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Oltre il Pil

Il più contestato tra indicatori economici spesso messi in discussione è senz’altro il Pil. Per il quale da tempo gli economisti cercano un’alternativa. Proprio per questo in Francia si è messa all’opera una commissione presieduta da due premi Nobel. Con risultati però deludenti per chi si aspettava un nuovo indicatore sintetico che sostituisse completamente il prodotto interno lordo. Anche perché si continua a non rendere davvero espliciti gli obiettivi che si vogliono perseguire. Un contributo più originale potrebbe invece arrivare proprio dall’Italia.

Gli indicatori economici suscitano sempre molte discussioni: le cifre delle organizzazioni internazionali vengono interpretate puntualmente in maniera opposta da governo e opposizione, vedi recentemente il superindice Ocse o il presunto superamento del Pil italiano su quello inglese. Oppure ne vengono messi in discussione i criteri e i metodi di misura. L’’indicatore più contestato è certamente il Pil, la misura economica per eccellenza. Da molto tempo gli economisti cercano un’’alternativa.(1) Il dibattito ha fruttato una ricca letteratura economica e si è diffuso con l’’arrivo dei movimenti no e new global a cavallo del 2000. Le proposte lanciate sono state molte. L’’unica alternativa che ha avuto un vero successo è l’’Indice di sviluppo umano (Isu o Hdi in inglese) che prende in considerazione la speranza di vita, l’’educazione e il Pil e che viene calcolato annualmente dalle Nazioni Unite. Ciononostante, il Pil continua a godere di ottima salute, non avendo rivali veramente in grado di scalzarlo dal più alto gradino delle statistiche economiche, nonostante i difetti comunemente riconosciuti. (2) Queste critiche, condivise dalla maggior parte degli economisti e della classe politica, non hanno mai portato a un riesame delle statistiche nazionali.

LA COMMISSIONE STIGLITZ-SEN-FITOUSSI

Nel gennaio 2008, però, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha chiesto a una commissione composta da una trentina di economisti di rilevanza mondiale e presieduta dai premi Nobel Joe Stiglitz e Amartya Sen di studiare e proporre alternative al Pil. Il lungo rapporto conclusivo è stato presentato lo scorso settembre. (3)
Il risultato è deludente per coloro che si aspettavano un nuovo indicatore sintetico che sostituisse completamente il Pil. Le attese erano forse eccessive: ci si aspettava una nuova misura semplice e diretta come il Pil ma allo stesso tempo più complessa, per cogliere i tanti aspetti –- prodotti e non prodotti -– che influenzano il nostro benessere. La commissione ha, invece, dato dodici raccomandazioni piuttosto generali: il benessere materiale deve essere valutato al livello di nucleo familiare, tenendo in considerazione il reddito e il consumo e non tanto la produzione come accade ora con il Pil. Si deve dare una maggiore enfasi alla distribuzione del reddito, del consumo e della ricchezza: un aumento medio non corrisponde per forza a un aumento per tutti, come Trilussa già notava a inizio Novecento. La commissione chiede, inoltre, di estendere la misura ad attività non di mercato. Questo punto riguarda il calcolo delle attività e servizi in famiglia, per esempio la cura degli ammalati e degli anziani, un tema sempre più di attualità. Raccomanda, inoltre, di prendere in considerazione la multidimensionalità della misura del benessere che tocca le condizioni economiche ma anche l’’educazione, la salute, la qualità della democrazia, le reti sociali, l’’ambiente, la sicurezza. Una gran parte del rapporto si occupa poi delle questioni di sostenibilità ambientale per misurare la crescita al netto della distruzione di risorse e i rischi del cambiamento climatico.

