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FIGLI E LAVORO: DUE REGIONI, DUE STORIE DIVERSE

La natalità in Italia continua a essere bassa. Ma anche in un anno così generalmente depresso come il 2009, c’è chi ha resistito meglio e chi ha ceduto di più. La fecondità cresce in Emilia Romagna e scende ancora in Campania. Ovvero cala nella regione nella quale l’occupazione femminile è più bassa e sale nell’unica regione italiana che in proposito ha già superato gli obiettivi di Lisbona. Un risultato paradossale a prima vista, che si spiega con la ben diversa quantità e qualità dei servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia.

La fecondità italiana stenta a rialzare la testa. Secondo le stime appena rilasciate dall’Istat, nel 2009 c’è stato addirittura un piccolo peggioramento rispetto all’anno precedente. Poca cosa: 1,41 contro 1,42. Però, indica che non stiamo facendo molto per uscire dal tunnel della denatalità. Ma anche in questo ambito, in un anno così generalmente depresso come il 2009, c’è chi ha resistito meglio e chi ha ceduto di più. Da questo punto di vista, i due casi estremi sono stati la Campania e l’Emilia Romagna.

I FIGLI IN EMILIA E IN CAMPANIA

Storicamente, la fecondità è sempre stata più elevata in Campania rispetto all’Emilia Romagna. Dopo il punto più basso del 1995, l’Emilia Romagna è stata però tra le regioni che con più determinazione hanno invertito la rotta, mentre la Campania ha continuato a segnare il passo.
La forbice si è chiusa nel 2008, sul valore di 1,45 figli in media per donna. L’anno dopo sono proprio tali due realtà a rivelarsi tra le più dinamiche. In particolare, ciò che deprime la fecondità lo fa in modo ancor più accentuato in Campania, che scende a 1,42, ciò che protegge e sostiene le scelte riproduttive si esplica ai suoi maggiori livelli soprattutto in Emilia Romagna, che sale a 1,47. Nessuna regione italiana presenta incrementi più negativi della prima e più positivi della seconda.
Non può essere però un caso che la fecondità risulti in maggiore depressione proprio nella regione nella quale l’occupazione femminile italiana è più bassa (27,3 per cento in Campania), e sia invece in maggior crescita nell’unica regione italiana che ha già superato gli obiettivi di Lisbona (62,1 per cento in Emilia-Romagna). Risultato paradossale e inspiegabile se non letto assieme alla ben diversa quantità e qualità di servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia – asili nido in primis – che, come ben noto, caratterizzano le due realtà geografiche.
In Emilia Romagna non solo il numero di nidi offerto è cresciuto fino a raggiungere (quasi ) gli obiettivi suggeriti dall’Unione Europea – 33 per cento. Ma sono anche aumentate le opportunità (orari e tipi diversi). Mentre crescono i servizi non diminuisce la qualità, che resta d’esempio per l’Europa e non solo (vedi le punte di Reggio Emilia). (1) In questa regione la fiducia delle famiglie è in crescita come mostrano anche le liste di attesa.
La Campaniaè invece tra le regioni con il più basso numero di posti offerti (meno del 6 per cento di copertura) e solo nel 7,8 per cento dei comuni sono previsti servizi per l’infanzia contro quasi l’80 per cento in Emilia. La Campania è, tra l’altro, la regione che ha approvato più tardi il piano nidi per il triennio 2007-09.
Il confronto tra questi due estremi evidenzia ulteriormente come partecipazione delle donne al mercato del lavoro e maternità possano crescere assieme, anche in anni difficili, in presenza di adeguate politiche. (2)
Un dato che dovrebbe far riflettere il sottosegretario Giovanardi e chi usa la crisi come pretesto per tergiversare ulteriormente rispetto alla realizzazione di solide, strutturali e durature misure di aiuto alle famiglie. Se è nei momenti di crisi che si vedono i veri amici, dobbiamo allora pensare che questo governo non sia molto amico delle famiglie.

