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PIÙ TASSE PER GLI STUDENTI

Aumenti anche consistenti delle tasse universitarie italiane sono possibili a due condizioni. Che vengano aumentate le possibilità di scelta delle famiglie, per esempio attraverso la costruzione di residenze universitarie. E vengano tutelate le fasce economicamente deboli, attraverso meccanismi di borse di studio erogate non solo sulla base del reddito familiare, ma anche del contesto socio-culturale. Gli atenei avrebbero così a disposizione risorse aggiuntive e più tempestive. E si avvierebbero quei cambiamenti che nessuna riforma dal centro riesce a imporre.

L’università italiana si è trovata negli ultimi anni a fronteggiare difficoltà crescenti. Da un lato la normativa ha offerto maggiori margini di autonomia agli atenei, dall’altro la domanda di formazione superiore è cresciuta a livelli precedentemente sconosciuti. È chiaro che la pressione creata dall’espansione della domanda delle famiglie su risorse finanziarie (che continuano a dipendere da un finanziamento centrale) e su una dotazione di infrastrutture pressoché fissa, crea criticità che diventano velocemente insostenibili. La situazione richiede a nostro parere una trasformazione della organizzazione del finanziamento delle università di pari portata.

DIVERSI MODELLI DI FINANZIAMENTO

Affrontiamo un aspetto per noi strategico, ovverosia quello della trasformazione dei contributi degli studenti al finanziamento dell’università. Questa proposta è giustificata da due considerazioni: da un lato, rendere meno erratico il finanziamento agli atenei. Basti pensare che ad oggi gli atenei non conoscono ancora quanto sarà il loro finanziamento relativo non al 2010, ma al 2009. Dall’altro garantire una diverso rapporto tra chi si serve dell’università e chi fornisce il servizio dell’istruzione superiore. Noi vogliamo invece immaginare una soluzione che vada nella direzione di una modifica strutturale del sistema di finanziamento.
Si tratta innanzitutto di una scelta tra modelli di finanziamento. Diversi paesi adottano modalità diverse di finanziamento della formazione universitaria. Molto schematicamente: i paesi nordici offrono l’università gratuitamente, grazie a un sistema di borse di studio; i paesi dell’Europa continentale, tra cui l’Italia, mantengono contribuzione bassa da parte degli studenti, con sostegno pubblico limitato o nullo; infine i paesi anglosassoni hanno livelli più elevati di contribuzione privata, accompagnati da vari sistemi di aiuto (o in forma di debiti o in forma di borse di studio).
Noi riteniamo che il sistema di finanziamento italiano sia attualmente inadatto a fronteggiare l’espansione che si è verificata contestualmente alla riforma del 3+2, e che una sua profonda trasformazione sia ormai inevitabile. Da un lato, il finanziamento centralizzato è incapace di tempestività, controllo degli esisti e indirizzo, risultando quindi del tutto inutile ai fini della promozione della qualità della formazione, per non parlare della ricerca. Dall’altro, lascia nella sostanziale irresponsabilità gli studenti e le loro famiglie, che sono indotte ad accettare uno scambio del tipo: basso prezzo – basse aspettative – bassa qualità. Magari accontentandosi dell’illusorio identico valore legale del titolo di studio tra tutti gli atenei. Questo è particolarmente visibile quando si veda il livello ridicolo delle tasse universitarie pagate mediamente nelle università meridionali.
Riteniamo perciò che aumentare le tasse universitarie a carico delle famiglie sia auspicabile, per due ragioni. Da un alto, perché può fornire risorse aggiuntive e più tempestive agli atenei, permettendo loro di uscire dalla morsa delle negoziazioni ministeriali (cui stiamo assistendo in questo periodo). Dall’altro, perché ci aspettiamo che quando gli studenti, e le loro famiglie, facciano una scelta di formazione universitaria pagando un prezzo più alto, divengano più esigenti sulla qualità della formazione che ricevono, scelgano più attentamente le facoltà dove si iscrivono, controllino più attentamente la qualità dei servizi prestati e richiedano quei cambiamenti che dal centro nessuna riforma può riuscire a imporre. Se gli studenti impareranno a “votare con i piedi” si produrrà quella concorrenza tra atenei che può aprire degli spazi per i più dinamici.