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LA STRADA È ANCORA LUNGA

Al di là dei comprensibili entusiasmi per i risultati di una commissione che per la prima volta ha portato a un livello politico di primissimo piano un tema dibattuto soprattutto in ambito accademico, la strada da fare è ancora molta. Mancano, a oggi, metodi condivisi di misura delle variabili qualitative come reti sociali, qualità della democrazia e sicurezza. Non c’’è, inoltre, accordo su come aggregare le diverse componenti. (4) La maggior parte degli economisti ritiene necessario proporre una serie d’’indicatori per misurare lo sviluppo e non un semplice indice sintetico: dal punto di visto scientifico si tratta di una scelta indiscutibile, ma dal punto di vista politico e mediatico è una rinuncia pesante. Il Pil gode ancora di così buona salute proprio grazie alla sua semplicità ed è lo stesso motivo per cui l’’Isu, poco amato dall’’accademia, ha invece avuto un relativo successo. Rinunciare in partenza a trovare un indicatore sintetico rende impossibile un vero cambio di paradigma nella misura del progresso nella società.
Anche per questi nuovi indici il metodo utilizzato è sempre lo stesso: si disegna un quadro teorico e si cercano gli strumenti di misura, senza esplicitare veramente gli obiettivi che si vogliono perseguire. Misurare il progresso è la base per perseguirlo. Tuttavia, finora, gli obiettivi sono di fatto stabiliti ex post, nascosti nella struttura dell’’indicatore. Nel caso del Pil, si insegue la crescita continua senza veramente chiedersi se questo corrisponde agli obiettivi che ci prefiggiamo.
È più innovativo, anche se non per forza più facile da realizzare, quindi, quanto proposto da Salvatore Monni e Alessandro Spaventa alla conferenza Isae del maggio scorso: anziché affidare la scelta (implicita) delle priorità sociali ai tecnici che costruiscono gli indicatori, è più opportuno immaginare indici a partire da espliciti obiettivi politici dei paesi interessati. (5) Gli autori fanno un esempio a livello europeo partendo dall’’agenda di Lisbona e costruendo un indice basato su competitività, coesione sociale e ambiente. Gli indicatori che immaginano Monni e Spaventa vengono ritagliati su misura, diventando strumenti per il perseguimento di alcuni obiettivi (più o meno) democraticamente stabiliti da un paese e non un fine in sé. Si tratta di un approccio nuovo e sicuramente più trasparente.
Il neo presidente dell’’Istat Enrico Giovannini ha animato gli sforzi dell’’Ocse per immaginare alternative al Pil ed è stato membro influente della commissione francese. Ora è a capo della sala macchine italiana di produzione dati. Chissà che una piccola rivoluzione non venga dal nostro paese questa volta.
(1) Già del 1973 William Nordhaus e il Nobel James Tobin si chiedevano se il Pil non fosse ormai obsoleto nel famoso articolo “Is growth obsolete?”. Nel 1934 lo stesso Simon Kuznets, ideatore dei conti nazionali e di conseguenza del Pil, ammoniva che il benessere di una nazione non poteva essere misurato semplicemente con il suo indice.
(2) È utile ricordare che il Pil è una misura di produzione in valore (i prezzi sono l’’unità di misura) di beni e servizi finali (quindi non beni utilizzati per produrre altri beni, per evitare un doppio calcolo) prodotti all’interno di un certo paese in intervallo di tempo.
(3) Il rapporto finale e i documenti di lavoro della commissione Sen-Stiglitz-Fitoussi sono disponibili in inglese e francese sul sito www.stiglitz-sen-fitoussi.fr.
(4) Una delle critiche più forti all’’Isu contesta proprio la media aritmetica che si usa per ponderare le tre componenti.
(5) In attesa della pubblicazione del working paper, si possono scaricare le slide della presentazione qui.