Tabella 1 – Livelli di fecondità e di occupazione femminile

  Numero medio di figli per donna Occupaz. femm.
  1995 2008 2009 variazione
2009-2008
2008
Emilia-Romagna 0,97 1,45 1,48 0,03 62,1
Campania 1,51 1,45 1,42 -0,03 27,3
Italia 1,19 1,42 1,41 -0,01 47,2

Fonte: Stime Istat

(1) www.reggiochildren.it
(2) D. Del Boca e A. Rosina, “Famiglie sole”, Il Mulino 2009.

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35 commenti

  1. Luca Valerio

    Vorrei far notare che, nella tabella 2 del comunicato Istat, si vede chiaramente che esiste un altro parametro che evidentemente correla ancor meglio di quello citato dagli Autori all’andamento della fecondità in Emilia Romagna e in Campania: il contributo degli stranieri alla fecondità. Infatti, si vede chiaramente che l’Emilia Romagna è di gran lunga la prima regione per contributo alla fecondità di stranieri (21%) e la Campania è di gran lunga l’ultima (1%). Il dato è talmente evidente che mi sembra inappropriato non citarlo, e menzionare invece le “politiche familiari” significa violare il “rasoio di Occam”. Si considerino le ben note differenze demografiche fra italiani e immigrati, anche per ragioni culturali (esempio: tenore di vita familiare minimo che si ritiene accettablie). Piacerebbe anche a me che la differenza di fecondità Campania-Emilia Romagna potesse essere usata per trarre una conclusione sulla necessità di politiche familiari e per l’occupazione femminile (di cui condivido l’urgenza assoluta), ma mi sembra metodologicamente sbagliato fare il ragionamento dei due Autori e ignorare il dato che segnalo.

    • La redazione

      Ovviamente le considerazioni svolte (si vedano anche le analisi sul nostro libro) valgono anche al netto del contributo degli stranieri (che comunque hanno anch’essi bisogno di conciliare lavoro e famiglia). In ogni caso, anche considerando solo le donne italiane, la fecondità in Emilia-Romagna risulta aumentata (+0,02), in controtendenza al generale declino.

  2. Marco Trento

    I dati per l’Emilia Romagna, regione ricca e meta di immigrazione, dovrebbero essere forse aggiustati per tenere conto del fatto che le donne immigrate tendono ad avere più figli delle italiane, e quindi alzano la media. Questo potrebbe contribuire a spiegare l’incremento del tasso di natalità. Al sud invece si assiste ad una minore immigrazione dall’estero.

    • La redazione

      Come già precisato precedentemente, le considerazioni svolte nel pezzo valgono anche al netto del contributo dell’immigrazione.

  3. Diego Alloni

    Occupazione femminile e servizi all’infanzia a livelli ottimali determinano un incremento della natalità apprezzabile, che tuttavia rimane ancora lontana dall’ideale demografico. Questi strumenti sono dunque efficaci ma, esaurita la loro spinta propulsiva (le cui dimensioni appaiono più tendenziali che significative), è necessario modificare altre variabili (per esempio, l’impatto dei figli sugli outcome lavorativi di entrambi i genitori) ed esplorare altri terreni di promozione della natalità, come la componente paterna. Rimuove gli ostacoli alla paternità (oltre il 40% dei figli è deprivato del padre dalla magistratura divorzile) e reimmettere la figura maschile nei luoghi della crescita (scuola, salute) potrebbe avere effetti ben più consistenti sulle nascite.

    • La redazione

      Certo, gli asili nido non sono l’unico strumento di conciliazione. In questo breve articolo ci siamo concentrati su tale aspetto perché è uno dei più rilevanti. Come si può leggere nell’ultimo capitolo del nostro libro, dedicato alle politiche, l’Italia è carente anche su molti altri aspetti rendono difficili le scelte di lavorare e avere figli. Per esempio il part time. Ma anche qui ci sono forti differenze: mentre in Emilia Romagna il part time femminile supera il 27%, il Calabria e’ intorno al 18%.

