcontento tra i consumatori, ma riduce il costo reale del debito pubblico, cosa che al governo verosimilmente non sfugge.

IL LIVELLO DEL PREZZO

È tuttavia sorprendente che in questa periodica diatriba tra associazioni dei consumatori, petrolieri e governo, diffusa e amplificata dagli organi d’informazione, si mescolino continuamente due diversi aspetti della questione, e quindi anche le proposte di intervento, tra riforma del mercato della distribuzione e intervento sulla fiscalità. Si sovrappone cioè ripetutamente un discorso che riguarda il livello del prezzo dei carburanti all’altro che riguarda la sua dinamica, le sue variazioni di periodo in periodo. Uno sguardo ai dati, con l’aiuto di qualche grafico, che metta in evidenza le due dimensioni, può meglio di molte parole aiutare la corretta comprensione del problema. Abbiamo così raccolto i dati mensili da gennaio 1996 a marzo 2010 relativi alle varie componenti del prezzo della benzina alla pompa (tutti espressi in euro/litro), la cui struttura è qui bene riprendere brevemente.(2)
Il prezzo pagato dal consumatore (Pcons) è dato da prezzo industriale (Pind) e accisa: sulla loro somma è applicata percentualmente l’Iva, la quale quindi amplia il prezzo finale ogni volta che il prezzo industriale cresce. In simboli:

                Pcons  = (Pind + accisa) (1+%iva)

A sua volta il prezzo industriale si ottiene come somma del prezzo “ex-fabrica” (Pexf) e del cosiddetto margine di distribuzione e logistica (“margine del gestore”, del rivenditore e del trasportatore) (MarD&L):

                Pind = Pexf + MarD&L

Il prezzo “ex-fabrica” infine somma al margine del raffinatore (MarRaf) il prezzo della materia prima, per esempio il prezzo del petrolio Brent in dollari (PBrent) convertito in euro tramite il tasso di cambio (TdC):

                Pexf = (PBrent*TdC) + MarRaf

Queste componenti, espresse in euro/litro, sono riportate nella figura 1 e in numero indice (gennaio 1996 pari a 100) nella figura 2. I due grafici rappresentano l’aspetto del livello del prezzo della benzina. Il primo chiarisce in tutta la sua evidenza che il problema del livello del prezzo della benzina – se problema è – sta tutto nella componente fiscale. Decisamente trascurabile appare il margine del raffinatore, mentre il margine della distribuzione e logistica è la quarta voce per importanza del prezzo finale. Se per semplicità ci riferiamo all’ultimo dato, quello del marzo scorso, e calcoliamo il peso percentuale delle varie voci vediamo – come in tabella qui sotto – che la componente fiscale vale per il 58 per cento del prezzo finale (di cui 41 per cento riferito all’accisa), mentre il prezzo del petrolio pesa per il 27 per cento. Questo è preponderante (64 per cento) se rapportato al solo prezzo industriale, depurato cioè dalla fiscalità. I margini contano per un 15 per cento complessivo del prezzo finale, due terzi quelli riferibili alla distribuzione e logistica e un terzo quelli della raffinazione. Questa importanza relativa viene confermata anche quando riferita al prezzo industriale, con un peso ora naturalmente raddoppiato (35 per cento).

Tabella 1: Struttura del prezzo al consumo e industriale della benzina
(valori percentuali – marzo 2010)

Prezzo del Brent (in euro) 64,3 26,9
Margine di raffinazione 10,8 4,5
Prezzo ex-fabrica 31,4
margine distribuzione e logistica 24,9 10,4
Prezzo industriale 100 41,8

Tasse

         di cui: accisa
Iva

 

58,2

41,5
16,7

Prezzo al consumo   100

Quanto detto si applica mediamente anche a tutto il periodo esaminato, anche se emergono dalla figura 1 fasi in cui i margini di raffinazione si espandono e si assottigliano, mentre quelli della distribuzione appaiono invece generalmente stabili. L’andamento ciclico e tendenziale delle varie componenti emerge in maniera nitida dai valori normalizzati della figura 2. In questo caso, è interessante notare come l’accisa non mostra variabilità nel tempo essendo stata scarsamente modificata dal legislatore, mentre evidente è il peso crescente assunto dall’Iva, di cui si vede in maniera inequivocabile la funzione amplificatoria in un periodo in cui il prezzo del petrolio è generalmente cresciuto e raramente diminuito. La differenza tra prezzo ex-fabrica e Brent mostra l’andamento contenuto dei margini di raffinazione, mentre quelli di distribuzione e logistica non evidenziano tendenze di fondo alla crescita né alla diminuzione, mentre sembrano essere moderatamente anticiclici rispetto al prezzo del Brent.