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10 commenti

  1. ferdinando forresu

    Signori buongiorno, ho letto la nota della Banca d’Italia relativo al debito pubblico al 31 di ottobre pari a 1801 mld di €. Il dato al 31/12/2007 era di 1595, quindi in poco meno di due anni di gestione Tremonti il debito è letteralmente schizzato fuori controllo per ben 202 mld di €. Eppure sentiamo che i conti sono sotto controllo, che il Ministro si vanta e viene anche considerato un rigorista che ha a cuore sopratutto i conti pubblici. Tutto questo disastro senza che ci siano feroci prese di posizioni delle Istituzioni, degli esperti, della stampa specializzata, che non mettono in conto il fatto che tale mostruoso incremento si è verificato in assenza di significative misure anti-crisi, e quindi solamente per spesa corrente. Io non so se anche la Argentina avesse trend di crescita del debito come i nostri ma so che sicuramente con questo ritmo ci stiamo avvicinando velocemente alla loro disastrosa situazione. Sono molto, molto preoccupato…per favore fermatelo! Ferdinando Forresu

  2. federico vola

    D’altro canto in ambito privato il management per obiettivi (MBO) prevede esattamente il procedimento logico preconizzato nell’articolo: prima viene la scelta degli obiettivi, quindi segue l’elaborazione di indicatori adeguati alla misurazione o meno del loro raggiungimento.

  3. Brigate Grosse

    Curioso che nella classifica ISU by Nazioni Unite, Cuba sia al 51° posto tra i paesi ad alto sviluppo umano: il sistema demonizza un’impostazione socio-economica non allineata al pensiero unico dominante ma non deleteria se non per gli interessi del capitale. Buona l’idea di Sarkozy che ha il merito di riaprire la discussione su un argomento centrale per l’impostazione dei cambi di paradigma in materia macro-economica. Preoccupano le proposte nostrane: cautela con l’entusiasmo per l’agenda di Lisbona; la competitività (suo punto focale) come parametro base significa porre le basi per ulteriori sperequazioni. Si ripropone il detestabile sviluppo al posto dell’auspicabile progresso. Gli altri parametri si prestano a dubbie applicazioni (la coesione sociale potrebbe essere imposta con la forza ed il termine ambiente declinare nell’ideologizzazione dell’ISMO in nome del quale tollerare/auspicare misure come la riduzione della popolazione). La proposta italiana incoraggia le ambizioni del grande capitale più di quella francese quindi è più pericolosa. Con le migliori intenzioni si commettono i peggiori disastri sempre che le intenzioni siano buone e non celino prezzolata ipocrisia.

    • La redazione

      La proposta italiana non dà un giudizio di merito alla strategia di Lisbona. Vuole soltanto misurarne ex-post i risultati. Le priorità sono state stabilite a livello politico, all’indice proposto da Monni e Spaventa spetta semplicemente il compito di valutarne l’impatto. Il giorno in cui cambierà la strategia, dovrebbe anche cambiare l’indice.

  4. Pietro

    L’indicatore del Pil sarà probabilmente da aggiornare e migliorare, ma è sicuramente meglio del superindice OCSE che come si evince dall’articolo dal prof. Giavazzi (09.11.09) è molto meno efficace e statisticamente valido nella pratica. Tutti gli indicatori generici (Pil, inflazione..etc) presentano dei problemi proprio perché tentano di sintetizzare aspetti e comportamenti molto complessi, paradossalmente diversi individuo per individuo. Pertanto non andrebbero considerati come una “verità assoluta” ma riportati alla loro funzione di meri “indicatori” di riferimento. Non bisogna quindi considerare il Pil come verità assoluta. In Italia, ad esempio, ci vorrebbe una vera revisione totale del sistema di calcolo dell’inflazione, a cominciare dai “pesi” attribuiti a ciascun bene/servizio considerato, ai beni/servizi presi in considerazione e tenere conto che di anno in anno ci sono beni/servizi che escono dal paniere ed altri che entrano (e probabilmente qualcuno si chiederà coma si possa pertanto confrontare l’inflazione anno su anno).

  5. raffaele principe

    Il legislatore dal 1998 ha introdotto l’Isee per le famiglie che giustamente fotografa la situazione economica del nucleo familiare e non solo quella reddittuale. Questo indicatore ormai è utilizzato da gran parte degli enti pubblici che devono stilare delle graduatorie di merito per l’erogazione di servizi ecc. Se compariamo il Pil al reddito monetario di una famiglia, possiamo pensare a creare un’Isee nazionale da comparare all’Isee familiare. Si potrebbe incominciare a sommare gli Isee familiari, chiedendone la sua compilazione a tutti i nuclei familiari e non solo quando richiesto. La sua media ci potrebbe dare l’Isee nazionale da comparare al Pil. Individuata questa strada si può pensare alle voci, a livello aggregato, con cui calcolare appunto l’Isee nazionale.

