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PIU’ CONCILIAZIONE PER LA GIUSTIZIA-LUMACA *

Per ottenere il recupero di un credito in Italia ci vogliono in media 1.210 giorni. Si tratta di un vero e proprio collo di bottiglia per l’economia e la competitività del paese. Gli organismi di conciliazione possono avere un ruolo importante nel miglioramento dell’efficienza della giustizia civile. Le soluzioni legislative dovrebbero quindi viaggiare su un doppio binario: rafforzare la qualità della conciliazione amministrata e introdurre il ricorso preventivo a questo strumento come condizione di procedibilità, almeno per alcune tipologie di controversie.

Il rapporto annuale Doing Business della World Bank ha tra i suoi parametri l’Enforcing Contracts, cioè il tempo necessario a un creditore coinvolto in una disputa contrattuale per ottenere l’effettivo recupero del credito, calcolato dal giorno di inizio della causa in tribunale al giorno dell’effettivo recupero del credito. Nell’edizione 2008, l’Italia si è classificata al 169° posto su 181 paesi, con la non invidiabile media di 1.210 giorni, superata abbondantemente da paesi come l’Angola, il Gabon e il Botswana.

PARADOSSO APPARENTE

Il posizionamento dell’Italia in questa classifica sintetizza, più di ogni altro dato, l’effetto “collo di bottiglia” dell’amministrazione della nostra giustizia civile e la conseguente ricaduta negativa sull’economia interna e sulla competitività. Unione Europea e World Bank finanziano in molti paesi diversi progetti incentrati su un principio cardine dell’accesso alla giustizia: incentivare la pluralità dei metodi e dei luoghi per la risoluzione delle controversie. Il ricorso agli organismi di conciliazione riveste un ruolo di primaria importanza, non in “alternativa” alla giustizia amministrata dallo Stato, ma a supporto e complemento della sua efficienza. La pluralità di “accessi” ha infatti un effetto positivo sulla giustizia statale che avendo risorse limitate può concentrasi meglio e più rapidamente sui contenziosi che devono essere portati all’attenzione del magistrato. La delega al governo in materia di mediazione e conciliazione delle controversie civili e commerciali, contenuta nell’articolo 39 del disegno di legge n. 1082 di accompagnamento alla manovra finanziaria, attualmente all’esame del Senato, è quindi in linea con le best practices internazionali e con gli indirizzi comunitari. Ma occorre tenere in considerazione l’esperienza italiana.   
La lettura dei dati degli ultimi dieci anni in Italia, infatti, può essere facilmente sintetizzata in un apparente paradosso: (1) il successo nell’80 per cento dei casi degli incontri di conciliazione amministrati dagli organismi specializzati mediante conciliatori adeguatamente formati e (2) il ridottissimo ricorso spontaneo agli organismi di conciliazione stimato in meno dello 0,1 per cento delle cause pendenti: quattromila conciliazioni svolte all’anno su cinque milioni di cause. Il problema quindi si concentra nel ricorso agli organismi da parte di litiganti e avvocati, non nel loro successo indiscusso. Per avere un effetto sull’efficienza dell’amministrazione della giustizia civile, dovrebbero essere dirottate presso gli organismi di conciliazione almeno 2 milioni di cause in corso. 