  4. Alessandro R

    Non ho dubbi sulla carenza e sul ritardo dei servizi all’infanzia in Campania, ne hanno parlato anche varie testate giornalistiche e programmi televisivi, ma non bisogna dimenticare che il 27% di occupazione femminile in Campania è un dato che risente del lavoro nero presente massicciamente in quella regione.

    • La redazione

      Giusta precisazione, ma la sostanza della nostra argomentazione non cambia. Le differenze in termini di opportunità occupazionali, anche tenendo conto del lavoro sommerso, rimangono rilevanti. Anche i dati sulle caratteristiche dei contratti mostrano forti disparità la proporzione di contratti a tempo determinato sono molto più alti 32% contro poco più del 10% in Emilia.

  5. Barbapapa'

    Ma è davvero così difficile avere una famiglia e un lavoro in Italia? Ad oggi sembra di sì. Vorrei aggiungere ai dati che ha riportato questo link che ne racconta altri. Fino a quando non verranno attuate delle serie politiche di conciliazione famiglia/lavoro non ci saranno miglioramenti. E per politiche non intendo l’assegno una tantum o il bonus bebè…

  6. Carla Nanni

    Sono d’accordo, l’andamento dell’occupazione femminile e la presenza di servizi può spiegare in parte il differente trend della natalità nelle due regioni. Ma solo in parte. Le regioni del sud da tempo si stanno allineando sulla bassa fecondità che caratterizza le regioni del nord Italia. Invece le regioni che, negli ultimi anni, vedono un aumento della fecondità sono quelle dove risiedono molti immigrati. In Emilia Romagna quasi un residente su dieci (9,7%) è straniero contro il 2,3% della Campania. Di più: la quota di donne in età feconda (14-49 anni) straniere è 14,6% in Emilia e appena 3,7% in Campania. È noto che il tasso di fecondità totale è più elevato per le straniere: dati al 2007 in Emilia Romagna le straniere hanno un TFT pari a 2,55 contro l’1,22 delle italiane (in Campania rispettivamente 2,07 e 1,44). Detto questo, se si potesse avere la certezza di un posto all’asilo nido (adesso è come vincere alla lotteria) e le rette fossero meno esose (adesso sono praticamente dei mutui) il numero dei figli desiderati e il numero dei figli effettivi forse tenderebbe a coincidere.

    • La redazione

      Certo, conta anche l’apporto della componente straniera. Ma anche considerando solo la fecondità delle italiane, come abbiamo avuto già modo di precisare, l’Emilia-Romagna risulta in continua crescita, anche nel 2009.

  7. Salvatore Iannitti

    Non è che la differenza nel tasso di natalità dipende anche dal più elevato tasso di lavoro nero in Campania (per cui, non avendo garanzie, le donne ritardano le maternità e le riducono in numero), nonchè da una massiccia emigrazione giovanile verso nord negli ultimi anni?

    • La redazione

      a) Come abbiamo gia’ sottolineato, anche tenendo conto del lavoro nero le differenze tra le due regioni rimangono sostanziali in termini di opportunità di occupazione.
      b) Il numero medio di flgli per donna e’ calcolato sommando i tassi specifici per eta’, e quindi non risente (se non limitatamente) delle modifiche nella struttura della popolazione determinate dai flussi migratori dei giovani.

  8. susi veneziano

    Non trascurerei di riflettere sui 35 punti percentuali di differenza nei tassi di occupazione femminile delle due regioni che a mio avviso rendono le due realtà incomparabili rispetto agli effetti delle politiche di conciliazione.

    • La redazione

      In che senso sono incomparabili? Perché diverse? Proviamo semplicemente a pensare per un momento di azzerare in Emilia-Romagna gli asili nido e le altre misure di conciliazione. Cosa accadrebbe ai tassi di occupazione femminile e/o alla fecondità?