E LA VARIAZIONE DEL PREZZO

Se rivolgiamo ora l’attenzione alle variazioni del prezzo e delle sue componenti, con un pensiero alla tanto dibattuta asimmetria tra cambiamenti del prezzo del petrolio e della benzina, un’istruttiva ispezione dei dati può essere condotta mediante le figure 3, 4 e 5. Naturalmente, tale analisi non sostituisce le più rigorose metodologie statistiche che sono alla base di un numero crescente di contributi alla letteratura scientifica sull’argomento. (3) Così come la frequenza temporale dei dati più elevata del mese potrebbe rendere più evidenti, ancorché più transitorie, eventuali asimmetrie. (4)
Pur tuttavia, un’idea può essere ricavata guardando al rapporto tra le variazioni percentuali mese su mese del prezzo del Brent (in ordinata nei grafici) e le corrispondenti variazioni percentuali nel prezzo “ex-fabrica”, industriale e al consumo (in ascissa). I grafici permettono di evincere due cose:
1) le correlazioni “non fisiologiche” costituite da punti che si trovano nei quadranti di nord-ovest e sud-est, per cui alla crescita di un prezzo corrisponde la decrescita dell’altro. Mentre è raro trovare casi in cui il prezzo del Brent aumenta mentre l’altro prezzo diminuisce, non è raro osservare aumenti del prezzo del Brent cui corrispondono riduzioni del prezzo ex-fabrica o industriale, implicando così un temporaneo “sacrificio” dei margini.
2) la simmetria nel meccanismo che lega i prezzi, nel senso che più i punti si annidano vicino o lungo la bisettrice crescente più l’entità della variazione percentuale nel prezzo del Brent è vicina o uguale a quella del prezzo ex-fabrica o industriale. Posto che la rotazione in senso antiorario della nuvola di punti passando dal grafico 4 al 5 evidenzia ancora una volta l’effetto di amplificazione delle tasse, quello che appare chiaro è che l’asimmetria è più marcata nella relazione tra prezzo del greggio e prezzi industriale e al consumo, che non tra prezzo del greggio e prezzo ex-fabrica. Se di asimmetria si può dunque parlare, questa riguarda di più il settore a valle della trasformazione (distribuzione e logistica) che non quello più a monte (raffinazione).

LE SOLUZIONI

Si è parlato molto dell’esigenza di riformare il mercato della distribuzione per ridurre lo “stacco” dei prezzi italiani della benzina rispetto a quelli europei, contenendolo a due eurocent rispetto ai più di tre attuali. Sistematicamente, le associazioni di difesa dei consumatori e degli utenti hanno lamentato il peso della fiscalità e invocato varie misure di sterilizzazione, mentre hanno chiamato in causa i rappresentanti dell’Unione petrolifera per la velocità di aggiustamento in ascesa e la lentezza in discesa dei prezzi del prodotto finito e della materia prima. I dati qui mostrati possono essere analizzati in maniera tale da evidenziare il ruolo ed il peso delle varie componenti del prezzo finale del carburante sia dal punto di vista del loro livello sia da quello del loro tasso di variazione. La fiscalità pesa in maniera determinante sul prezzo, mentre la razionalizzazione della distribuzione dovrebbe contribuire a rendere più simmetrici i movimenti dei prezzi dalla materia prima al prodotto finale.