DOPPIO BINARIO

Le soluzioni legislative dovrebbero quindi viaggiare su un doppio binario. Il primo volto a rafforzare la qualità della conciliazione amministrata (l’offerta) e il secondo nell’assicurare il costante ricorso agli organismi di conciliazione (la domanda). Sulla “qualità” della conciliazione, l’Italia è già all’avanguardia, con l’istituzione al ministero della Giustizia, in forza del decreto legislativo 5 del 2003, di un efficiente registro degli organismi di conciliazione, anche se per adesso solo limitato alle controversie in ambito societario, bancario e finanziario, al quale si stanno progressivamente accreditando i circa 130 organismi di conciliazione pubblici e privati presenti in Italia e i 7.800 conciliatori formati (una media 60 conciliatori per organismo). Solo alcuni correttivi sono necessari, nel rafforzamento della neutralità e indipendenza degli organismi rispetto alle parti in lite e nella formazione obbligatoria per tutti i conciliatori in tecniche di gestione del conflitto.       
Molto invece si deve e si può fare sul secondo binario del ricorso agli organismi di conciliazione da parte dei litiganti: estendere l’amministrazione di tutti i tentativi di conciliazione già presenti nel nostro ordinamento (lavoro, telecomunicazioni, del Ctu, del giudice di pace, e così via) agli organismi del Registro armonizzando al contempo le varie procedure, introdurre il ricorso preventivo agli organismi di conciliazione come condizione di procedibilità anche solo per alcune tipologie di controversie; promuovere un’azione straordinaria per il contenzioso pendente, basato sull’invito del giudice alle parti al ricorso agli organismi di conciliazione. Ad esempio, basterebbe che i conciliatori già formati svolgessero in media quattro conciliazioni a settimana per un anno per contribuire a dimezzare in breve tempo il numero di cause pendenti. Occorrerebbe inoltre favorire la stipula di polizze assicurative di tutela legale a copertura anche dei costi di conciliazione.
L’insuccesso delle conciliazione obbligatoria nelle cause del lavoro non deve trarre in inganno. Al contrario, rafforza la tesi del doppio binario, in questo caso invertito. Il tentativo di conciliazione obbligatoria esiste da molto tempo, ma si è trasformato in un mero e inutile rito perché non gestito da organismi di conciliazione specializzati .
In sede di delega, quindi, il governo dovrebbe puntare con coraggio a una serie di interventi volti a disincentivare il ricorso immediato al giudice stabilendo il preventivo ricorso agli organismi di conciliazione, che la Corte costituzionale ha già dichiarato più volte in linea con l’articolo 24 della Costituzione, come condizione di procedibilità.          

*L’autore è conciliatore di professione.

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12 commenti

  1. Fernando Figoni

    Senza voler entrare troppo nel merito dei meccanismi della conciliazione, il punti essenziali della questione giustizia civile sono sostanzialmente di due generi: 1) il debitore non ha alcun interesse a una giustizia efficiente e veloce. Dunque o ci si obbliga a intraprendere una procedura non giudiziale prima dell’insorgere della questione, oppure sarà molto difficile farlo dopo. 2) non è solo una questione di ottenere una pronuncia favorevole, quanto quella di conseguire effettivamente il credito. Su questo specifico aspetto una conciliazione potrebbe effettivamente funzionare meglio di una procedura giudiziaria, ma rimarrebbe sempre il problema 1). Insomma il problema Italiano è, prima di tutto, un problema culturale.

  2. Andrea Buti

    Pienamente d’accordo. Nei rapporti CEPEJ l’Italia – c’è poco da esserne fieri – ha un non invidiabile primato per maggior numero di cause pendenti in Europa (oltre 4.000.000, rispetto al 1.100.000 della Francia e meno di 1 milione di tutti gli altri paesi europei), cui fa da contraltare, anche l’elevato numero di avvocati (170.000, contro 138.000 in Germania e 110.000 in Spagna). Più che mille riforme concentrate ad affrontare il problema "dall’interno" (migliorare i meccanismi processuali) sarebbe allora opportuno fare qualcosa "all’esterno", ossia evitare che ogni controversia si trasformi in un processo. Anche il migliore sistema, quando è sopraffatto dal carico di lavoro, non può che avere un decadimento delle prestazioni: si tratterebbe di verificare – a parità di costi – quale è l’intervento che produce i risultati migliori. Una gestione solo contenziosa delle controversie, produce elevati costi sociali e rappresenta un freno alla competitività delle imprese che soffrono la concorrenza di altre aziende che possono godere di sistemi di gestione del contenzioso più efficienti (caso non difficile da riscontrare).