LA TASSA DEL LAUREATO

Ovviamente, questo pone immediatamente il problema delle possibili ricadute degli aumenti sulla scelta di iscrizione universitaria, e prima di tutto il rischio di un effetto squilibrato a svantaggio dei settori della popolazione di più basso reddito. Ci sono tre modi di affrontare (o meno) il problema.
Il primo è quello di “non fare nulla”, aumentando le tasse di iscrizione e lasciando che gli studenti si occupino da soli del problema di far fronte all’aumentato costo. Questa via sarebbe ingiusta dal punto di vista sociale e inefficiente da quello economico. Il secondo modo è il puro modello “mutuo’’. Lo studente ottiene un prestito, garantito da qualche risorsa esterna, spesso le proprietà della famiglia di origine. Così come quando si acquista una casa, gli studenti nel mercato dei capitali trovano un finanziamento privato da restituire nel tempo, indipendentemente dalle loro possibilità di restituzione effettiva. Questa soluzione ha molti degli aspetti negativi di ineguaglianza e inefficienza della prima soluzione.
La terza soluzione, indicata in letteratura come “tassa del laureato” (graduate tax) adottata per esempio in Inghilterra e in Australia, è quella di legare il pagamento del prestito al reddito che il laureato guadagnerà dopo la conclusione degli studi. I principi fondamentali del sistema sono tre, e molto semplici.
Primo, lo Stato paga direttamente all’università a cui lo studente è iscritto una parte del costo del servizio. Lo studente accende un debito con lo Stato che verrà restituito in parte immediatamente e in parte in seguito.
Secondo, i tempi del pagamento tengono conto del reddito che il laureato consegue quando entra nel mondo del lavoro. Per esempio, solo quando questo reddito supera una soglia minima scatta la restituzione del debito, con una frazione che aumenta con l’aumentare del reddito. In questo modo la collettività offre una assicurazione implicita contro i rischi di fallimento dell’investimento universitario.
Terzo, il programma è gestito in comune dal ministero dell’Istruzione e della Agenzia delle Entrate, cosicché l’evasione sui pagamenti è resa più difficile e l’onere del prestatore di ultima istanza resta a carico della fiscalità generale.
Nella simulazione che si trova nel testo allegato mostriamo come il raddoppio delle tasse universitarie mediamente pagate avrebbe effetti trascurabili e facilmente compensabili con adeguati interventi di sostegno allo studio.
A nostro parere non è quindi impossibile immaginare aumenti, anche consistenti, delle tasse universitarie italiane, a due condizioni: da un lato che vengano aumentate le possibilità di scelta delle famiglie, attraverso per esempio la costruzione di residenze universitarie finanziate con la destinazione vincolata di parte degli aumenti stessi. Dall’altra che vengano tutelate le fasce economicamente deboli, attraverso meccanismi di borse di studio erogate non solo sulla base del reddito familiare, ma anche sulla base del contesto socio-culturale, per esempio sostenendo i figli di genitori che non abbiano completato l’obbligo scolastico.

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34 commenti

  1. roberto proietto

    Sono un dirigente scolastico, dunque teoricamente un dirigente dello Stato. Guadagno 2610 euro al mese. Come lavoratore dipendente, ho sempre pagato tutto il pagabile e mia figlia, ovviamente, è sempre stata esclusa da ogni benefit pubblico, si chiamasse asilo nido o borsa o quant’altro. Un mese e 10 gg. del mio stipendio se ne vanno dunque per mandare mia figlia all’università (veterinaria). In questa situazione (e con questo bel funzionamento del sistema delle entrate) credete veramente che sia accettabile per un lavoratore dipendente la proposta di raddoppio delle tasse universitarie?

  2. claudio

    Sono studente-lavoratore, fuori corso. Pago 1.500 euro l’anno per andare all’universtà qualche oretta 3-4 volte all’anno per sostenere gli esami, perchè tra impegni di lavoro e famiglia non posso frequentare (e quindi usare le strutture). Del resto sul lavoro (ente locale) i corsi di aggiornamento sono stati tagliati per problemi di bilancio e così la mia formazione me la faccio (e pago) da solo. Una volta i lavoratori pagavano la metà delle tasse, un giusto incorraggiamento. Oggi – essendo quasi naturalmente fuori corso – sono tartassati. Vi pare giusto? Mi fanno sentire come fossi un peso per l’università, ma perchè mai? Pago tanto, non consumo niente, e allora? Cha danno facciamo noi studenti-lavoratori-fuori corso.

  3. Daniela Mancia

    Attualmente la disparità delle tasse universitarie tra diversi atenei è impressionante. Uno studente di Ingegneria di Dalmine (BG) paga circa la metà delle tasse di mio figlio al Politecnico di Milano (oltre € 4.000), per conseguire un diploma che, formalmente, ha la stessa validità. Inoltre l’attuale situazione non tiene conto dell’ evasione fiscale, per la quale mio figlio paga molto di più dei figli di affermati professionisti. L’anno prossimo si iscriverà al Politecnico di MI anche il mio 2° figlio e se le tasse dovessero aumentare, non potremmo mantenerli entrambi all’Università. La soluzione della Tassa del laureato mi sembra equa dal punto di vista delle famiglie d’origine e forte occasione di responsabilizzazione per gli studenti.