(1) Secondo il Data Book 2010 dell’Unione Petrolifera a inizio 2008 erano presenti 22.500 punti vendita contro i 14.902 della Germania, i 12.929 della Francia e 8.200 della Grecia. La percentuale dei punti vendita con self-service era pari a 29 in Italia, contro 99 della Germania, 98 della Francia e 1 della Grecia. L’erogato medio per punto vendita (in metri cubi) era 1.609 nel nostro paese contro 3.006 in Germania, 3.271 in Francia e 914 in Grecia. Infine il 70% circa del mercato della distribuzione è controllato dagli upstreamers, con l’Eni che detiene una quota di mercato di circa il 30%.
(2) I dati sono del Ministero dello Sviluppo Economico, tranne quello del Brent e il prezzo ex-fabrica, che è una nostra elaborazione su dati PLATT’s. Il prezzo del Brent è stato convertito da dollari/barile a euro/litro. E’ doveroso osservare che il Brent serve a produrre anche altri prodotti, oltre alla benzina, come il gasolio.
(3) Per esempio: Margherita Grasso e Matteo Manera (2007), “Asymmetric Error Correction Models for the Oil-gasoline Price Relationship”, Energy Policy, 35, 156-177, e Marzio Galeotti, Alessandro Lanza e Matteo Manera (2003), “Rockets and Feathers Revisited: An International Comparison on European Gasoline Markets”, Energy Economics, 25, 175-190.
(4) Recentissimo è il contributo di Fabrizio Venditti (2010), “Down the Non-linear Road from Oil to Consumer Energy Prices: No Much Asymmetry Along the Way”, Banca d’Italia, Temi di discussione n. 751, marzo.

Figura 1: Struttura del prezzo al consumo della benzina
(componenti in euro)

Figura 2: Struttura del prezzo al consumo della benzina
(numeri indice – gennaio 1996 pari a 100)

Figura 3: Correlazione tra variazioni percentuali del prezzo del Brent
e del prezzo ex-fabrica della benzina

Figura 4: Correlazione tra variazioni percentuali del prezzo del Brent
e del prezzo industriale della benzina

Figura 5: Correlazione tra variazioni percentuali del prezzo del Brent
e del prezzo al consumo della benzina

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MA LE FORMICHE NON CRESCONO

  1. Roberto Mammaro

    Ho avuto modo di confrontare il livello dei prezzi del carburante in Austria e in Italia. La mia opinione personale è che il livello di tassazione in Italia sia più odioso (paradossalmente) a livelli di prezzi più bassi, e sia sostanzialmente allineato a quello degli altri Paesi in caso di livelli più elevati. Sono assolutamente d’accordo che il problema sia più legato alla rete distributiva, ma di questo (come di tante altre cose) si parla da almeno 15 anni. Che qualche risultato sia stato raggiunto è anche indubbio, ma comunque insufficiente.

  2. Luigi Del Monte

    Abito in prov di BG, nel mio paese ci sono tre distributori dello stesso proprietario dello stesso marchio, authority se ci sei batti un colpo! Vicino il mio paese c’è un distributore che oggi vendeva la benzina a 1.47 (100m dalla provinciale Villa d’A – Dalmine) sulla quale ci sono, a 500 m dall’incrocio delle due strade, 2 distributori che la vendevano a 1.37. A 3-4 km c’è un centro commerciale, benzina non marchiata, che oggi la vendeva a 1.34. A certaldo (FI) nel periodo di pasqua un distributore in paese la vendeva a 1.45 dove a 2-3 km fuori c’era un’altro che la vendeva a 1.32. Perchè dico tutto questo? perchè secondo me razionalizzazione della rete o no basterebbe essere un po’ meno pigri e far chiudere i piccoli bagarini che ti rivendono il carburante ad un prezzo di 4-5 anche 8-9 €cent in più! Servirebbe anche un po’ di pubblicità in più per far sapere che ci sono distributori a tot km in direz BO, tipo autostrada.

  3. Martino Palermo

    L’analisi proposta non spiega la motivazione, che è una variabile su cui si potrebbe incidere, riguardante il maggior prezzo praticato in Italia rispetto alla media europea. E’ questo "delta" su cui si può operare. Tutto ciò è permesso da una normativa (in parte di competenza regionale e in parte di competenza statale) che favorisce l’assetto oligopolista del mercato e che permette una rete cosi capillare che non trova alcuna giustificazione. Nei paesi in cui il mercato risulta liberalizzato il numero degli impianti è di gran lunga inferiore. Questi sono i problemi da affrontare se si vuole ridurre il prezzo della benzina. Il resto mi pare alquanto scontato.