  3. Michele

    Occorre solo un po’ di coraggio – come ha fatto il ministero Brunetta – nel dire il "re è nudo" e introdurre anche in via sperimentale – come proposto nell’articolo – questo filtro e poi valutare i risultati. L’amministrazione della giustizia in Italia (non il diritto o la giustizia in sè) è l’emeblema della burocrazia all’ennesima potenza. Ho una causa che dura ormai da più di sei anni. Sono più che certo che se qualcuno imponesse alla mia controparte di presentarsi davanti ad un professionista specializzato in gestione del conflitto, in tale giorno a tale ora, la causa si chiuderebbe in 10 minuti. La soluzione è lampante e conveniente per tutti, ma nessuno si attenta a fare il primo passo. Finiremo nel spendere tanti soldi in onorari far perdere tempo ad un giudice che ha richiesto l’ennesima CTU e – sopratutto – anche se vincerò tra un paio di anni orami sarà una vittoria di Pirro.

  4. Giovanni

    L’autore dell’articolo è un po’ troppo ingenuo. L’inefficenza della giustizia conviene a troppe persone in Italia. Ormai fare causa alla Telecom per il rimborso delle spese di spedizione è divenatato un’ammortizatore sociale come lo era (e per certi versi lo è ancora) fare causa alle assicurazioni da parte dei "parafangai". Ne so qualcosa per esperienza. La soluzione potrebbe funzionare solo con una effettiva e severa punizione sia per il cliente sia per l’avvocato che abusano palesemente del processo.

  5. Roberta Calabrò

    Non credo sia vero quello che, anni fa, mi ha risposto un magistrato per sostenere il suo scetticismo nei confronti del successo della conciliazione e cioè che "gli italiani vogliono litigare". Assisto ogni giorno alla frustrazione dei clienti costretti ad anni di causa e, di contro, ad incredulità e soddisfazione per un accordo conciliativo raggiunto in tempi accettabili anche dove il tentativo di transazione non aveva avuto successo. Inoltre, è sotto gli occhi di tutti il malcontento della classe forense per burocrazia e logistica che frustrano l’impegno professionale e la dignità della persona. E’ scontato: l’inefficenza della giustizia non è Giustizia. Il legislatore dovrebbe convincersi che il rimedio c’è e, se fatto funzionare, funziona. Parola di avvocato e conciliatore.

  6. gianluca ricozzi

    Non sono molto daccordo con il contenuto dell’articolo. Come è stato anche affermato in altri contesti, il problema della lentezza dei processi è dato soprattutto da carenze organizzative e, in secondo luogo, da alcuni aspetti normativi che andrebbero modificati. La conciliazione non ha dato buona prova di se non soltanto nel processo del lavoro, ma neanche nel settore delle telecomunicazioni, dove, pur in presenza di un organo specializzato, quale il Corecom, i tempi per giungere a un’udienza sono lunghissimi. A Roma oltre 6 mesi. C’è poi un problema di principio: nella conciliazione chi ha un diritto deve, perchè la conciliazione abbia successo, rinunciare a parte di esso. Personalmente non lo trovo giusto: se la legge mi riconosce un diritto, essa deve fornirmi gli strumenti perchè quel diritto sia interamente soddisfatto. L’introduzione di meccanismi di conciliazione obbligatori avrebbe come effetto, invece temo, un ulteriore allungamento dei tempi della giustizia civile. Meglio sarebbe se si introducesse un filtro per respingere sin dall’inizio le azioni giudiziarie palesemente infondate, magari attraverso uno giudice appositamente incaricato.