  9. GIUSEPPE MARINI

    Se vuoi figli, sai che devi mantenerli, a prescindere dagli ipotetici ‘aiuti’ che terzi possono o non possono offrire. Donna che lavora vuol dire ‘reddito’ che sommato a quello del marito danno un livello di reddito familiare ‘doppio’. Il chè da maggiore tranquillità per la gestione della ‘nuova generazione’. Se la donna non lavora, la famiglia, al massimo, è monoreddito e ciò non dà la tranquillità per poter pensare a nuova prole. Penso sia tutto qui. In Emilia dove ci sono più donne lavoratrici c’è più possibilità di pensare a ‘fare’ che non in Campania dove, molte volte, c’è solo la famosa ‘arte di arrangiarsi’ a supportare i bisogni familiari e un nuovo figlio può essere visto solo come un aggravamento dei problemi. Il fulcro del problema è quindi il Reddito Tangibile Familiare ovvero la sommatoria dell’ultimo riquadro a destra delle Buste Paga che entrano in famiglia! E’ ciò che la Famiglia ha per sopperire ai propri bisogni primari. E se la somma è bassa…non si può ‘fare’! Occorre che le istituzioni lavorino per creare opportunità di lavoro e, non disgiuntamente, ridurre l’eccessivo cuneo fiscale. Penso non ci siano tante discussioni auliche da fare. E’ la cruda realtà!

    • La redazione

      Non c’è dubbio che poter contare su un doppio reddito, in presenza di strumenti di effettiva conciliazione, consente di fare più serenamente alcune scelte impegnative nel lungo periodo, come l’avere un figlio.

  10. mirco

    Come in nord Europa, la donna che lavora, libera e emancipata con servizi diffusi sul territorio è piu feconda e vive meglio. Ma vivo meglio anche io maschio. Io vivo in Romagna . Recentemente approvando la finanziaria regionale per il 2010 sono stati varati altri provvedimenti a favore delle famiglie (intese anche come coppie di fatto anche dello stesso sesso). Qui in Emilia Romagna nulla è in contraddizione nemmeno le famiglie con bambini e gli altri, e per la qualità della vita non me ne andrei mai, si vive bene. L’unico rammarico è che dovevano entrare dei democristiani nel PD per rovinare la festa…

  11. paolo lencioni

    Non pensate che anche la diversità del reddito pro-capite o meglio ancora del reddito per famiglia abbia la sua influenza sulle natalità regionali? Sarebbe interessante avere anche tali dati.

    • La redazione

      Fino a non molti anni fa valeva semmai il contrario: nelle regioni meno ricche nascevano in media più figli. La crescente possibilità di conciliare lavoro e fecondità consente oggi a chi vive nelle aree più avanzate sia di difendere meglio il benessere economico della famiglia che di avere qualche figlio in più.
      I dati mostrano poi che negli ultimi due anni i redditi reali sono diminuiti soprattutto al sud . Il rischio di povertà per le famiglie italiane che hanno più di tre figli è pari a l 42% e tale valore è ancor più alto al sud dove le disuguaglianze sono in generale più accentuate..

  12. Dario Quintavalle

    Per la verità, l’Emilia Romagna è una regione leader soprattutto nel numero di aborti. Se volete ripetere il mito dell’Emilia rossa ed efficiente, tanto caro alla sinistra, fate pure, ma non mi sembra che i dati da voi citati siano così eclatanti, tanto da permettere di parlare di un boom delle nascite. È un fatto che la popolazione, nel suo complesso, cresce solo grazie agli stranieri. Dunque crescono gli abitanti dell’Italia, non gli italiani, e questo si spiega non grazie al differenziale di servizi sociali, ma a quello culturale. Le donne straniere, e non parlo solo di quelle del terzo mondo, ma anche di quelle dell’Est, e persino di tante mie conoscenti del nord Europa ricco e civile, non considerano formarsi una famiglia e avere dei figli come una soluzione di ripiego rispetto alla carriera. Fin quando non si opererà su questo stereotipo ormai sorpassato che considera una donna che fa la mamma poco più che una fallita, dal tunnel della denatalità non si esce. Ma gli ultimi qualificati a farlo sono i demografi, che hanno propugnato per anni un modello di crescita zero: col risultato che ci troviamo un paese triste di culle vuote e di anziani.