  6. Pietro

    Qualcuno ha proposto di sostituire il Pil come indicatore con l’Isee: a mio modesto parere è un’utopia. L’Isee prevede un calcolo non solo di quanto espresso in dichiarazione dei redditi ma anche di tutte le proprietà (mobiliari ed immobiliari) tenendo conto del nucleo familiare, in altre parole troppo complesso da calcolare per un campione ragguardevole sul quale basare l’indagine. Inoltre, molti non hanno fatto richiesta della “social card”, detta anche “tessera dei poveri”, perché per ottenerla era necessario fare l’Isee, il che implicava un’emersione dell’evasione. Il giorno in cui si sconfiggerà l’evasione forse si potrà ripresentare l’Isee: auguri….

  7. Jochen Jesinghaus

    Il rapporto "Stiglitz-Sen" è tecnicamente brillante ma non dà la risposta che tutti si aspettavano: L’alternativa al PIL. Forse perché ci autolimitiamo troppo facilmente? È un brutto segno che chiamano "superindice" quel CLI che Giavazzi caratterizza come "indicatore costruito per anticipare i punti di svolta del ciclo economico". Come se quel ciclo sarebbe l’unico problema della società italiana… Eurostat mantiene più di 200 "key indicators", "chiavi" del progresso reale. E non bastano: Lì non si trovano "independenza dei media", "durata dei processi in tribunali", per alludere a due problemi seri senza nessun legame alla crescita economica. Un dibattito serio deve liberarsi dal diktat della crescita, e definire le esigenze reali della società, ed evitando di negare che non possiamo farlo con una manciato di indicatori scelti alla buona. Già il tentativo di visualizzare il problema, per esempio nella bozza presentata, potrebbe aprirci gli occhi, e lanciare un dibattito serio sui problemi da risolvere con priorità.

  8. Franco Onnis

    Oltre il PIL, e non contro il PIL.. Il PIL ha i suoi limiti, lo sappiamo tutti, ma per ora funziona, e, quel che conta, la sua esistenza e il suo uso non impediscono in alcun modo di elaborare altri indici, capaci di coprire le imponenti lacune del PIL. Questa contrapposizione, priva di qualunque fondamento, in realtà è strettamente contigua a quella, ormai vecchia ma sempre vigorosa, che continua a contrapporre alla ricerca della razionalità dei processi produttivi e distributivi dei beni e dei servizi, ogni istanza civile di equità nella distribuzione dei beni primari, come salute e istruzione, di rispetto dell’ambiente, di utilizzo non dissennato delle risorse naturali e così via. Come se il perseguimento di questi obiettivi potesse prescindere dai principi di razionalità, i quali non sono di esclusiva pertinenza della attività economica in senso stretto, ma sono condizione di successo di ogni serio procedere delle attività umane. Purtoppo bisogna continuare ad predicare queste ovvietà.

  9. Nicola Di Cesare

    Va tutto bene. Si possono costruire incidi variamente composti dentro i quali sintetizzare tutte le variabili materiali che incidono sul benessere individuale o collettivo. Faccio notare che restano comunque due aspetti importanti da considerare. Il primo di natura meramente statistica, verte sulla distribuzione del benessere all’interno della popolazione presa in esame. (fissazione di massimi Indici di concentrazione ammissibili). Il secondo aspetto consta nella misurazione della percezione del benessere nell’ambito del campione preso in esame; questo aspetto per sua natura immateriale pone dei problemi di metoldologia di indagine non semplici ma che se opportunamente considerati possono contribuire a determinare quel salto di qualità nella misurazione di una reale diffusione generalizzata della qualità della vita di una comunità.

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