  4. Andrea U

    L’articolo è interessante, ma adesso sarà difficile convincere la gente che la causa principale degli aumenti non sono gli avidi petrolieri ma il carico fiscale! Sarebbe comunque interessante un’indagine sulle (notevoli) differenze di prezzo anche tra distributori vicini, così come studiare perchè in Italia l’uso del self service è così limitato. Se gli automobilisti fossero più attenti a scegliere i distributori più economici, magari anche self service, potrebbero accelerare la razionalizzazione della distribuzione. In rete ci sono siti che forniscono i prezzi aggiornati di molti distributori.

  5. Myriam

    Personalmente sono molto felice davanti ad un aumento dei prezzi dei carburanti. Dobbiamo assolutamente convincerci che il consumo di benzina e gasolio non è più sostenibile per la nostra società e rivolgerci assolutamente a prodotti alternativi. Per me dovrebbero aumentare anche fortemente i costi delle automobili. Ipotizzo anche una duplicazione per disincentivare l’uso di questo mezzo di trasporto. Anche se in Italia, considerato l’assetto della nostra industria nazionale, non so quanto questa strada sia percorribile.

  6. Paolo

    Sarò banale: la liberalizzazione deve essere effettuata a favore dei gestori, non delle compagnie. Ove il gestore della pompa potrà scegliersi il fornitore che offrirà il carburante (ed acessori) al miglior prezzo, si potrà avere un’effettiva ricaduta sui prezzi. incrementare le pompe crea una guerra tra poveri, dove un gestore che opera 18 ore al giorno, onestamente, pagando tutte le tasse, porta a casa 1.500€ scarsi, mentre le compagnie continuano ad ingrassarsi con prezzi da cartello…

  7. michele

    Per rendere il mercato più libero e concorrenziale occorre imporre per legge la separazione fra raffinazione e vendita alla pompa consentendo ai distributori di comprare dove costa meno.

  8. Costi Alessandro Matteo

    Non condivido l’analisi da lei effettuata: seppur in sè risulti corretta, ad un esame più attento mi pare parziale e, pertanto, giunga a conclusioni in parte errate. L’analisi che io ho svolto prende in esame prezzi mensili sia del diesel che della benzina (fonte Ministero per lo sviluppo economico); in estrema sintesi, dovuta al limite imposto per la lunghezza dei commenti, se lei toglie dal prezzo finale(mensile) della benzina e del diesel il costo al litro del petrolio, delle accise e dell’Iva, dovrebbe ottenere un aggregato relativamente stabile nel tempo (infatti perchè mai i costi di gestione,distribuzione,raffinazione…dovrebbero oscillare mensilmente con il prezzo del petrolio?). Ebbene, riportando su un grafico tale aggregato (sia per la benzina che per il diesel) e il pezzo del petrolio, si notano cose interessanti: 1) l’aggregato relativo alla benzina è meno variabile di quello del diesel, ma entrambi sono variabili; 2) entrambi presentano un livello minimo mai oltrepassato; 3) nel periodo di forte crescita del prezzo del petrolio entrambi gli agglomerati non sono aumentati come sarebbe stato logico aspettarsi. Le mie conclusioni: perchè quell’aggregato non è stabile come sarebbe ragionevole aspettarsi? Come mai non aumenta quanto sarebbe stato logico aspettarsi nel periodo di maggior prezzo del petrolio (la tesi sulla compressione dei margini mi pare un po’ forzata, vista la sproporzione tra il livello che l’aggregato avrebbe dovuto raggiungere e il livello effettivamente raggiunto,inoltre non mi pare che il 2008 sia stato un anno depressivo per i bilanci del settore)? A mio avviso, l’unica risposta che rimane, andando per esclusione, è la seguente: è stata stabilita una soglia minima di guadagno, mentre la variabilità del prezzo del prodotto alla pompa in parte è dovuta al prezzo della materia prima (e,quindi, anche dall’IVA)e in parte è voluta e ottenuta a tavolino tramite concertazione del prezzo alla pompa. I livelli degli aggregati, infatti, oggi (analisi aggiornata a gennaio 2010) sono simili in valora assoluto a quelli del 2000 (con però il prezzo del petrolio ad un livello almeno doppio); curioso, no?

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