  4. tiziana porro

    Mi spiace che si dia per scontato che le tasse si debbano aumentare per forza, uno dei problemi non è tanto l’iscrizione, i costi delle Università Italiane non sono alti, ma non è un sistema che incentiva gli studenti e le famiglia a finire velocemente gli studi, non mi risulta che il sistema del 3+2 abbia migliorato di molto la tempistica, se proprio si devono aumentare i costi degli studi penso che sia il caso legarli in qualche modo alle raggiungimento della laurea, penalizzando chi allunga all’infinito la tempistica, che crea certamente problemi alle università come fuori corso e impegna le famiglie per anni, quindi chi riesce a laurearsi nei tempi "tecnici" tasse basse e per tutti gli altri, aumenti scaglionati in base algli esami che anno per anno ci si "impegna" a dare.

  5. Alessandro Gratton

    Sono molto favorevole ad aumentare, anche di molto, le tasse di iscrizione, a patto che: (i) le università possano gestire in modo flessibile le maggiori entrate, in modo da indirizzare le risorse su obiettivi concreti da realizzare in tempi brevi; (ii) devono esistere meccanismi che riducano ai minimi termini le tasse per gli studenti veramente meritevoli, senza le solite limitazioni demagogiche riferite al reddito imponibile, che penalizzano esclusivamente le famiglie dei dirigenti e dei quadri e favoriscono in modo indecente gli evasori fiscali. Tra l’altro si incentiverebbe la conclusione degli studi nei termini ordinari.

  6. Cristian

    Articolo che è condivisibile; ma il problema è come mai in tutti questi anni non sono mai riusciti a fare una vera riforma universitaria che sia in grado di portare lustro alle nostre università, che nei confronti internazionali fanno davvero pena? Come non approvare il modello australiano citato nell’articolo, non è mica una invenzione astrusa, si tratta solamente di un modello ragionevole e ispirato al buon senso. Come mai in Italia non si riesce mai ad arrivare ad una soluzione del genere, in nessun campo? Non dico come la Svezia, magari, ma come un paese moderno dovrebbe dotarsi. Sarà che sono un giovane studente universitario che deve imparare tante cose, ma non capisco come mai in Italia no si riesce mai a fare riforme davvero migliorative, e non questi timidi accorgimenti che loro, i politici, vogliono farci passare come svolte epiche. Come è possibile poi immaginare di arrivarci a queste riforme, se in parlamento siedono persone nominate da 5 o 6 capipartito, se ci sono condannati e indagati, amici degli amici, con stipendi immpensi rispetto a quello che fanno e altro ancora….Visto l’andazzo, Io fra un pò me ne andrò in Uk ad ingrassare la regina, a questo siamo ridotti.

  7. Alessio Z.

    Sono Alessio, studente bolognese di "Scienze di internet", informatica orientata al web da un punto di vista tecnico ma anche economico. In poche parole: il futuro. L’Alma Mater Studiorum è mediamente considerata una buona/ottima università ma la mia/nostra esperienza afferma il contrario: non voglio pensare cosa succeda altrove. Il problema non è abbassare/aumentare le tasse: qui c’è da abbattere e da ricostruire totalmente. Non funziona nulla e non credo a causa dei soldi che (ancora) ci sono. Credo piuttosto che manchino i cervelli. Mancano le teste ai piani alti che sappiamo come spendere i soldi nella maniera più efficiente ed efficace. Manca un sistema che premi l’efficienza e il rispetto delle regole che non vengono rispettate dagli stessi professori, col risultato che ognuno fa di testa sua e la tua preparazione non dipende dalle risorse che ti mette a disposizione l’università ma dalla capacità/volontà del docente di sfruttarle, che va a fortuna. E’ condivisibile che un margine di autonomia ci debba essere nel metodo di insegnamento, ma qui siamo allo sbando puro. Spiace constatare che la situazione è tipicamente "all’italiana" e non per soldi, ma per tuttaltro, purtroppo.