    • La redazione

      Difficile rispondere ad un commento di questo tipo. "I demografi" avrebbero "propugnato per anni un modello di crescita zero"? Quali demografi? E perche’ mettere tutti sullo stesso piano? Va chiarito poi anche cosa si intende per "crescita zero", che tecnicamente corrisponde ad un esatto rapporto di sostituzione tra generazioni, equivalente a 2,1 figli per donna. La risposta e’ quindi: magari!
      In ogni caso, venendo alla questione, e’ un dato di fatto che l’Emilia-Romagna e’ la regione che negli ultimi anni ha visto una maggior crescita della fecondita’ (mezzo figlio in piu’ rispetto al minimo del 1995!). Ma vale anche per la Lombardia, tanto per citarne un’altra (che pero’ nell’ultimissimo anno ha visto la fecondita’ crescere un po’ meno). Anche togliendo le nascite straniere l’aumento risulta rilevante. Non si tratta di costringere nessuna madre a lavorare, ma di aiutare le donne che lavorano a non rinunciare ad avere un figlio in piu’, se lo desiderano.

  13. lucia pellino

    Vorrei osservare che e’ vero che il dato sull’occupazione femminile non tiene conto del lavoro nero ma e’ anche generalmente vero che raramente il lavoro nero e’ qualificante e ben pagato. Certo se si fa la colf o la commessa in nero probabilmente si ha più’ flessibilita’ negli orari ma e’ l’unico vantaggio. La conciliazione garantirebbe alle donne lavoro più’ qualificante e qualificato e meglio pagato. Oltre ad evitare l’evasione fiscale. Grazie

  14. Giovanni Volpe

    Gli indici di natalità nel nostro Paese, continuano ad essere così bassi, probabilmente anche a causa del senso di responsabilità degli italiani, in special modo delle donne. In considerazione, delle crescenti difficoltà per trovare e mantenere un lavoro, in particolare in determinate aree dell’Italia, questa è la naturale conseguenza. http://www.giovannivolpe.it

    • La redazione

      Questo e’ molto coerente con il nostro punto : le coppie sono più propense ad avere figli se, a parità di valori e intenzioni, sono migliori le condizioni sia sul piano monetario che sul piano della allocazione del tempo.

  15. Mariano Sgura

    Chi scrive è un padre con due figlie. Quando il lavoro è precario e a tempo determinato, quando la coppia risiede in città diverse per ragioni di lavoro, quando mancano i servizi e il lavoro è poco remunerato chi ha il coraggio di fare figli? Chi scrive vive in Toscana e non al Sud dove sicuramente ci sono più problemi.

    • La redazione

      Se il Sud piange, l’Italia settentrionale non ride. Molti squilibri della situazione italiana sono meno accentuati al Nord rispetto al Sud, ma caratterizzano nel complesso tutta l’Italia (che certamente non è un paese per giovani).

  16. massimo

    Secondo voi, se in Campania si costruissero 100 nuovi asili nido e a parità di ogni altro elemento (andamento dell’economia, ecc.), cosa succederebbe: 1) al tasso di occupazione delle donne campane? 2) al loro tasso di fertilità? Grazie

    • La redazione

      Con un aumento rilevante degli strumenti di conciliazione, asili nido in primis, secondo noi:
      1) molte donne che hanno figli piccoli potrebbero più facilmente a) non smettere di lavorare, b) non rinunciare ad una possibile offerta di lavoro potenzialmente offerta, c) magari anche pensare di mettere in campo la propria iniziativa e creatività per crearsi un’opportunità di lavoro in proprio.
      2) molte donne che hanno un lavoro potrebbero più facilmente non rinunciare ad avere un figlio in più (sapendo, appunto, di poter contare su adeguati strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia).
      Nel complesso quindi: maggior fecondità, maggior occupazione femminile, maggior benessere per le famiglie.