  7. Mario G.

    Sono un avvocato ed ormai il nostro lavoro è umiliante. Mi vergogno di dire al mio cliente ci vediamo tra un anno, di dover scrivere un verbale al posto del giudice e sgomitare con i colleghi in una simil rissa da rugby intorno al giudice che non ha avuto tempo di studiarsi il fascicolo (per cui il cliente ha aspettato un anno). D’accordo che il tentativo di concilizione davanti a un professinista non è la soluzione a tutti i mali, ma è sicuramente meglio dello status quo. Proviamo le proposte avanzate dall’autore e valutiamo i dati. Ho avuto esperianza all’estero e funziona benissimo, a condizione che il conciliatore sia preparato. I Corecom e le conciliazioni di lavoro non hanno conciliatori preparati. I giudici avranno meno fascicoli e potranno lavorare più celermente solo sulle cause che sicuramente non possono essere conciliate e dovranno giustamente essere decise con sentenza. Sono d’accordo con un commento precedente: non ogni conflitto deve tramutarsi in causa. Ci sarà sempre spazio per noi avvocati per rappresentare le ragioni del cliente davanti al conciliatore (e farci pagare per questo) e in sede di conciliazione consigliargli quando e se è opportuno chiudere.

  8. Daniele Cutolo

    L’obbligatorietà è l’unica strada da percorrere. Solo nell’area delle telecomunicazioni sono state risolte con esito positivo, dai Corecom e dalle Camere di Commercio, circa 27.000 controversie nell’anno 2008. E’, tuttavia, indispensabile che accanto ai soggetti pubblici le conciliazioni si svolgano anche presso organismi privati. Le attuali attese di mesi per le convocazioni inannzi ai Corecom costituiscono motivo di incremento del contenzioso con evidente danno per le imprese e i consumatori.

  9. Giorgio Sarrietti

    "L’autore dell’articolo è conciliatore di professione" … già…. "Cicero pro domo sua"! Le conciliazioni non servono quasi a nulla e francamente dubito non poco dei dati forniti nell’articolo. Allora facciamo una proposta semplice che risolverebbe almeno il 50% del problema della lunghezza dei processi civili: – competenza del Giudice di Pace estesa a cause del valore fino a 10.000 Euro (e potremmo arrivare anche a 20.000 Euro) – possibilità della parte di stare personalmente sempre nelle cause avanti al giudice di Pace – riduzione della metà dei termini processuali avanti al Giudice di Pace (p.es. a 20 giorni per l’opposione ad un Decreto Ingiuntivo) – abolizione dell’Ordine degli Avvocati – (opzionale) riduzione del termine di prescrizione ordinario per i crediti a 2 o 3 anni. Semplice, chiaro e di sicuro successo ! "Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare. La semplificazione è il segno dell’intelligenza."

  10. micc

    il problema giustizia è dato, esclusivamente, da un sistemza giudiziario inefficiente. E’ dal ’90 che si succedono riforme della procedura civile, tutte dirette ad accorciare i tempi della giustizia e tutte inutili perchè nessuna affronta il vero collo di bottiglia del processo: la sentenza e in genere il giudice. Chi pensa di sciogliere il nodo gordiano eliminando i processi con la conciliazione sbaglia sotto molti profili; eccone 3: – non funziona; l’esperienza della conciliazione in sede lavoristisca comprova che la conciliazione non funziona. Lo stesso codice di procedura civile prevedeva un tentativo di conciliazione che molti giudici (impunemente) neppure esperivano. – è fuorviante e dannoso: vedere nella conciliazione un rimedio porta ad evitare di affrontare i veri problemi. – trascura il problema di chi una lite deve farla. da ultimo si vis pacem para bellum. finchè un debitore sa che pagherà dopo 1210 giorni non concilierà mai nulla. chi vuole veramente risolvere deve porre ai giudici termini perentori (come per parti e avv.ti) sanzionati; spostare il personale dove manca, dare efficienza assoluta e brutale al processo esecutivo.

  11. cittadino deluso

    Vorrei tanto credere nelle proposte del conciliatore, ma siamo sicuri che i tempi sono maturi per una consapevole accettazione ed un utilizzo corretto dei sistemi proposti?

  12. francesco

    E’ solo un bluff all’italiana. Non fate il corso è solo una truffa. Ti fregano i soldi e poi il lavoro non arriva mai. E’ già stato provato. L’affare lo fanno gli organismi che organizzano i corsi. E poi ci saranno gli aggiornamenti obbligatori che ti prosciugheranno le tasche.

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