  8. Francesco Bailo

    In primo luogo, aumentare il contributo di chi usufrusice dell’università pubblica è una questione di giustizia. Tutti i cittadini finanziano giustamente il Servizio sanitario nazionale perchè tutti i cittadini di quello stesso servizio beneficiano. Ora, è difficile capire perchè una collaboratrice domestica dovrebbe contribuire con le sue tasse all’istruzione universitaria dei figli dei suoi datori di lavoro, quando con tutta probabilità a quella stessa università i suoi figli, per varie ragioni, mai accederanno. Lo stato deve sí incoraggiare l’istruzione universitaria, ma è giusto che chi usufruisce di questo servizio (che ripeto non è un servizio offerto a tutti) contribuisca in maniera sostanziale a coprirne i costi di funzionamento. In secondo luogo, l’aumento delle tasse universitarie non può che avere un effetto positivo sui tempi in cui uno studente in media conclude i suoi studi. Uno studente parcheggiato in una facoltà per periodi misurabili su scale geologiche appesantisce un sistema giá di per se ingolfato da un volume di studenti in entrata ben superiori alla sua capcità di accoglienza. In terzo luogo, come giustamente sottolinea l’articolo, un incremento delle tasse che finiscono direttamente nelle casse dell’ateneo premia le università che forniscono un servizio migliore. La graduate tax è a mio giudizio la migliore delle soluzioni in circolazione. Ma attenzione, un prestito va erogato solo a chi è nelle condizioni di poterlo, prima o poi, onorare. Dunque una riforma di questo tipo non può che passare per un forte incremento dell’efficacia dell’istruzione universitaria.

  9. Alessandro Figà Talamanca

    Secondo i dati del rapporto CNVSU 2008 gli immatricolati sono passati da 244.071 nel 1980-81 a 308.185 nel 2006-07. Il picco è stato raggiunto nel 1992-93 con 373.830 immatricolati. Non si tratta di un aumento drammatico. Il numero totale degli iscritti non è un buon indicatore della domanda perché comprende una quantità variabile di fuori corso. Comunque la grande novità degli ultimi anni è l’aumento della domanda di istruzione universitaria da parte di ceti sociali, finora esclusi. Nello stesso periodo il rapporto tra diciannovenni e immatricolati è passato da 0,284 a 0,532. Questo rende delicato il problema dell’aumento delle tasse universitarie. La proposta è condivisibile in linea di principio, ma di difficile attuazione e comunicazione al pubblico. E’ un tentativo di ripartire il costo dei benefici individuali dell’istruzione (maggiori salari) e dei benefici collettivi (disponibilità di personale preparato per funzioni importanti ma poco remunerative). Ma forse sarebbe più semplice e più comprensibile al pubblico agire subito e direttamente: tassare la formazione dei futuri "managers" e finanziare la formazione dei maestri elementari.

  10. leonardo berti

    Il meccanismo delle borse di studio sul reddito che tanto piace al mondo anglosassone non è applicabile in Italia per la ben nota componente di evasione fiscale (per altro in aumento). Non è sufficiente aggiungere una aleatoria valutazione del contesto socio-culturale. Ancora più aleatoria mi sembra la possibilità di costruzione di residenze universitarie in numero sufficiente a garantire la mobilità piena degli studenti. Aumentare le tasse universitarie e indurre concorrenza tra atenei è un’interessante proposta, ma si evitino le precondizioni puramente teoriche. Va bene che parliamo di università ma le due condizioni premesse son ipotesi d’accademia. Leonardo Berti

  11. loremaf

    Nel nostro Paese si fatto tante chiacchiere e vi è poca chiarezza: vi cito due casi, la detrazione delle tasse universitarie per coloro i quali scelgono una università privata e la deducibilità delle spese di alloggio per gli studenti fuorisede. Nel primo caso la normativa è astrusa e per nulla chiara tanto che neppure le Agenzia delle Entrate sanno indicare la cifra da poter portare in detrazione. Nel secondo caso è possibile detrarre, una somma modesta, solo se lo studente abita in altra provincia e oltre 100 Km di distanza. Allora proporrei ai ministri Gelmini e Tremonti, la prima bresciana e il secondo pavese di adozione, di fare i pendolari tra Edolo e Brescia tutti i giorni, in fondo è la stessa provincia oppure tra Soresina o Crema e Pavia, in nessuno dei due casi è previsto la possibilità di poter detrarre le spese di alloggio e in entrambi i casi è impossibile raggiungere il tragitto casa università andata/ritorno e frequentare le lezioni e poter studiare nella stessa giornata, salvo studiare nelle stazioni o di notte senza poter dormire. Analogo disocrso per raggiungere Milano, Roma, Napoli ecc. da a,tre provincie.

  12. loremaf

    Nel nostro Paese il costo per frequentare un corso per la patente di guida è maggiore della tassa per la frequenza per l’università. Nel primo caso nessuno protesta e non si chiede alcun intervento statate, per il secondo caso, l’università ci si dimena da anni con notabili e sperperi senza approdare a nulla. Sapete perchè? Perché nel nostro paese non si riconosce e non si valorizzano coloro che investono su se stessi e sulle risorse umane in generale. Non si riconosce merito ai laureati e neppure si valorizzano: vedete come trattiamo i neo laureati nelle materie scientifiche? Neppure 1000 euro al mese. vedete nei contratti collettivi di lavoro la differenza tra i funzionari laureati e che svolgono funzioni di responsabilità e impiegati semplici che non ricoprono alcuna responsabilità . Provare per credere!