  17. Carlo Cipiciani

    Posto che sono d’accordo con i due autori, c’è un punto su cui vorrei un chiarimento o una “chiave interpretativa”: Se prendiamo i Tassi di fecondità delle due regioni, distinguendo tra italiane e “straniere”, notiamo che il contributo al “sorpasso” dell’Emila sulla Campania si deve soprattutto a queste ultime. Sembrerebbe quindi giocare un ruolo il diverso peso che ha la popolazione straniera nelle diverse regioni. Però, il tasso di fecondità delle straniere è più elevato nel nord (in Emilia e Lombardia in particolare) rispetto al sud. Quindi, se capisco bene: l’effetto “maggiori servizi” (al nord) per famiglia ed infanzia non solo influenza le famiglie italiane, ma anche le straniere, rafforzando la tesi degli autori e quindi il suggerimento di policy sull’investimento in questi servizi. Mi sbaglio? Un caro saluto

    • La redazione

      Nel sorpasso conta certo anche il contributo delle donne straniere. Senza di esse la crescita della fecondità dell’Emila-Romagna sarebbe stata comunque positiva e rilevante (al contrario della Campania). Dei servizi per l’infanzia usufruiscono anche le donne straniere, che quindi, a parita’ di condizioni, si trovano piu’ favorite nella scelta di avere figli in Emilia rispetto alla Campania. Quindi, non sbaglia.

  18. susi veneziano

    Volevo solo dire che le dimensioni delle differenze sull’occupazione tirano in ballo un miliardo di questioni, senza nulla togliere alla parità di rilievo che le due variabli hanno rispetto alla valutazione delle politiche di conciliazione. Comunque vorrei stare al gioco: se mi dite come fa a sparire la conciliazione in Emilia-Romagna io vi dico come fa a comparire (o a emergere) l’occupazione femminile in Campania.

  19. wertf

    L’Italia è sovrappopolata. Non ci sono risorse, non c’è lavoro, il territorio è sfruttato al massimo. I 60 milioni di abitanti prefigurati dalla scellerata politica demografica fascista sono troppi, e basta scendere dagli scranni accademici per rendersene conto. Gli Italiani devono fare figli per chi? Per fornire forza – lavoro a basso costo, per far abbassare ancora di più i salari? Se non l’avete capito, ora in Italia i figli li fanno le classi sociali collocate alle due estremità: i ricchi, e i poveri. la classe media, semplicemente, non se li può permettere.

  20. paolo forin

    Confrontando nei dati INPS da voi citati come fonte Emilia Romagna con Veneto vedo a) che i dati di natalità sono sostazialmente gli stessi (la sola differenza sostanziale è nella percentuale dei figli di immigrati sul totale, 21% in Emilia Romagna, 16% in Veneto). b) che il saldo del Veneto è appena positivo, quello dell’Emilia Romagna negativo (popolazione più giovane?) Se ne potrebbe dedurre che o nel Veneto ci sono gli stessi asili nido e le stesse leggi a favore della famiglia di quelle presenti nell’Emilia Romagna, anzi, migliori (ma allora l’articolo è solo una pubblicità alla amministrazione dell’Emilia Romagna) oppure che in realtà i fattori determinanti sono anche altri (e che qualcosa manca all’Emilia). L’Emilia avrà certo superato gli obiettivi di Lisbona, ma mi pare di gran lunga una delle regioni con più anziani e meno bambini (anche in prospettiva) nonostante la sbandierata pluridecennale politica per la famiglia.

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