  13. Alessandro Figà Talamanca

    Non ho capito come gli autori calcolano l’elasticità della domanda di istruzione universitaria. Osservo però che bisgnerebbe tener conto del fatto che siamo in fase di contrazione della popolazione dei diciannovenni, in altre parole per mantenere lo stesso numero di immatricolati è necessario che si iscriva una porzione maggiore di giovani. Per questo il modesto aumento delle tasse universitarie del 1993 ha prodotto un deciso calo delle immatricolazioni che si è protratto fino al 1999. Il numero di immatricolati del 1992 non è stato mai raggiunto (dati dal rapporto CNVSU 2008, tavola 1,1)

  14. Marco

    Cari Professori, con la vostra riforma dell’università avete raggiunto lo scopo di distruggere l’università, e tra poco la scuola italiana: – l’autonomia vi ha permesso di moltiplicare corsi inutili e incomprensibili per assegnare seggiole ai vostri cicisbei; – il "merito" come al solito in questo paese, rimane sulla carta o viene riconosciuto solo ai vostri cicisbei, per i quali chiedete riforme del reclutamento a vostro uso e consumo; – la funzione didattica, intellettuale e pedagogica viene relagata all’amministrazione condominiale, nella quale vi esercitate in modo sempre più proficuo. L’università pubblica deve essere gratuita e finanziata dalla fiscalità generale (che deve essere rafforzata dal recupero totale dell’evasione), i professori devono essere assunti con contratti triennali rinnovabili solo a seguito di screening della loro attività da parte di peers esteri e vedrete che anche la vostra idolatrata concorrenza tra atenei risulterà avvantaggiata.

  15. M.R.

    L’argomento affiora di tanto in tanto nelle cronache: ma in Italia manca e il coraggio e la capacità politica di affrontarlo.

  16. Lucio Lavrans

    Qualche obiezione che ho trovato su questo articolo di Campus: 1) non ci si sofferma neppure a calcolare il costo dei sostegni, pure importanti, prefigurati. Ma non siamo partiti dalla necessita’ di bilanciare i tagli? 2) Non costituisce problema il fatto che il sistema tributario italiano sia fortemente segnato dall’elusione/evasione (cfr. ultimi dati). Ergo, le provvidenze le avranno i soliti…

  17. Patrizia

    Fermamente convinta della necessità di una Università popolare non sono del tutto d’accordo con lun consistente aumento delle tasse Universitarie ma sicuramente portarle ad uno standar unico è senza dubbio corretto. una soluzione a molti problemi potrebbe essere l’impossibilità di ripetere per più di tre volte un esame in modo tale da costringere gli studenti a ottimizzare i tempi universitari. E’ inconcepibile che ci siano studenti che allunghino in maniera assurda i tempi della laurea fino a 10 anni! Intasano i corsi e servono solo come fonte di reddito passivo per le università. Possiamo anche togliere gli esami di ammissione per Medicina, Veterinaria o altre facoltà ma si deve attivare il blocco della ripetizione senza limiti degli esami.

  18. Carlo

    Esilarante e drammatico al tempo stesso ascoltare i dibattiti sull’Università che ogni anno si ripetono: scommetto che a Settembre/Ottobre ci saranno nuove manifestazioni degli studenti e si tornerà a parlare delle stesse cose. I problemi dell’Università li conoscono tutti:
    1) Spese folli: come è possibile che le Università spendano praticamente tutti i soldi in stipendi ? Come è possibile che l’Università di Siena abbia accumulato un debito di milioni di euro e sia ancora aperta? Non è forse il caso di chiudere tutte le Università che spendono troppo ?
    2) Stipendi folli: I dottorati e i ricercatori sono pagati poco, i docenti associati / ordinari sono pagati follemente (3,4,5 mila euro al mese) con lo stipendio che gli aumenta anche se non fanno una mazza dalla mattina alla sera. Non è forse il caso di pagare meno i docenti e più i ricercatori / dottorati ?
    3) Chiunque abbia frequentato una (penso qualsiasi) Università avrà notato sicuramente un certo numero di parassiti che frequentano polverosi uffici amministrativi: ma perché si devonono pagare gli stipendi a costoro?
    4) Ma avete mai visto come viene fatta ricerca ? Articoli spesso scopiazzati da altri articoli presi su Internet, tesi / lavori degli studenti trasformati in articoli dei professori, ecc. La ricerca che viene fatta eèspesso vecchia, povera e difficilmente interessante. In compenso conferenze e viaggi all’estero, pranzi e cene in costosi ristoranti, ecc. Vergognoso !
    5) Didattica spesso vergognosa, lasciata agli assistenti oppure fatta male e alla svelta.

  19. Christian

    La soluzione dell’aumento delle tasse, controbilanciato da un investimento sul diritto allo studio, sarebbe perfetta in uno stato con scarsa o nulla evasione fiscale. Non è praticabile in Italia, invece, perché il diritto allo studio, nello stabilire i destinatari delle erogazioni, non può che basarsi, almeno in parte, sulla dichiarazione dei redditi.

  20. AMSICORA

    1- C’è chi afferma che in Italia via sia una crescente evasione fiscale che inficerebbe un sistema di borse di studio basato sul reddito e l’eventuale aumento delle tasse. Vorrei sapere da dove ha tratto questi dati, perché invece, se non erro, secondo, l’Istat (si veda http://www.istat.it) l’evasione fiscale dal 2001 al 2007 (governo Berlusconi) sarebbe scesa al suo minimo storico, ovvero circa il 17%. Per aver un dato di riferimento, nella Francia, che ha uno Stato ancora più pervasivo del nostro e non ha il "popolo di partite iva" che ci caratterizza positivamente, l’evasione si attesta, se non ricordo male, al 13% del Pil, ovvero solo 4 punti percentuali meno dell’Italia. 2- Concordo in pieno con quanto ha detto, da ultimo, Carlo, che ha anticipato quello che avrei volute scrivere. Aggiungo solo la amara constatazione che una casta accademica che ha partorito 5500 corsi di laurea (esiste "scienze del benessere del cavallo"!) 180mila cattedre e corsi universitari distaccati nei più svariati paesini per motivi clientelari quando scende (e riscenderà!) in piazza a difendere i propri privilegi col codazzo di studenti e "precari" è davvero ridicola.

  21. Francesco G.

    Mi soffermo solo su un punto: la durata dei corsi (mediamente lunghi il 50% dei tempi ufficiali, anche dopo la riforma 3+2, vedasi indagini Almalaurea). In italia si assite a durate medie ben superiori agli altri paesi. Ma gli esami qua sono anche molto più difficili (in quale altro stato si fanno magari progetto, scritto ed orale per un esame ad ingegneria?) La non ripetibilità ha senso solo che cambiano drasticamenti i modelli di valutazione.

  22. Franco Girini

    In una seria riforma universitaria si devono innanzitutto modificare le regole di ingaggio di professori e ricercatori. Basta con il posto fisso. Professori e ricercatori devono diventare professionisti a contratto con le università. Alla scadenza del contratto va valutato se hanno raggiunto degli obiettivi minimi, stabiliti dal contratto. Se tali obiettivi non sono stati raggiunti il contratto non va rinnovato, se hanno fatto più di quanto previsto ottengono un rinnovo più vantaggioso economicamente del contratto (senza contare la possibilità di essere ingaggiati da altre università a condizioni migliori). Sono favorevole al sistema della tassa del laureato in quanto costringerebbe le università (queste dovrebbero essere le creditrici e non lo stato) a offrire una buona preparazione e a limitare gli accessi ai corsi di laurea con poche possibilità di sbocco occupazionale. Responsabilizzerebbe le università legando i loro finanziamenti al successo professionale dei propri allievi. Contrario ad altri sistemi di imposizione basati sul reddito, perché in Italia ci sono troppi furbi che dichiarano redditi da fame e poi invece ….

  23. carmelo lo piccolo

    I lavoratori dipendenti finanziano già abbastanza l’università attraverso la fiscalità generale, e ne ricevono un pessimo servizio, di cui non usufruiscono per ovvie ragioni, dovendo essere al lavoro ogni giorno. Gli studenti lavoratori fuori corso non sono affatto un costo per l’Università, bensì una fonte di finanziamento ulteriore, e sarebbe immorale equiparare la loro situazione a quella degli studenti normali, che hanno tutto il tempo di studiare e frequentare le lezioni. Se si vuole riformare veramente l’Università il primo passo è l’abolizione del valore legale del titolo di studio, che dovrebbe però comportare, almeno nel Pubblico Impiego, la fine dei concorsi collegati al possesso dei titoli di studio e l’imposizione per legge di concorsi per soli esami, affinchè venga davvero verificata la reale preparazione dei laureati e si dia una possibilità di miglioramento professionale anche ai non laureati. Occorrerebbe poi separare la Didattica, che è pessima e affidata alla buona volontà di qualche Assistente e/o ricercatore, dalla Ricerca, stabilendo due percorsi professionali differenti per i docenti e riconoscendo ruolo e professionalità dei ricercatori.

  24. sandro

    La proposta del "prestito" agli studenti è condivisibile ma, considerato che le risorse utilizzabili sarebbero estremamente limitate, manca di un criterio di "selezione" delle Università/Facoltà/Dipartimenti da finanziare per ottimizzarne l’utilizzo. Alcuni indicatori, piuttosto grossolani ma già disponibli, potrebbero essere: percentuali di iscritti che arrivano alla laurea, percentuale di laureati in corso o nel primo anno fuori corso, percentuale di laureati che lavorano ad 1 e 3 anni dalla laurea. In questo modo si ridurrebbero le probabilità di "default" dei prestiti effettuati e si velocizzerebbe il tempo di restituzione. Probabilmente si risolverebbero, almeno in parte, i problemi dei "parcheggiati" in Facoltà che offrono poche o nulle possibilità di lavoro.

  25. francesco

    Gli stipendi dei docenti strutturati sono assurdi e rimangono negli atenei fino a 80 anni o prendono pensioni stellari. La pagassero loro questa università che hanno distrutto. Ormai ogni senato accademico o cda sono accompagnati dalle proteste di studenti e precari. Come studente fuori sede ho anche da pagare enormi spese per sopravvivere visto che siamo cittadini di serie B. Non si capisce perchè si riforma, in negativo, sempre partendo dai soggetti più deboli, soprattutto politicamente.

  26. Luigi Maria Porrino

    L’analisi offerta è senza dubbio puntuale e solida dal punto di vista scientifico. Tuttavia essa è appare eccessivamente accademica, astraendosi dal contesto sociale italiano. E’ vero che l’innalzamento delle tasse sarebbe proficuo per il sistema universitario ma il peso ricadrebbe interamente sulle fasce deboli, oggi più numerose di ieri. Due eccezioni dovrebbero indurre un ulteriore riflessione. Se l’eserienza empirica trovasse conferma, le famiglie abbienti inviano i propri figli presso le università private, che adottano tasse più alte; molto alto è il trend dei ragazzi abbienti che studiano all’estero. L’altro punto di riflessione riguarda la proposta: con la scarsa possibiltà di mobilità sociale – stipendi bassi, affitti alti e la generale difficoltà proprio dei laureati a trovare impieghi corrispondenti agli studi realizzati (qualificati) – le possibilità di restituire il prestito diminuiscono vertiginosamente.

  27. angelo carbone

    Io ho studiato ingegneria a Padova e purtroppo con mio immenso rammarico devo dire che la università non ti prepara al mondo del lavoro e questo è grave perchè una parte del suo compito è questa a mio avviso (sindacabile s’ intende). Ora resta da capire se questo status quo è voluto oppure no (dubito). Uno dei problemi è che, almeno nel caso da me vissuto in prima persona, a parte qualche lodevole eccezione, non partecipano a progetti di valenza internazionale e fanno solo chiacchiere e politica nella maggior parte dei casi. Ci riempiono la testa di dimostrazioni e teoremi solo per fare esaurire la gente, invece di farci ragionare (aiutandoci) con confronti e discussioni. Purtroppo in Italia l’istuzione è così: io ti dico cosa devi imparare (a memoria) e tu lo fai, difatti, molte volte venivo punito agli esami solo perchè non ricordavo questa o quella formula senza entrare nel merito e vedere se c’era stoffa. p.s. il primo programma di calcolo l’ho usato per conto mio, e così il primo computo metrico tramite testi scritti da chi non è docente universitario, ovviamente.

  28. Assunta

    Con l’avvento della tecnologia il problema delle sedi universitarie si potrebbe (in parte) risolvere con l’introduzione di corsi universitari on-line (come già fa il Politecnico di Milano); ciò sarebbe di beneficio sia per gli studenti lavoratori, che troverebbero giustificazione per le tasse universitarie che pagano anche se non frequentano; sia per i pendolari, che magari potrebbero evitare di doversi spostare con conseguente aggravio delle condizioni economiche familiari; per i bilanci degli atenei, che così non sono costretti a costruire, costruire e costruire pur di ampliare il numero dei propri immatricolati; per il mercato degli atenei stessi, dato che aumenterebbe la concorrenza in offerta formativa tra gli stessi. E poi, altra questione secondo me fondamentale: l’università non deve essere per tutti. In tantissimi si iscrivono incoraggiati da genitori orgogliosi, e poi combinano poco o niente. Quindi più selettività all’entrata e più severità nei corsi, altrimenti in un futuro non troppo lontano un giovane volenteroso che vorrà emergere fino a quando dovrà studiare, tra Master & co?

  29. Francesco

    La teoria generale del’articolo può essere condivisibile, ma vorrei conoscere in termini quantitativi a quanto dovrebbero ammontare le tasse universitarie per non essere considerate "ridicole". Il termine mi sembra un po’ forte tenendo conto del valore di reddito delle zone meridionali già nettamente inferiore rispetto al resto del Paese. Infine: incrementare la mobilità. Esistono dati relativi al numero di studenti fuori sede in particolare meridionali che "finanziano" le università del Centro-Nord? Esistono statistiche per comprendere quanto questi studenti sostengano le economie delle città dove questi frequentano corsi universitari?

  30. mimmo

    Dato che più del 90% riguarda gli stipendi forse sarebbe meglio non creare corsi di laurea solo per pagare stipendi senza iscritti, continuare ad avere personale non didattico ed appaltare i lavori a ditte esterne ed altri sprechi inutili.

  31. Luca Guerra

    Prima di aumentare le tasse sarebbe opportuno procedere ad una sostanziale riduzione dei costi di funzionamento, perché i soldi che vengono dall’esterno, sia lo stato o gli studenti sono soldi di altri, non hanno valore! Sono una variabile indipendente dal presunto funzionamento del sistema. occorre dunque partire dalla risorse a disposizione e vedere cosa si riesce a fare rispetto agli obiettivi prefissati e quindi se necessario liberarsi dalle migliaia di amministrativi nullafacenti di cui è cosparsa l’università o dall’ "accattonaggio molesto" esercitato dai direttori amministrativi dei dipartimenti. E se il caso ridurre anche il numero di studenti che possono accedervi, previa una seria selezione che premi i migliori. concentrazione delle risorse a disposizione.

  32. enrico

    Sono un ricercatore in UK. Concordo in pieno con l’articolo. L’unico modo per "salvare" l’università italiana è tanto semplice quanto drastico: rifondarla completamente su un modello anglosassone. Non c’è un singolo punto sul quale l’università italiana sia "migliore" (qualsiasi cosa voglia dire…) di quella inglese. E’ vero che il tessuto sociale inglese e’ molto diverso da quello italiano, e che forse la tendenza all’evasione fiscale è più elevata in italia. Ma questo non ha nulla a che fare con il modello universitario che un paese sceglie. In Italia la prima cosa da combattere, a riguardo dell’università, è l’idea tanto diffusa quanto sbagliata, che tutti abbiano diritto allo studio universitario. Ci si confonde con la scuola dell’obbligo ! L’università è elitaria per definizione. Solo i più capaci ne devono far parte ed ogni università dovrebbe avere pieni poteri nella selezione dei propri studenti.

  33. Giuseppe Concolato

    Ho sempre considerato il Prof. Checchi, mio docente in Uni, uno stimato economista di cui ho condiviso molte idee, ma questa volta non capisco la proposta. Innalzare le tasse universitarie significa aumentare il prezzo di un prodotto che, nel caso in questione, ha subito un aumento di domanda (più persone vogliono andare in università) e questo lo posso capire. Ma se vediamo le percentuali di laureati nella forza lavoro in Italia, queste sono inferiori alla media dei paesi più sviluppati: aumentare le tasse non potrebbe essere un danno per il sistema paese? Forse non varrebbe la pena tenere (artificialmente) basso il prezzo dell’istruzione universitaria per migliorare la qualità del sistema italiano? Borse di studio: con l’inefficiente sistema fiscale italiano il sistema del nord europa finanzierebbe i "soliti furbi", a meno che le tasse non siano calcolate con un indice non legato al reddito fiscalmente imponibile, ma, ad esempio, al tenore di consumi e proprietà, considerando anche benefit. Far indebitare lo studente, per poi ottenere la restituzione può essere una buona idea (esisteva nella vecchia Unione Sovietica), ma non rischiamo di rinviare solo al futuro una spesa?

  34. fabio menin

    Un prodotto si aumenta di prezzo quando vale di più, cioè in questo caso se il servizio produce miglior formazione, che certamente richiede investimenti e produce un aumento dei costi. La nostra costituzione garantisce il diritto alla formazione per tutti, sia chi ha i soldi, sia chi ne ha meno. Mantenere oggi due figli all’università a Bologna, come faccio io, significa giocare un terno al lotto nella propria vicenda familiare. ogni anno, è da tre anni di seguito che vedo aumentate in maniera esponenziale le tasse universitarie. Per che cosa? Per le stesse opportunità che c’erano quattro anni fa. Solo perché lo stato ha ridotto i finanziamenti. Prima pensiamo a ridurre gli sprechi, e migliorare la qualità della formazione, compresa quella dei baroni che si autosostengono e non riescono a vedere i limiti di ciò che tutti i giorni chiedono ai nostri studenti. Nè ricerca, nè sperimentazione, ma solo ripetizione e tautologia. Il contrario dell’atteggiamento culturale galileiano,fatte salve le lodevoli eccezioni. Poli eventualmente penseremo a risolvere il problema economico.

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